Con Mosca non è stato subito amore a prima vista. Anzi. Era il novembre 2014 quando per la prima volta misi piede in terra russa. Si giocava sempre un CSKA-Roma, anche se fin da principio si era partiti con il piede sbagliato: stadio a porte chiuse per gli incidenti prima e durante la gara di andata, e viaggio fatto esclusivamente per non buttare la cospicua somma impiegata tra visto e biglietto aereo.

Non fu amore a prima vista, dicevo. Ricordo come fosse oggi i dieci gradi sotto lo zero e il vento ghiacciato che funsero da benvenuto all’uscita dell’aeroporto di Sheremetyevo. Un biglietto da visita per nulla simpatico, che si confermò nei miei tre giorni di permanenza con neve e luce del giorno “razionata” in 4-5 ore di autonomia massima. Per un metereopatico come il sottoscritto, insomma, un vero e proprio inferno dantesco. Acuito dalla delusione di non poter assistere all’incontro con il pubblico presente.

Quella mia insoddisfazione forse pesò anche sulla frettolosa valutazione di una città che, invece, avrei imparato ad apprezzare nelle due visite successive.

Reduce da un’estate passata sulla Transiberiana e quindi con alcuni giorni già trascorsi a Mosca, arrivo a destinazione con una sensazione ben diversa rispetto a quella di sconforto avvertita quattro anni or sono. Malgrado sia inizio novembre un bel sole bacia la Capitale russa, aiutando la temperatura a rimanere su standard accettabili (almeno per le latitudini). Questa volta, poi, la partita si giocherà regolarmente con il pubblico e per giunta allo storico stadio Luzhniki. Infine, sempre per il totale riscatto personale, il calendario europeo mi offre anche la ghiotta opportunità di una doppietta: Spartak-Rangers di Europa League al giovedì. Tutto pressoché perfetto!

Arrivando il giorno precedente al match ho tutto il tempo di visitare preventivamente il Luzhniki, assistere alla conferenza, ritirare l’accredito ed approfittare del quarto d’ora concesso alla stampa per osservare gli allenamenti di rifinitura della Roma e, dunque, mettere piede sul manto verde del celebre impianto moscovita. Rinnovato completamente in occasione dei mondiali di questa estate.

Sono un amante del vetusto, dell’arcaico e di ciò che porta in sé storie di vita vissuta. Non vedere più quegli imponenti spalti in stile sovietico adagiati sulla pista d’atletica un po’ mi dispiace, tuttavia non nascondo l’emozione nel poter entrare su un campo che ha visto importanti battaglie calcistiche (a memoria mi viene da ricordare, oltre alla finale tra Francia e Croazia, anche la Coppa Uefa vinta dal Parma contro il Marsiglia nel 1998 e la Champions vinta dal Manchester United contro il Chelsea nel 2008) e una miriade di eventi sportivi ospitati dall’ex Unione Sovietica. A tal merito va rammentato come il nome originario dell’impianto fosse Stadio Lenin, a testimonianza di ciò resta la gigantesca statua marmorea del padre della Rivoluzione d’Ottobre, posta alla fine del vialone che dalla metro porta allo stadio.

Strana terra la Russia per chi la vede la prima volta e difficilmente ne coglie le sfumature: da potenza socialista a simbolo del capitalismo più sfrenato, con una miriade di movimenti giovanili che dalla caduta del Muro ad oggi hanno ampliato la propria spinta nazionalista e legata all’estrema destra. Eppure Lenin continua ad essere in ogni dove. Così come le tantissime effigi con la falce e il martello disseminate per le strade e nelle stazioni della metropolitana. E questa è una regola che vale in assoluto da Mosca a Vladivostok.

Nel 1982 il Luzhniki è stato anche teatro di una disastrosa sciagura. Lo Spartak (che fino al 2014 ha disputato qui le gare casalinghe) ospitava gli olandesi dell’Haarlem per una partita di Coppa Uefa. A pochi minuti dalla fine i russi conducevano per 1-0. Molti spettatori, a causa del freddo, cominciarono a defluire finché all’88’ Svecov non trovò il gol del raddoppio. Tanti vollero rientrare ma la polizia lo impedì, creando così un grande assembramento sulle scale, che non reggendo il peso cedettero di schianto provocando 66 morti e 61 feriti.

La vicenda venne sin da dubito insabbiata, con i giornali che al mattino seguente minimizzarono l’accaduto parlando di “alcuni feriti dopo un incidente accaduto allo stadio Lenin“; questo per non dare una cattiva immagine del Paese all’estero. La magistratura suggellò un processo-farsa, in cui pagò uno dei custodi dello stadio, costretto a dichiarare il falso ed assumersi una più che curiosa “responsabilità morale per i fatti”. Yuri Panchikhin, questo il suo nome, fu costretto a 18 mesi di lavori forzati.

Solo nel 1989 il Sovetskij Sport pubblicò il primo articolo che approfondiva realmente la tragedia. Negli anni successivi è stato eretto un monumento nel luogo del disastro. Tuttavia le autorità russe non hanno mai chiesto ufficialmente scusa per quello che rappresenta il più grande disastro sportivo a livello nazionale.

Tornando ai giorni nostri, l’attuale stadio è senza dubbio un gioiellino, costruito con tutti i massimi criteri di sicurezza e con la classica forma granitica delle strutture russe. Apprezzo sinceramente l’aver tenuto intatta la struttura esterna, con il marmo bianco che è rimasto quello di un tempo. Quasi a non voler spezzare nessun legame storico con il passato.

Va ricordato anche che il CSKA Mosca gioca qui soltanto per le gare europee, mentre in campionato disputa i propri incontri nella nuovissima Arena CSKA, inaugurata nel 2016.

Se in Italia il match è stato marchiato dal bollino rosso per le turbolenze registrate sia nel 2014 che nel match di andata, in Russia la faccenda non sembra preoccupare più di tanto le autorità. Tanto per dirne una: nessun Osservatorio locale si immaginerebbe mai di diramare una determinazione per far vietare la trasferta ai supporter giallorossi. Da queste parti, si sa, hanno leggermente il pallino per il controllo e la sicurezza. Se, dunque, in ogni angolo di Mosca sono appostati almeno due o tre gendarmi armati di metal detector e manganello, attorno allo stadio, il giorno della sfida, c’è uno schieramento che mette i brividi solo a guardarlo.

Come sempre i militari, vestiti con le loro mimetiche grigio-bluastre, osservano attentamente l’afflusso dei tifosi, mentre la polizia “normale” fa la spola da una parte all’altra ora a piedi, ora con il reparto della fanteria.

Forse non è nemmeno un caso che i gruppi organizzati russi scelgano i boschi di betulle come luoghi deputati a regolare i conti. Sebbene, lo dico subito, ritengo questo un mero atto di mitomania. Non è neanche un caso, tuttavia, che le uniche tensioni si registrino ben lontano dallo stadio, con un tentativo di assalto all’albergo che ospitava i sostenitori capitolini.

Non mi piace parlare di questo, pertanto invito gli edonisti e i curiosi del caso a consultare un qualsiasi canale Instagram o Facebook. Tanto ormai lo sport mondiale è diventato postare determinati video sui social. Quindi il mio commento sarebbe pure superfluo.

Parecchie ore prima del fischio d’inizio nugoli di tifosi del CSKA già affollano le strade attorno alla Piazza Rossa mostrando sciarpe e magliette con i colori sociali. Benché il club più tifato della città sia ancora lo Spartak, negli ultimi decenni la squadra dell’esercito (Professional’nyj Futbol’nyj Klub Central’nyj Sportivnyj Klub Armii, questo il significato dell’acronimo) ha conquistato diversi seguaci grazie agli ottimi risultati sportivi ottenuti in patria e non solo, rendendo ancor più viva e sentita la rivalità con i cugini biancorossi.

Ne approfitto per incontrare Yuri, tifoso dei krasno-sinie (rossoblu) presente sulla tristemente celebre scala mobile della stazione metro di Repubblica prima del match d’andata. Sono curioso di sentire l’altra campana, dopo la vergognosa campagna disinformativa fatta successivamente all’incidente (e quasi totalmente smentita dai video pubblicati proprio dai supporter moscoviti). “Siamo disgustati dai commenti fatti da Salvini e dalla Raggi – esordisce offrendomi del kvas, una sorta di Coca-Cola ricavata dalle foglie di betulla -, hanno utilizzato la tragedia per fare campagna elettorale e scaricare sui tifosi russi le loro responsabilità. Ci hanno incolpato di saltare ed essere ubriachi. Cosa che non è assolutamente vera, come del resto si può evincere dai video usciti nei giorni successivi. Purtroppo – continua – all’estero veniamo spesso descritti come gente cattiva a prescindere, senza una minima analisi giornalistica o sociale. Quanto accaduto dovrebbe creare allarmismo presso le autorità italiane, perché evidentemente le infrastrutture non sono in grado di supportare una tale massa di persone. Oppure non hanno una dovuta manutenzione, questo non lo so e non mi spingo in giudizi che non mi competono. Noi, in Russia, sappiamo bene cosa vuol dire aver a che fare con strutture carenti o precarie. In passato abbiamo pagato questo lassismo con disastri e perdite umane in diverse zone del Paese. Pertanto conosciamo ‘il mostro’ che non vuol prendersi le proprie responsabilità ma preferisce dare in pasto all’opinione pubblica una verità di facciata. Fa più comodo. Soprattutto se non si ha una stampa libera e pronta a giudicare onestamente”.

Infine: “È vero, sovente è capitato che la nostra tifoseria abbia creato turbolenze, ma non credo che si possa generalizzare o etichettare un popolo per il comportamento sporadico di alcune frange. I club russi – evidenzia – sono spesso puniti in eccesso rispetto a quanto avviene per accadimenti paralleli che riguardano società occidentali. È chiaro che la Uefa non ci veda di buon occhio e ogni occasione sia buona per dimostrarlo”.

Si sono fatte le 18 ed è ora di incamminarsi in direzione del Luzhniki. Saluto Yuri davanti al Teatro Bol’šoj e mi dirigo verso la metro, che con la sua spaventosa efficienza mi porta a destinazione in pochissimo tempo.

I biglietti venduti per i tifosi di casa sono circa 68.000, mentre a Roma ufficialmente sono stati staccati circa 1.000 tagliandi. Dato che inizialmente prendo con molto scetticismo, ma su cui poi mi dovrò ampiamente ricredere.

Attorno al perimetro dello stadio decine di banchetti offrono bevande calde. Il freddo si fa sentire, anche se è tutto sommato accettabile e permette persino di non imbacuccarsi totalmente con cappelli e guanti.

Dalla tribuna stampa la visuale è forse un po’ alta, ma mostra tutta l’imponenza della struttura. La curva del CSKA è piena quando manca una mezz’ora all’inizio e al rientro delle squadre negli spogliatoi – dopo il riscaldamento – comincia a farsi sentire. Incitando i propri giocatori e provocando gli ospiti grazie a una discreta conoscenza della lingua italiana (sic!).

Su fronte giallorosso i gruppi fanno il proprio ingresso alla spicciolata e soltanto al 10′ tutti gli striscioni saranno posizionati sulla balconata. Numericamente la presenza dei romanisti è davvero ottima. I mille biglietti venduti sono effettivi: un dato che merita rispetto se si pensa alla difficoltà logistica della trasferta e anche al suo grado di “pericolosità”. Mosca è la classica meta “mentalmente” lontana, a cui il tifoso medio rinuncia a priori e per la quale i media – in occasioni come questa – pompano storie miste a realtà e fantasia pur di scoraggiare il viaggio.

Una volta dentro gli ultras capitolini mettono in mostra anche una buona prova canora. È tangibile la tensione e l’adrenalina che debbono regnare nel settore, anche a causa di un classico episodio da Est Europa che avviene nella ripresa: alcuni tifosi del CSKA riescono a fare il giro dello stadio ed entrare nella tribuna adiacente a quella dei romanisti, portandosi proprio verso gli italiani. Gli steward arginando senza troppa convinzione la loro discesa e per qualche minuto ne nasce un piccolo parapiglia, smorzato tutto sommato senza tanti problemi dal servizio d’ordine.

Tuttavia questo pone l’accento su un aspetto: è palese che a queste latitudini i rapporti tifosi/polizia/società siano stabiliti in base a criteri ben differenti dai nostri. Da noi sarebbe impossibile partire dalla propria curva, fare il giro dello stadio e arrivare a contatto con il settore ospiti. Immaginate poi nel caso di uno stadio come il Luzhniki: nuovissimo e pronto a qualsiasi genere di evenienza. Basti pensare al prefiltraggio, effettuato esattamente come in aeroporto, con borse passate sotto ad un apposito scanner e metal detector per ogni tifoso in entrata. Eppure, malgrado questo, sempre nella ripresa diverse torce e fumogeni faranno la propria apparizione nella curva russa.

Una contraddizione in termini, resa ancor più evidente dalla nuova legislazione in fatto di tifo varata nell’aprile 2017. Un esempio? Per l’utilizzo del materiale pirotecnico esiste una sanzione che prevede fino a 266 Euro di multa, 15 giorni di carcere e 7 anni di Daspo. Vedendo anche le foto dei derby interni, in cui torce e fumogeni vengono ancora ampiamente utilizzati, è chiaro come tra il dire e il fare ci sia di mezzo… il rapporto che si crea tra gruppi e società.

Sia chiaro: vedere spettacoli pirotecnici sulle tribune è solo che bello per il sottoscritto e mi auguro che qua, come da noi e come ovunque, un giorno si possa smetterla con questa idiota demonizzazione di torce e fumogeni, cominciando a considerare tali strumenti come un’innocua e affascinante parte dello spettacolo calcistico.

Sull’ambiente di casa c’è poco da dire: malgrado la sconfitta e la quasi totale rincorsa del CSKA a recuperare gli svantaggi (finirà 1-2, con il pareggio temporaneo realizzato dai russi ad inizio secondo tempo) la curva canta e si fa sentire spesso con una discreta potenza che coinvolge il resto dei presenti.

Sebbene le curve locali continuino a non convincermi appieno, non si può dire che non abbiano appreso almeno i fondamentali del modello italiano. Forse mancano ancora un pochino di organizzazione ed è sempre curioso notare come nelle prime file non alberghino sempre gli energumeni minacciosi con cui spesso si identificano a livello immaginario queste curve, bensì abbondino tifosi giovanissimi o “normali”. Ma siamo in Russia e spesso la logica non è parte integrante di questo luogo!

Alle 23 locali l’arbitro decreta la fine delle ostilità. La Roma conquista tre punti con cui stacca virtualmente il pass per gli ottavi (le basterà un punto nelle prossime partite). Mastica amaro il CSKA, che dopo aver battuto il Real Madrid sognava anche il colpaccio contro gli italiani.

I sostenitori giallorossi verranno trattenuti lungamente nel proprio settore, tanto che uscendo dallo stadio – attorno a mezzanotte – li sento ancora intonare dei cori con cui probabilmente si stanno proteggendo dal freddo che ora, sì, è diventato effettivamente rigido.

Mi incammino per l’ultima volta della giornata verso la stazione Sportivnaja. Le indicazioni in cirillico trasmettono sempre un certo fascino, così come il frequente passaggio dei treni, ancora impegnati a portare da una parte all’altra della città migliaia di moscoviti. Le stazioni sfarzose, ricche di busti e lampadari dorati, mi danno la buonanotte.

La delusione del 2014 è cancellata ed ora ho la convinzione che Mosca non sia quella città grigia e scostante che avevo immaginato quattro anni fa.

Simone Meloni