Lo scorso anno feci un articolo ben delineato sulla stessa partita. Disincantato, un po’ deluso e malinconico. Quest’anno, ad onor del vero, mi verrebbe da fare lo stesso. Solo il fatto di entrare e vedere alla mia sinistra una cinquantina di granata, soli in un settore immenso e senza le loro storiche pezze che hanno scritto buona parte della storia del movimento ultras, è un qualcosa che fa crollare miserabilmente l’appeal della serata. Non me ne vogliano i presenti, ai quali sicuramente va il massimo rispetto per essersi sobbarcati la trasferta, ma sono cresciuto con il mito degli Ultras Granata e del loro modo di essere e vivere la curva. Furono uno dei primi gruppi che vidi su Supertifo ad inizio anni 2000, e mi ritengo fortunato di averli saggiati da vicino qualche anno dopo, al Comunale.

Pensavo che il ritorno in quello stadio, rammodernato per le Olimpiadi Invernali, fosse la riapertura di un ciclo importante per le due tifoserie torinesi. Non posso negare che è un impianto carino, raccolto e dove fare il tifo è un piacere. Ma purtroppo, qualche mese dopo, verrà il caso Raciti, le trasferte vietate, le limitazioni, la tessera e soprattutto lo scioglimento di diversi gruppi guida che avevano segnato il panorama curvaiolo italiano. Ultras Granata compresi. Quando se ne va uno striscione del genere, come successo anni prima con la Fossa dei Leoni, il CUCS, la Fossa dei Grifoni o le Brigate Gialloblu, è sempre un colpo che va a minare le già flebili basi di un movimento che lentamente vira verso la fine e lo spegnimento fisiologico del suo splendore.

Penso a tutto questo mentre mi siedo in tribuna stampa ed osservo le due squadre effettuare il riscaldamento. L’Olimpico presenta qualche unità in più rispetto al turno infrasettimanale con il Cesena, anche se tuttavia nelle tribune ed in Curva Nord ci sono ampi spazi vuoti. E non potrebbe essere altrimenti. Con i prezzi applicati dalla società di Pallotta, in molti si guardano bene dall’investire i propri 40 Euro per un Distinto (o 25 per una Curva Nord) in una gara di basso livello dove il campo si vede ad un chilometro di distanza. E sarò pure ripetitivo, ma lo scriverò fino alla morte. Non si vuole dare a tutti la possibilità di andare allo stadio. Secondo una logica classista, selezionatrice e, passatemi il termine, ultra-capitalista, chi non può permettersi lo sfizio deve rimanersene a casa. Altro che panem et circenses, ormai il motto da perseguire è solo ed esclusivamente pecunia non olet. Conosco molti ragazzi, anche giovanissimi, che la domenica hanno deciso di cambiare abitudini, a malincuore e con grande rabbia.

Chiedere tutti quei soldi al un diciottenne, che al massimo ha la paghetta dai genitori (i quali non è detto che navighino nell’oro, tutt’altro) vuol dire al 70% tenerlo fuori. Così come ai tanti disoccupati o alle famiglie. Già, le famiglie, quelle tanto decantate. Quelle che non vanno allo stadio per colpa degli ultras. Per paura dei bomboni, degli incidenti e dei violenti. Non perché per portare i propri figli anche solo in curva un nucleo di quattro persone spenderebbe 100 Euro. Qua di violento c’è solo il modo di intendere il calcio da parte dei suoi gestori. Ripeto, classismo. Allo stato puro. “E’ la logica del mercato”, “Una squadra vincente si comporta così”, ti senti rispondere. Ed allora ti fai due conti. La colpa non è solo ed esclusivamente di chi muove i fili, ma anche di chi ormai accetta tutto ciò ad occhi chiusi. Senza batter ciglio. In ossequio a questa “logica di mercato” che per anni abbiamo osteggiato con gli slogan più sputtanati e demagogici. Visti i risultati che ci vedono nettamente sconfitti ed assoggettati non solo alle loro necessità commerciali, ma persino ai loro tornaconti ed ai loro bisogni di gestione societaria. Il tifoso deve fare il tifoso. Non l’imprenditore.

Venendo alla partita di oggi, che dire? Sotto i riflettori finiscono gli striscioni di risposta ai napoletani, che nella gara precedente avevano mandato dei chiari messaggi ai giallorossi sui tristi fatti del 3 maggio. Ma non c’è solo questo. Lo striscione più importante, infatti, è per me quello riferito a Stefano Cucchi che recita “Lo Stato difende chi è Stato”, raccogliendo l’applauso dell’intero stadio. Una reazione che la dice lunga su come vadano le cose in Italia. Mi piacerebbe sapere che ne pensano i vari sapientoni che hanno giustificato quanto accaduto dicendo che Cucchi in fondo, conducendo una vita sregolata, se l’è cercata questa morte. Giovanardi, Ferrara, Ministri dell’Interno etc etc etc, cosa dite, stasera a Roma c’erano 40.000 tossici o 40.000 persone normali con una coscienza umana? Ai posteri l’ardua sentenza. Io la mia idea ce l’ho già. Perché mi ritengo una persona con dei sentimenti umani, non una bestia feroce ed incivile in grado di fiancheggiare e difendere vergognosamente chi uccide ragazzi inermi o li riduce in fin di vita e poi si permette di schernire i parenti e l’opinione pubblica con dita medie alzate e dichiarazioni prepotenti oltre che di stampo mafioso. Il clan difende sempre i suoi adepti. Così come lo Stato difende sempre i suoi aguzzini. Bene così, ora avanti un altro. Tanto di scuse e difese ne avete sempre pronte.

In campo il match è a senso unico. Una Roma non certo brillante regola per 3-0 i granata grazie alle reti di Torosidis, Keita e Liajic. Ennesimo spot di un calcio ridicolo dove ormai l’incontro tra le prime due della classe e buona parte del resto delle partecipanti al torneo è un affare iniquo e persino noioso. Le cose cambiano quando si esce dai confini nazionali, ma là, come in altre occasioni, c’è sempre qualche scusa da addurre pur di non riconoscere lo sfacelo a cui il nostro campionato è andato incontro ormai da tempo immemore. Ma del resto l’ammissione di colpa, come l’assunzione delle responsabilità, non è affare di una certa Italia. Quella che preferisce mentire, circuire ed usare la violenza arbitraria contro i più deboli. Dal calcio non possiamo aspettarci di meglio.

Testo Simone Meloni

Foto Lorenzo Contucci