Il Lago e la Lupa. Davide Van De Sfroos e Antonello Venditti. Proprio nell’attimo in cui gli altoparlanti smettono di trasmettere “Pulenta e galèna fregia”, la ballata del cantautore laghée, ormai da oltre vent’anni inno del Como, il Sinigaglia viene riempito dalle voci del settore ospiti che intonano “Roma, Roma, Roma”.
È un settore ospiti con le pezze capovolte, in protesta contro l’ennesima decisione vessatoria nei confronti dei tifosi in questa stagione, e in questo caso il divieto di trasferta in riva al lago per i residenti nella regione Lazio. Pur privato del suo cuore e di buona parte del tifo organizzato, i giallorossi all’ombra del Monumento ai Caduti si fanno sentire e apprezzare. La curva comasca, peraltro colpita nei giorni passati da 12 provvedimenti di Daspo per gli scontri con le forze dell’ordine in coda al derby con il Monza, lascia passare 15 minuti prima di fiatare e srotolare striscioni a bandiere e riprendersi l’egemonia dei decibel.
Como continua a vivere un dualismo strano, la collisione tra due mondi fino a poco tempo fa paralleli e senza possibilità apparente di incontro. Da una parte la proprietà ricca e ambiziosa, le tribune che si riempiono di star hollywoodiane: oggi è la volta di Keira Knightley, Adrien Brody e Michael Fassbender. Dall’altra una curva giovane, ma che ha raccolto un’eredità importante in termini di tifo, e un pubblico che ricorda fin troppo bene tutto quello che il Como ha vissuto negli ultimi due decenni: i fallimenti, i personaggi che si sono presi gioco del club – da Lady Essien al mitologico Raffaele Ciuccariello – la Serie D e le partite con quattro gatti in tribuna.
Tempi in cui la città di Como, più che entusiasmarsi per le gesta della propria squadra di calcio, la viveva come un fastidio, una scocciatura, persino quando approdava in Serie A. Città vecchia e ricca, dopotutto, che non vuole essere disturbata, che si può ascoltare russare dalle finestre aperte di notte d’estate. Che si teneva stretta le anziane comitive di turisti tedeschi e britannici prima che il Lario divenisse un brand di lusso e che il lago si tramutasse in ogni angolo nella scritta “Lake Como”.
È facile sentirsi a disagio e allo stesso tempo lustrarsi gli occhi, perché il Sinigaglia non ha mai scintillato così tanto, e le cose che si vedono fare a Nico Paz in campo raramente si sono viste su queste zolle. Perché rivedere la Serie A dopo vent’anni e tutta quella storia di delusioni è un sogno. E perché sì, oltre ai turisti stranieri venuti a visitare la nuova meta in hype, ci sono anche tante famiglie che tornano a popolare gli spalti e a vivere la squadra e lo stadio con orgoglio e tante vetrine cittadine che si popolano con i colori del Como.
Alla fine il mondo dei social parlerà del trio di star hollywoodiane che si sono sedute in Tribuna d’Onore dopo aver assaggiato la hospitality di lusso del club e della crisi dei romanisti, battuti 2-0 da una neopromossa. Chi però ha fatto esplodere l’urlo dello stadio è “Gabrigol”: Alessandro Gabrielloni, anni 30, alla sua prima rete in Serie A. Uno che segnava di fronte ai quattro gatti che seguivano il Como in Serie D e che ora ha un campione del mondo come Fabregas ad allenarlo e ad affermare che, il giorno in cui si ritirerà, si meriterà una statua fuori dal Sinigaglia.
Un gol e un assist, a coronare una prestazione di squadra sontuosa e a scrivere a suon di tacchetti sul cuoio una pagina indelebile di storia biancoblù, destinata a rimanere anche se gli attori dovessero smettere di frequentare lo stadio in riva al lago. E quel salto sulle inferriate ad abbracciare i tifosi a tanti ha già ricordato l’immagine indelebile di un altro salto in braccio alla curva, quello di Stefano Borgonovo.
Damiano Benzoni