Quando dopo 120 minuti tra tempi regolamentari e supplementari rimani zuppo di pioggia accanto alla tribuna, occupata soltanto da una ragazza che si rivela poi essere la ragazza dello sconosciuto numero 7 rimasto solo in campo a guardare nel vuoto, hai capito qualcosa del calcio. In senso ambivalente, ovvero di quanto lui ci dia importanza e di quanto è giusto farsi i chilometri e prendersi l’acqua per delle squadre, proprio perché in esse esiste ancora qualcuno che non prende stipendi sufficienti a fare solo quello nella vita ma sa ancora dare l’anima.

Corticella-Cattolica, il quartiere della città metropolitana e una cittadina romagnola  di 16mila abitanti che rivendica la propria bellezza, il seguito composto da parenti e ragazzi delle giovanili e il gruppo ultras dalla storia pluritrentennale, il fare qualcosa quasi solo per sé e il farlo anche per degli sconosciuti.

Arrivo in leggero ritardo e trovo un’atmosfera a cui sono poco avvezzo, da frequentatore delle basse leghe. Il Corticella gioca al centro sportivo Biavati, organizzata ed ampia struttura che ospita campi da tennis coperti, un bar che svolge anche l’attività di ristorante e vari campi da calcio, tra cui quello principale ove si gioca la sfida odierna valevole per i play-out di Eccellenza.

Gli ospiti sfoderano tutto il colore che una sfida così merita, tra un bandierone sempre alto e parecchia pirotecnica. Tra di loro sia gente che di anni in curva deve averne visti alquanti, che ragazzini probabilmente alle prime trasferte; la speranza è, mi spiegano, non scendere, dato che in Promozione è dura allargare le maglie del gruppo ad esterni e nuove leve.

Quello ultras è infatti da sempre un movimento che viene spacciato come elitario, da banditismo, in cui gruppi scelgono dei valori differenti, o opposti, a quelli, spesso ipocriti o classisti, propagandati dalla società e tentano di vivere la loro città e di mantenere un qualcosa di collettivo nelle strade e nei settori popolari degli stadi. Il rapporto con le masse è però in questa logica costante, e non lo dice la teoria ma lo dice la vittoria del modello di tifo ultras in Europa e non solo.

La favola dei templari dell’era contemporanea che sono esterni alla massa in ogni logica, la lascio ad altri: essere estranei alle masse è essere interni alle masse, di cui chiaramente non si devono condividere i valori improntati alla passività, il resto sono L’elogio della fuga di Henry Laborit e il Trattato sul ribelle di Junger, ove la soluzione ai problemi (non) è isolarsi da essi.

I cori “scemo, scemo” fatti da qualche ragazzino davanti alle decisioni arbitrali sono sintomo di vitalità, energia che va trasformata. Gli animi si scaldano a fine primo tempo, coi locali avanti di una rete arrivata da un rigore, e vengono esplosi un paio di bomboni. Il secondo tempo vede il Cattolica scosso, forse proprio dai botti, e ampiamente propositivo, dopo una prima frazione in cui parevano regnare insicurezza e imprecisione.

Sugli spalti continua il tifo, con cori anche a favore del presidente e contro Pesaro, fino al gol a 10’ scarsi dalla fine, che porta ai supplementari. La stanchezza si fa sentire, dopo 90 minuti sotto una pioggia torrenziale, e i locali passano avanti. I ragazzi smontano tutto e se ne vanno, senza contestare i giocatori ma solo la terna arbitrale e rispondendo nervosamente alla gioia dei biancoblu felsinei.

Ora tutto ripartirà tra qualche mese, diversa categoria ma stesse emozioni per chi ci crede; quattro giallorossi rimangono sul campo a pensare alla sconfitta, a mostrare cosa sono davvero i calciatori che invadono i giornali e i vari schermi che popolano le nostre case e le nostre città: dei ragazzini che vogliono sentirsi grandi e che a volte lo sono, a volte no.

All’uscita, è in corso una premiazione in una sala, due uomini cercano il campo da tennis da loro prenotato, poi passo davanti alla postazione del custode, ove sono conservate ben impilate e ordinate magliette e borsoni. Mi sembra tutto fuori luogo, la cittadina ha perso contro il passatempo domenicale, la nobiltà provinciale si è piegata alle casacche standardizzate vendute in blocchi alle polisportive, che poi ci cuciono sopra il proprio logo. Tenetevi divani, tv e i calciatori come modello sociale, avete ragione voi, però io voglio solo stare sotto la pioggia e vedere dei colori nel cielo.  

Testo di Amedeo Zoller.
Foto di Luigi Bisio.