Il mare si allontana sempre più dai miei occhi quando il pullman, partito da Paola, si inerpica sulle montagne in direzione Cosenza. Il paesaggio aspro e rigoglioso di fiori primaverili fa da cornice ai 30 chilometri di strada perlopiù tortuosa e scoscesa che mi divide dal capoluogo.

Non è un giorno qualunque per la Calabria. Almeno per quella calcistica. Al vecchio stadio San Vito (intitolato da qualche anno al compianto Gigi Marulla) va di scena il derby con il Catanzaro. “La partita” da queste parti. E anche la sfida con più pathos e attesa, in un periodo storico che vede le due compagini galleggiare nei piani bassi della Serie C, senza dei grandi obiettivi per il futuro prossimo.

Cosenza evoca nella mia mente dolci ricordi d’infanzia e adolescenza. Le mie estati passate ad Amantea – roccaforte dell’omonimo gruppo al seguito dei rossoblu – mi davano modo di osservare da vicino buona parte del movimento ultras locale, mischiato spesso con gli immancabili bergamaschi. Sebbene non fossi ancora completamente introdotto in quello che all’epoca era un mondo alquanto diverso dall’attuale (sicuramente più genuino), guardavo con somma curiosità quei ragazzotti sfilare sul lungomare con le loro maglie e le loro birre.

Forse da lì è partita la mia curiosità per questa sfida. O magari da una domenica in cui, di passaggio a Catanzaro, supplicai mio padre di portarmi almeno fuori dallo stadio Ceravolo. Soltanto per il gusto di vedere il luogo che aveva ospitato le gesta di Massimo Palanca e delle Aquile giallorosse in Serie A. Ovvio e malato risultato di una massiva visione di VHS relative al calcio italiano degli anni ottanta.

È la mia seconda volta al San Vito. Il battesimo risale a un Cosenza-Sibilla Cuma datato 2008 e valevole per il ritorno dei silani in Serie C. So bene che rispetto a quella gara non avrò di fronte una curva di casa stracolma e affamata di tifo (ancora oggi resta una delle migliori prestazioni canore viste in vita mia); un po’ a causa dei tempi che cambiano e non spingono più le persone allo stadio come in passato, ma un po’ anche per la recente frattura all’interno del movimento ultras rossoblù, con lo spostamento di una parte del tifo organizzato in Tribuna A. Divenuta, a tutti gli effetti, il settore più frequentato attualmente (l’unico, peraltro, che registrerà sold out quest’oggi).

Quando si parla di “Derby della Calabria” lo si fa in riferimento alle due squadre che storicamente hanno dato vita a match accesi e turbolenti, oltre che alle due tifoserie che possono vantare – probabilmente – una maggior tradizione all’interno dei confini regionali. Quella tra lupi e aquile è stata per anni una contrapposizione totale, che ha investito un po’ tutti gli aspetti del confronto: dal campo agli spalti passando per le opposte visioni politiche. Nuclei Sconvolti contro Ultras Catanzaro 1973 è la giusta prosa di una rivalità tra le più sentite dello Stivale.

Quando arrivo all’esterno dello stadio, le mura del vecchio San Vito sembrano trasudare racconti e storie di un calcio antico. Se non fosse per le alte cancellate esterne installate dai nuovi decreti, ci ritroveremmo di fronte al classico stadio anni ’60 costruito nel Sud Italia. C’è chi lo definisce “orribile”, personalmente lo trovo un impianto in cui mi riconosco e con cui vado subito d’accordo. Forse proprio per la sua scomodità. Salvo la pista d’atletica (che oggettivamente penalizza il pubblico) quelle gradinate non numerate e spaziose sanno di calcio vero e rimandano alle immagini di infuocate sfide della Serie C che fu. Negli anni in cui si parla (spesso a sproposito) di stadi di proprietà, “salottini stile cinema” e impianti all’avanguardia, si dovrebbero rivalutare e salvaguardare quelli che sono dei veri e propri templi, a cui generazioni di tifosi hanno legato gioie e delusioni.

Il sole primaverile si fa sentire, inducendo un po’ tutti i presenti a togliersi la giacca. I due settori del tifo organizzato cosentino sono impegnati a preparare le rispettive coreografie, mentre nel settore ospiti dei catanzaresi ancora non v’è traccia. Sono circa 500 i biglietti venduti tra i tifosi giallorossi. Un numero più che dignitoso se si tiene conto dell’ennesimo deludente campionato condotto sinora dalle aquile.

Gli anni degli esodi a prescindere sono lontani e non possiamo biasimare il cosiddetto “tifoso normale” che ha deciso di mollare gli ormeggi ed allontanarsi da un calcio che, per certi versi, non ha più identità e logica. Pensiamo soltanto alla gestione degli orari in Serie C: partite piazzate nei giorni più impensabili, spostate all’ultimo e spesso rinviate senza una logica motivazione. Questo derby peraltro ne è un fervido esempio: il fischio d’inizio di principio era fissato alle 18:30, salvo poi essere anticipato alle 14:30.

Alle difficoltà logistiche vanno ovviamente aggiunte quelle imposte dalle rispettive questure. Per l’occasione ai tifosi del Catanzaro è stato imposto lo spostamento in pullman, oltre all’acquisto dei tagliando soltanto dietro esibizione di tessera del tifoso del club giallorosso. Questo ha comportato, per molti tifosi che generalmente usufruiscono di altre tessere per acquistare i biglietti (su tutte la VivoAzzurro della Nazionale), la costrizione di dover sottoscrivere anche la tessera del tifoso rilasciata dalla propria società. Difficoltà nelle difficoltà che finiscono per allontanare molta gente, come è inevitabile che sia.

Difficoltà che sembrano quasi fatte apposta per comporre un percorso a ostacoli in grado di decimare il numero dei supporter al seguito di questo sport.

I biglietti venduti alla fine saranno 6.029. Non un “tutto esaurito”, ma un numero comunque dignitoso.

Quando le squadre stanno per fare il proprio ingresso in campo, parte l’inno del Cosenza e in Curva e Tribuna si compongono le rispettive coreografie. La parte centrale della Sud si copre con un telone raffigurante due leoni, contornati da bandierine rossoblu e dalla frase “Cosentia dei Bruzi rudi e bellicosi” con il riferimento alla data di fondazione della città (356 a.C.).

Sicuramente più elaborata la scenografia della Tribuna A, dove si innalzano centinaia di cartoncini rossi e blu, sovrastati dallo striscione “Lottando col cuore si scrive la storia”, realizzato completamente a mano e davvero ben riuscito. Lo spettacolo viene tenuto per diversi minuti, sulle note del coro “Sembra impossibile, che segua ancora te” seguito da tutti i presenti.

Il derby è iniziato e dopo pochi minuti anche i catanzaresi ne diventano parte integrante. Il contingente giallorosso entra tutto assieme, venendo subissato di fischi e rispondendo immediatamente a tono. Ora le ostilità sono veramente aperte e anche nelle mie narici comincio a sentire il profumo di un ambiente carico e volenteroso di primeggiare a livello di curva.

Sì, perché cosentini e catanzaresi non hanno grandi ragioni sportive di cui vantarsi attualmente e chi si ritrova sulle gradinate lo fa veramente per pure senso di appartenenza e spirito di sacrificio per la causa che ha deciso di sposare. Mi vengono in mente gli imborghesiti tifosi della Serie A, quelli delle lamentele per due sconfitte di seguito anche da terzi in classifica o degli scioperi del tifo per qualsiasi inezia. Dovrebbero prendere esempio da questa gente: anni di vera e propria merda mandata giù, eppure sono sempre qua.

Lo spettacolo sul terreno di gioco non è propriamente edificante, tanto che la contesa si protrarrà verso un’inevitabile 0-0. Ma sulle gradinate va diversamente.

Prima di entrare nel cuore dell’articolo voglio però raccontare un simpatico siparietto che si svolge nella parte superiore della tribuna coperta. In un angoletto sono stipati alcuni bambini di Cosenza e Catanzaro mischiati – con tanto di bandiere dal segno opposto – in ossequio a una delle tante iniziative per il fair play. L’ipocrisia delle stesse è data proprio dal comportamento dei pargoli, da sempre voce candida dell’umanità: in più di un’occasione infatti quelli rossoblu seguono i cori di sfottò della Tribuna, così come i piccoletti giallorossi fanno con qualche boato del settore ospiti. Morale della favola? L’habitat naturale di un bambino è la curva (e quindi l’aggregazione) non un posto confinato in tribuna dove viene utilizzato per dimostrare qualcosa che non esiste: la sportività indotta!

Ma ora andiamo con ordine. Comincio con il dire che uno dei motivi che mi ha spinto a venire qui è il confronto tra gli ospiti e la Tribuna A. Non posso negare di esser rimasto incuriosito da questo movimento che lentamente ha riportato a Cosenza un certo modo di essere ultras, anche nello stile. Sempre mantenendo una certa onestà, devo dire che i cosentini degli ultimi anni erano diventati una realtà alquanto indecifrabile ai miei occhi: trasferte sempre ai minimi termini, in casa spesso presenze esigue e approccio raffazzonato in entrambi i casi.

Dopo quella partita del 2008 contro la Sibilla non avevo avuto più stimolo a venire da queste parti per vedere all’opera i rossoblù. Questo sempre per essere sinceri.

I ragazzi della Tribuna A – con Anni Ottanta prima e Ultrà Cosenza ora – hanno ridato una ventata di freschezza ed entusiasmo al San Vito. Vederli all’opera mi ricorda proprio quel mondo pre tessera e pre decreti ammazza-tifo. Dal lanciacori all’ultimo dei seguaci presenti nel settore. Da sottolineare anche la cura del materiale.

Diciamo che questi ragazzi hanno riportato in auge un modus vivendi che anni addietro era stato innovativo all’interno di tutto il movimento. Hanno ridato lustro a quei personaggi che un trentennio fa diedero vita alle prime fanzine o promossero i primi incontri tra le tifoserie organizzate. Penso che dei cosentini si possa pensare tutto il contrario di tutto, ma non si possa riconoscere loro di essere stati un punto di riferimento, soprattutto nel Sud Italia. E soprattutto se si pensa alla realtà da cui provengono: Cosenza non è certo una metropoli o un crocevia fondamentale. Eppure non cela la sua anima antagonista ed identitaria.

E lo dico da persona che – ad esempio – non ama la politica in curva. È altrettanto vero che però, sebbene la tendenza sinistrorsa sia netta, tante cose sono cambiate e oggi si riesce a dialogare in maniera ecumenica, avendo compreso che i “nemici” da combattere, ancor prima degli avversari, sono quelli che vorrebbero liquefare questo movimento d’aggregazione che ancora oggi, volente o nolente, produce proseliti e appassionati.

Chiudendo la parentesi su di loro, voglio sottolineare quanto abbia apprezzato e ammirato l’impegno della costruzione di un parco inclusivo come quello dedicato a Piero Romeo (storico esponente della tifoseria silana scomparso qualche anno fa) proprio nell’area dove fino al 1981 sorgeva il vecchio stadio del Cosenza: l’Emilio Morrone (sostituito dal San Vito negli anni ’60).

Personalmente ho sempre creduto nell’importanza di mantenere un legame forte con la città e tutte le sue componenti. Se è vero che l’ultras tante volte si perde nella retorica e nei suoi melensi giochi di parole, è altrettanto vero che in questi casi foraggia e dà vita a idee e opere che rientreranno per sempre nel tessuto sociale cittadino. E sono convinto che quando ci sarà bisogno di essere spalleggiati, la città di Cosenza (in questo caso) non si tirerà indietro, proprio per quanto questi ragazzi le hanno dato.

Tornando alla partita, la prestazione della Sud è invece alquanto altalenante. Se nel primo tempo la curva si dà un gran daffare, non fermandosi praticamente mai, nella ripresa il tifo va pian piano scemando, concedendosi diverse pause. Sicuramente la presenza di tanti “occasionali” – almeno a giudicare dagli esigui numeri che il settore abitualmente registra in partite non di cartello – ha influito in tutto ciò.

E gli ospiti? Sono sincero: a me i catanzaresi piacciono. Mi hanno sempre dato l’idea di essere una tifoseria arcigna, con la “cazzimma” come direbbero in Campania. Uno zoccolo duro che sa farsi rispettare dentro e fuori lo stadio. E anche quest’oggi mi fanno una gran bella impressione: bello stile nei battimani, molto colore con le bandiere, belli i petti nudi e tanta voce a sostenere “il Magico”.

Del resto la Massimo Capraro può vantare un’ottima tradizione ultras, a cui i tifosi giallorossi sono per forza di cose attaccati e che meriterebbe anche qualche soddisfazione a livello calcistico. Almeno per la costanza con cui in città si è sempre portato avanti il discorso del tifo organizzato.

Come detto, in campo la sfida si chiude con uno scialbo 0-0. Risultato che fa gioire gli ospiti e imbufalire i padroni di casa. Il Cosenza, infatti, non batte i dirimpettai in casa da oltre trent’anni e come prevedibile questo costituisce l’ossatura dello sfottò finale da parte dei giallorossi.

All’uscita dello stadio nulla da segnalare, se non la classica – cervellotica – gestione del deflusso da parte delle forze dell’ordine. Strade chiuse e celere schierata almeno una mezz’ora per non far transitare i tifosi da una parte all’altra.

Il mio Derby di Calabria è andato in archivio e con esso quel sapore di “antico” che queste due tifoserie hanno saputo trasmettermi. Non me ne voglia nessuno, ma determinati odori si riescono a percepire soltanto al Sud. Sarà perché la primavera è ormai entrata e i pollini vagano beatamente nell’aria. Sarà perché qua tutti vanno già in giro con le maniche corte e la voglia di fronteggiare il solleone.

Ci penso un attimo e me ne convinco ancor più: per noi che giriamo i campi e ormai troppo spesso diamo tutto per scontato, annoiandoci persino in occasione “di gala”, queste sono boccate d’ossigeno. Contemplerò cosa scrivere durante il ritorno, riscendendo verso il mare e lasciandomi alle spalle i prati fioriti della Sila. La Calabria è una terra aspra, con la sua gente che spesso risulta ruvida e poco incline a una frettolosa giovialità. Ma se si vuol capire, se si vuol conoscere antropologicamente un popolo, c’è bisogno di comprenderlo e averne rispetto. Quanto meno per essere in diritto di raccontarne le gesta durante uno dei momenti più intimi e spontanei della propria esistenza: una partita di calcio.

Simone Meloni