Giorno di Santo Stefano, un bar in Centro a Cosenza. La gente prende posto ai tavolini in legno, stuzzica qualcosa, ordina da bere. Qualcuno porta una sciarpa o una maglietta rossoblù, qualcuno si saluta. A volte emergono emozioni. Qui nel profondo Sud, nei giorni di Natale si trovano anche quegli emigrati al Nord che sono tornati in zona per passare le feste con la famiglia e bere con gli amici di una volta. Si respira un’atmosfera particolare e di tutto questo contesto fa parte anche il derby tra Cosenza e Catanzaro, disputatosi allo stadio San Vito.

Zona stadio, qualche ora prima. Mancano tre ore all’inizio e le strade sono piene. C’è chi lancia qualche botto, c’è chi mette a terra una torcia luccicante, mentre qualcuno versa un po’ di vino nel bicchiere di plastica di una sua amica. Cosenza-Catanzaro, lo si nota subito, non è una partita qualsiasi, è un derby molto sentito e chi vuole trovare un parcheggio nei pressi dell’impianto deve arrivare presto. Ma oggi manca una componente importante: la tifoseria ospite. Non importa con chi parlo, ognuno dice che così il derby si gode solo a metà. Come se non ti lecchi le dita dopo aver mangiato i Fonzies. O come se andassi in un ristorante e ti facessero la Carbonara con la panna. Storto, completamente storto.

Lo dice anche l’autista del taxi, che in mancanza di altri mezzi ho preso dalla stazione di Cosenza per raggiungere il luogo della partita. La stazione è un colosso nel mezzo del niente; cemento armato su cemento armato, pavimenti in gomma, desertissimo. Il tassista mi porta alla mia destinazione con pochi fronzoli, il prezzo non è esagerato e la breve tratta offre sensazioni interessanti. L’autista chiama un suo parente di Catanzaro e gli dice che: “è una sconfitta per lo sport che tu oggi non possa venire da me per guardare la partita insieme”. Poi mi lascia esattamente dove volevo arrivare, laddove trovo subito i miei amici.

Sono palazzi consumati, quelli intorno al San Vito, di Via dello stadio. Posti che in un’altra vita erano eleganti, ma oggi non più. Ma posti importanti, per la vita sociale, per le comunità. Ad accoglierci è un negozio di alimentari che non serve solo da mangiare, ma anche birre. Una birra costa un Euro e cinquanta e la gente si trova bene – a seguire i soliti rituali prepartita: un panino, una bevanda, qualche chiacchiera, qualche chiamata, qualche dolce. E così scorre il tempo finché inizia la partita al San Vito, assiepato da meno di 11.000 persone (10.966 per la precisione). Per colpa del Cosenza Calcio e delle autorità.

Mi sono già espresso sulla mancanza dei tifosi ospiti e sul fatto che anche ai Cosentini non sia piaciuta questa decisione degli organi preposti. Ma c’è ancora da aggiungere qualcosa sul clamoroso rincaro per i biglietti – seguito da un dietrofront da cineteca. Il Cosenza, per questa partita, ha indetto senza indugi la cosiddetta “giornata rossoblù”. È una pratica questa che, venendo da fuori Italia, non ho mai capito: non si paga l’abbonamento per vedere tutte le partite casalinghe di una stagione sportiva? Ma tant’è, non spetta a me obbiettare sulle usanze altrui, ma sui prezzi credo di poterlo fare: gli abbonati hanno potuto acquistare un biglietto di curva al prezzo di 19€, i non abbonati a 30.

30 Euro per vedere una partita tra due squadre mediocri di Serie B! Quel che ha dell’incredibile per non dire del preoccupante: inequivocabile il comunicato del Cosenza Calcio ma altrettano chiaro avrebbe potuto parlare il popolo rossoblù, se non fosse che la società Silana, per salvarsi dalla prevedibile “shitstorm” sui social, ha addirittura chiuso la sezione commenti su Facebook e Instagram. Salvo poi fare dietrofront al cospetto delle proteste che non avevano bisogno del catalizzatore del web per arrivare univoche e perentorie. Già contestato da gran parte della tifoseria, il presidente Eugenio Guarascio e i suoi collaboratori hanno avuto il buonsenso di mettere una pezza al pasticcio fatto con i prezzi, soprattutto in favore degli abbonati. Ma la cosa rimane fuor di ogni logica: in una partita vietata agli ospiti e disputatasi in un periodo festivo con tanti fuorisede in città, sarebbe stato facilissimo oltre che bellissimo riempire lo stadio con dei prezzi popolari, cosa che avrebbe dato un’ulteriore spinta alla squadra in netta emergenza sportiva. Ma la società ha deciso diversamente.

Questo è il motivo per cui all’appuntamento manca tanta gente. “Comparato con la stagione scorsa, in questo derby abbiamo perso diecimila spettatori”, mi dice un amico prima del calcio d’inizio. Più realisticamente e numeri alla mano, sono circa 7.000 in meno che nel 2023/24. Certo, i catanzaresi, potendo, sarebbero stati tanti, ma non basta l’assenza ospite per spiegare questo calo. Ha contribuito la modalità di vendita dei biglietti, i prezzi, le polemiche presenti e pregresse. E così alla fine, il colpo d’occhio è stato inficiato da ampi spazi vuoti, specialmente in gradinata laterale e in Curva Sud.

La cosa però non scalfisce lo spirito dei sostenitori cosentini i quali, nelle loro due curve, mettono in scena altrettante coreografie. La Sud esordisce con bandiere rossoblù in vecchio stile, sfoggiando uno striscione con scritta: “lo insegna la storia, lo dice la fede, il Cosenza da sempre è di chi lotta e ci crede”. Allo stesso tempo, la Nord offre una coreografia riassunta dalla frase: “Con l’orgoglio di chi non si arrende mai”. Il comune denominatore è il richiamo a metterci gli attributi da tutte e due le curve, quelli richiesti ai giocatori, ma soprattutto alla dirigenza alla quale, da anni ormai, viene rimproverata proprio questa mancanza di ambizione, questa tendenza a vivere alla giornata. Tutto ciò mentre, da qualche tempo, si rincorrono le voci su un fondo saudita pronto a rilevare la compagine calabrese anche se poi, come spesso capita, difficile capire quale e quanta sia la distanza tra le intenzioni e le azioni da intraprendere affinché ciò diventi qualcosa in più di un rumor.

Sul campo le previsioni non sono delle più rosee. Da una parte c’è il Cosenza che non vince da cinque partite, dopo l’ultimo 3-2 in casa del Brescia; dall’altra c’è un Catanzaro affetto da “pareggite”, avendo finora impattato undici partite su diciotto. E così si arriva al fischio d’inizio: le squadre sembrano ansiose ma anche le curve faticano ad entrare in partita visto il particolare carico emotivo. Poi il Cosenza prende l’iniziativa e si fa più audace in avanti, trovando due ottime occasioni e colpendo anche la traversa da pochi metri. Fino al minuto 21, quanto l’abbrivio della partita cambia nettamente: l’arbitro Aureliano di Bologna espelle il cosentino Caporale (decisione quanto meno discutibile) e da qui, per essere più precisi, la gara finisce per stagnare.

Ovviamente, il Cosenza comincia a fare ostruzionismo. Quasi non supera più la sua metà campo. Allo stesso tempo anche il Catanzaro contribuisce ad uno spettacolo a dir poco impalpabile. La prima frazione finisce a reti inviolate e il momento più alto è stato il saluto della Curva Nord a Franco Valente, recentemente deceduto: “Amico, fratello, vero Ultrà”, applaudito da tutti i presenti. Per la cronaca, c’è da annotare che, a parte due cori quasi di circostanza, non ci sono sfottò: emblematico di quanto, anche uno dei derby più sentiti d’Italia, orfano dei tifosi ospiti finisca per perde molto del suo fascino.

Inizia il secondo tempo e fra le tante, è evidente come il precetto “Captain only”, secondo il quale solo il capitano possa interloquire con l’arbitro, in questa situazione venga del tutto meno. La seconda nota è che, in entrambe le curve del Cosenza, il tifo sia molto meglio che nella prima frazione. I presenti danno l’impressione di cantare d’astuzia, ma anche con tanta voglia. E lo fanno molto bene. Forse nei miei sogni, una notte, ritroverò il coro della Nord sulle note di “The Final Countdown”. La partita in campo, invece, è sempre caratterizzata da falli, da cartellini, piccoli screzi e perenni perdite di tempo, soprattutto da parte dei padroni di casa (anche se la cosa poi si invertirà). Per chi continua a proporre e vendere il calcio solo come uno spettacolo, cercando di annullare tutte le istanze identitarie del pubblico, questo non è certo il miglior biglietto da visita.

Al minuto 78, metto nero su bianco, l’appunto: “Ci dovrebbero essere 15’ di recupero per tutte queste perdite di tempo”, ovviamente ignaro di quel che poi verrà. Tre minuti dopo, il Catanzaro trova la rete grazie ad un tiro deviato di Pompetti. Da qui la partita cambia di nuovo: ora sono i cosentini ad essere sempre molto veloci ad alzarsi, mentre gli atleti del capoluogo di regione sono perennemente a terra. Non è una strategia nuova, ovvio, ma vedo un centinaio di partite all’anno e non l’ho mai vista attuare in modo così esasperante.

Al minuto 90 però, 89′ 40″ per essere precisi, pareggia il Cosenza. Lo stadio balza in piedi, per festeggiare ma in Tribuna passa di bocca in bocca la voce che il gol stia per essere annullato. In realtà fino al 91′ 15″, nessuno ci fa davvero caso, ma la partita viene effettivamente interrotta. Successivamente Il VAR toglie (giustamente) il gol al Cosenza. Quando poi dei cinque minuti di recupero decretati prima del gol, non rimane nemmeno un secondo, il gioco riprende quando corre il 95’25”, con i cori “Venduto! Venduto! Venduto!” del pubblico locale a far da sottofondo.

Si va avanti con ulteriori interruzioni per dei giocatori del Catanzaro che cercano di rubare tempo, o come si dice in tedesco: “prendere qualche minuto dall’orologio”. La domanda che tutti si pongono e ripetono di secondo in secondo è: “Quanto manca alla fine?”

Al minuto 96’20”, il Cosenza sbaglia un’occasione al clamorosa. A 98’07” un’altra. A 99′ precisi, il Cosenza protesta per un rigore. A 99’56”, palo clamoroso dei padroni di casa. A 101:40 vanificata anche una punizione da 25 metri, da posizione buona. Il Catanzaro spezza questa egemonia lanciandosi nel contropiede del possibile 2-0, ma a 102’10” finisce la contesa. Triplice fischio dell’arbitro, il Catanzaro ha vinto 1-0. Almeno presumibilmente. Perché non è ancora finita: il direttore di gara va a rivedere la scena del calcio di punizione e nonostante avesse già fischiato la fine, concede il calcio di rigore al Cosenza. Riccardo Ciervo dal dischetto, segna al minuto 106 circa (nel frattempo avevo già azzerato il mio cronometro…), la partita finisce dunque 1-1 fra il delirio più totale dei tifosi di casa. Che poi, per un’ultima volta, si rivolgono ancora alla proprietà, invitandola a lasciare Cosenza.

Questo pareggio salva i rossoblù dall’ennesima sconfitta per giunta in questo sentitissimo derby con il Catanzaro, ma la lotta salvezza si profila ancora lunghissima e durissima. Nonostante il boato liberatorio, nessuno torna però a casa contento del tutto. Non i cosentini che sono usciti indenni da questa gara particolare, ma un punticino è davvero troppo poco complessivamente parlando. Né tantomeno i catanzaresi che ora sono a dodici pareggi su diciannove. Proprio nessuno? No, io sì in realtà. Soprattutto per aver di nuovo vissuto un pomeriggio calcistico interessante, notevole, addirittura memorabile. Eppure mancava davvero molto, troppo per essere ricordato come un pomeriggio davvero epico. E la colpa sappiamo bene a chi è da attribuire.

Remo Zollinger