Túró Rudi in ungherese significa letteralmente “bastoncino” (Rudi) al formaggio (il Túró è una sorta di ricotta). Ed è il nome di uno snack diffusissimo in terra magiara dal 1968. Questo dolcetto è il primo legame antropologico che mi ritrovo fra le mani scendendo alla stazione di Debrecen, dopo una breve incursione in un negozietto di caramelle. Il mio treno proveniente da Budapest ha viaggiato in perfetto orario e al controllore poco è importato che il mio biglietto fosse acquistato con uno sconto under 26. Del resto, si sa, girare per stadi ringiovanisce. E questa ne è l’ennesima prova!

Mentre finisco il mio gustoso Túró Rudi mi inoltro sulla strada che porta verso il centro storico di quella che – con i suoi 202.000 abitanti – è la seconda città d’Ungheria. Nonché un importante polo universitario. Sebbene non si direbbe. È sabato pomeriggio e traducendo alcune insegne apposte sulle serrande abbassate di quasi tutti i negozi, da queste parti è giorno di orario corto e riposo fino al lunedì. Il risultato è una disarmante città deserta, con un larvale sprazzo di vita concentrato nel centro commerciale sito a pochi passi dalla Chiesa Riformata, simbolo di una città conosciuta in patria come “La Roma calvinista”.

In realtà, a scapito del suo aspetto austero e poco vivace, va detto che Debrecen ha sempre avuto un ruolo importante nella storia ungherese. Fu qua che uno degli eroi nazionali più conosciuti e tutt’oggi amati, Lajos Kossuth, dichiarò l’indipendenza dall’Austria nel 1848 – in seno alla Primavera dei Popoli – ed è infatti a lui che è dedicata la piazza più grande della città (peraltro il suo esilio forzato a Torino, decretato successivamente alla Restaurazione, ha fatto sì che anche nel capoluogo sabaudo ci sia una via a lui intitolata). Il suo ruolo geograficamente delicatissimo (a una manciata di chilometri dalla Romania – e più precisamente da quella Transilvania tanto rivendicata dai magiari – e non distantissima neanche da Ucraina e Slovacchia) l’ha portata nel 1944 a divenire teatro di una ingente battaglia tra tedeschi e sovietici. Scontro che portò alla quasi totale distruzione del centro urbano, poi ricostruito nel dopoguerra.

La disposizione ordinata dei fiori che ornano la piazza centrale – fungendo da barriera per il tram che la taglia per intero percorrendo la strada dedicata al compositore Ferenc Liszt – sembra voler fungere da contraltare alle seriose facce delle poche persone che si incrociano per strada. Ma soprattutto assume un significato molto simbolico, quello di rammentare il Virágkarnevál, il Carnevale dei Fiori. Evento che dal 1966 (prima edizione) richiama in città molti visitatori nel mese di agosto e che va a sovrapporsi alla Festa di Santo Stefano, che in Ungheria rappresenta la ricorrenza più importante a livello nazionale, essendo l’anniversario della canonizzazione del Re Stefano I, riconosciuto come fondatore della Patria.

Certo, diciamo che di tutto questo tripudio di colori, della gente affacciata alle finestre festante e delle diverse attrazioni che in quel periodo affollano la piazza, oggi non solo non vi è traccia, ma appare persino difficile immaginarle. Meglio consolarsi con una pinta di Pécsi Sör, una buona birra prodotta – per l’appunto – nella città di Pécs, e nel mentre scorgere alcuni volantini realizzati dagli ultras del Debrecen per invitare le persone allo stadio.

L’odierna sfida con il Videoton sembra essere alquanto sentita, in virtù dell’ormai consolidata rivalità tra le due fazioni. Il Debrecen non ha iniziato il campionato nel migliore dei modi e naviga mestamente nella parte bassa della classifica. Sebbene da metà anni duemila questo club abbia avuto il merito di riportare in auge il calcio ungherese – tornato a disputare la fase finale della Champions League vent’anni dopo l’unica apparizione targata Ferencvaros -, sfidando tra gli altri anche Fiorentina e Torino. La storia ne tradisce le forti origini proletarie. Il suo nome (Debrecen Vasutas Sport Club) significa letteralmente Club Sportivo dei Ferrovieri (questi ultimi sono i vasutas in lingua magiara) e il nomignolo con cui è ancora oggi riconosciuta dai tifosi (“Loki” da Lokomotiv) restituisce l’idea di quanto la gente biancorossa sia legata alle proprie radici.

Peraltro da queste parti la ferrovia ha sempre giocato un ruolo fondamentale, essendo uno snodo cruciale del tracciato per Leopoli e Kiev. Sembra quasi normale, allora, che la rappresentativa calcistica sia nata per volontà di lavoratori così importanti in ambito cittadino. Un qualcosa che me li fa guardare con un occhio di simpatia, in virtù della mia passione per le strade ferrate. Ribaltando completamente lo scetticismo che ho sempre nutrito verso un sodalizio che – per ignoranza, ammetto – guardavo con un certo sospetto, credendolo privo di tradizioni e solo figlio dell’ennesimo esperimento di qualche facoltoso magnate dell’Est Europa. Tante volte prima di parlare bisognerebbe leggere e informarsi. Faccio quindi mea culpa.

Il Debrecen è anche il club che – con tutta probabilità – ha conosciuto il maggior sviluppo in ambito economico e infrastrutturale. Basti pensare al Nagyerdei Stadion, modernissimo impianto di 20.340 posti inaugurato nel 2014 in sostituzione dello stadio Oláh Gábor Út, che con la sua massima capienza di 10.000 spettatori e la sua struttura da vecchio impianto socialista, non faceva più al caso per le rinnovate e ambiziose mire della società. Suddetto sviluppo ha comportato una netta ascesa da metà anni ’90 al 2019 (anno del ritorno in seconda divisione), arco temporale in cui il DVSC ha conquistato ben sette scudetti e cinque coppe nazionali. Ponendosi, di fatto, al di sopra delle storiche squadre di Budapest. Traguardo tutt’altro che semplice se si pensa all’aspetto Budapest-centrico del football magiaro.

Sarà un caso, ma il primo nugolo di gente che sembra intenzionata a vivere e divertirsi, lo noto proprio quando l’orario del fischio d’inizio si sta avvicinando e diversi ragazzi con la sciarpa biancorossa fanno la loro apparizione in centro. Non so molto sul tifo organizzato locale, né su quello ospite. So soltanto che ci saranno ambo le tifoserie e ovviamente nutro molta curiosità sul loro approccio allo stadio. A dire il vero neanche mi aspetto chissà cosa, limitandomi ad annoverare il tutto come un’esperienza “formativa”.

Quando decido di avviarmi verso lo stadio manca un’oretta all’inizio del match. Il tram passa immediatamente e dopo quattro fermate sono a destinazione. L’impianto è incastonato in un bel parco e la temperatura tiepida favorisce ovviamente le maniche corte e qualche birra bevuta attorno al suo perimetro. Non ci si possono aspettare grandi numeri, questo è lapalissiano: parliamo di un campionato nazionale con un livello medio basso, di una squadra cittadina che non è tra le pretendenti al titolo e di uno stadio che – va detto – è sin troppo grande per la richiesta effettiva media di biglietti.

A pochi passi, tra l’altro, è ubicato il palazzetto. Altro centro nevralgico per gli sportivi locali. Anche da queste parti, infatti, sono diverse le tifoserie che non si “accontentano” del calcio ma danno vita a un discreto seguito anche in altri sport di squadra come pallamano, hockey, volley etc etc. Una mentalità molto filo-balcanica, che pone la difesa dell’identità cittadina d’innanzi a tutto. La curiosità è che il giorno precedente, presso succitato palazzetto, si è svolta la medesima sfida odierna tra le squadre di pallamano. “Un riscaldamento” come si poteva leggere sulla pagina ufficiale degli Ultras Debrecen 1994, che hanno regolarmente presenziato al confronto.

Ma esattamente chi è il Videoton? Da dove viene? Perché si chiama così? Quando si affrontano argomenti relativi alla genesi di club est europei bisogna sempre avere pazienza e cercare un minimo di entrare nelle contorte (e spesso sporche) storie che ne caratterizzano l’evolversi. Cominciamo con il dire che la città d’origine di questo club ha un nome per noi non solo impronunciabile, ma anche illeggibile: Székesfehérvár. Abbreviata spesso come Fehérvár e conosciuta in italiano come Albareale. In terra magiara è spesso chiamata “Città dei Re” in quanto luogo eletto – assieme a Buda e a Presburgo (l’attuale Bratislava) – all’incoronazione dei Re ungheresi. Situata vicino al Lago Balaton, dista 316 km da Debrecen, rendendola di fatto una delle trasferte più lontane per una Paese che da Ovest a Est si estende per circa 500 km.

Il nome Videoton non è in realtà più quello ufficiale. Il sodalizio è attualmente chiamato MOL Fehérvár (la MOL è una grande azienda petrolifera nazionale, Vidi è lo storico soprannome) e dalla sua fondazione (avvenuta nel 1941) ha spesso cambiato nome. Sebbene i tifosi siano rimasti attaccati a quello in vigore dal 1968 (la Videoton era l’industria di materiale elettronico che sponsorizzava il club) al 2005. Una dicitura sotto la quale i rossoblu vantano anche il raggiungimento di una finale di Coppa Uefa, persa nel 1985 contro il Real Madrid (ultima squadra magiara ad aver disputato una finale continentale). Il cambio di denominazione (che in realtà avvenne già nel 2015, quando il sodalizio diventò FC Fehérvar, per poi diventare MOL Vidi nel 2018) ha portato a grandi proteste in seno alla tifoseria organizzata, che per diverso tempo ha totalmente boicottato sia in casa che in trasferta.

Gli ultras hanno deciso di rientrare sulle gradinate da qualche tempo, in virtù della decisione della società di togliere la scritta MOL dallo stemma e trasformare il nome da MOL Vidi a MOL Fehérvár.

Si tratta quindi di una sfida tra due club e due città storiche e importanti. Situate quasi alle due estremità del Paese e – come detto – divise da rivalità. Gli ingredienti giusti ci sono tutti.

Il Nagyerdei Stadion da fuori ricorda vagamente l’Allianz Arena di Monaco di Baviera, sebbene le insegne qua siano quasi tutte in ungherese e inizialmente fatichi non poco a capire quale sia l’ingresso per la stampa. Fin quando una graziosa pulzella, leggendo la mia irritazione, mi suggerisce di seguire le indicazioni sajtó. Vale a dire, stampa. Ovviamente una volta varcato il cancello sajtó del mio accredito non vi è minima traccia. Ma la cosa non sembra interessare molto all’ufficio stampa, che in quattro e quattr’otto mi rilascia un pass con tanto di acqua, cibo e invito a divertirmi e passare un buon match. Beh, non male questo bipolarismo in salsa magiara!

Lo stadio al suo interno è oggettivamente bello e nella curva di casa si è sistemato un bel gruppone pronto a sostenere i Loki. Scrutando bene tra le loro pezze, mi accorgo che sono presenti anche gli ultras del Diósgyőr, storica squadra della città di Miskolc. Mentre a centro curva fa capolino una bandiera rossoblu con la scritta Viperoton Fehérgàz, che dev’essere chiaramente uno sberleffo all’indirizzo della tifoseria ospite ma di cui anche volendo non riesco a fare la traduzione. Quindi se qualche ungherese leggesse questo pezze e lo stendardo ha contenuti altamente offensivi o discriminatori sappia che io non c’entro nulla (sic!).

Quando l’arbitro comanda l’avvio delle ostilità i supporter del Videoton ancora non hanno fatto il loro ingresso, mentre i biancorossi di Debrecen si mettono in evidenza con una bella sbandierata e diversi stendardi tenuti all’insù. Da quanto ho potuto capire, la pirotecnica è usata principalmente nelle gare di cartello ed è comunque oggetto di sanzioni pecuniarie per i club. Quindi credo che il suo utilizzo sia cadenzato a seconda del caso.

Capitolo tifo: la curva di casa si cimenterà in una prestazione davvero di ottima fattura. Tante manate, molto colore grazie a bandiere e bandieroni e ottima intensità tenuta tutto il match. Il repertorio, manco a dirlo, è di matrice italiana. Con tutte le hit presenti e passate delle nostre Curve e un’impostazione molto vicina alla nostra. Quindi, come detto per il derby di Budapest, sebbene i palestrati non manchino, siamo ben distanti dallo stile plastificato e robotico dei polacchi. Se devo muovere delle critiche, lo faccio giusto verso lo spirito “tamarro” che sembra animarli in alcuni frangenti. Su tutti: l’amplificazione del lanciacori che a volte risulta davvero esagerata, andando a creare più rumore dello stadio intero. Va bene poter spronare i presenti, ma così sembra più il vocalist di una discoteca pomeridiana anni ’90!

E gli ospiti? Proprio quando – al 15′ – comincio ad avere dubbi sulla loro presenza e il mio umore inizia a vacillare, eccoli fare il loro ingresso con striscione, tamburo e megafoni alla mano. Saprò più tardi che hanno avuto problemi con la stampa dei biglietti. La loro entrata ovviamente accende anche la Curva biancorossa, che li accoglie con insulti prontamente rispediti al mittente. Lo scambio di vedute si ripeterà per tutto il match, andando a rendere frizzante una contesa che in campo non è certo di prim’ordine.

Benché i numeri non siano strabilianti (ma questo è il pubblico ungherese, non si può pretendere di più per un’infinità di motivi, tra cui l’evidente mancanza del tifoso medio per club che non siano quelli della Capitale) il modo di approcciare alle gradinate è impeccabile. I ragazzi di Székesfehérvár si sistemano dietro lo striscione RBD 1992 (Red Blue Devils) e saranno autori di una bella prova. Non un minuto di pausa, tanta voce e tante mani. Quella del Vidi resta comunque una realtà navigata, che può vantare anche un discreto rodaggio europeo, nonché amicizie di caratura internazionale come quella con i tedeschi dello Zwickau. A voler trovare un difetto, forse, la mancanza di qualche bandiera. Ma per i cultori dello stile “asciutto” c’è davvero ben poco da dire. Per me – che ormai da tanto tempo sono più cultore di ciò che vedo che di idee pregiudizievoli – l’impressione è ottima. E da novello osservatore di tifoserie magiare rimango più che soddisfatto!

In campo è un gol di Babunski a regalare i tre punti al Debrecen. Un successo che riempie di gioia i presenti, facendo incassare tre punti fondamentali dopo un avvio di stagione problematico e dando il la, invece, alla contestazione degli ultras del Videoton che – per la serie “tutto il mondo è paese” – a fine gara si intratterranno a lungo con la squadra, partita evidentemente con ben altri obiettivi ed eliminata in maniera rocambolesca dalla Conference per mano del Colonia e claudicante ora in campionato.

Resto all’interno del terreno di gioco finché quasi tutti non hanno abbandonato gli spalti. Del resto il mio treno per Budapest partirà alle due di notte, quindi di tempo ne ho parecchio. È sceso anche un freddo pungente e quando mi avvio al tram per tornare in centro, mi imbatto in alcuni ragazzi che stanno cantando – in un italiano alquanto dubbio – un coro molto in voga nella curva della Salernitana. Ciò la dice lunga su quanto le nostre tifoserie riescano ancora a calamitare l’attenzione oltre le Alpi.

Le ore che mi separano dal treno, manco a dirlo, vanno via tra cibo e qualche pálinka. Quando arrivo sulla banchina mi accorgo con discreto stupore che il mio convoglio è praticamente stracolmo. La controllora dapprima – credendomi ungherese – mi guarda cercando la mia complicità mentre inveisce contro alcuni ucraini che, evidentemente in diritto di viaggiare gratis ma senza un qualche documento ad attestarlo, le fanno perdere tempo irritandola mortalmente, mentre poi, una volta accortasi del mio biglietto under 26 si spazientisce provando inutilmente a contestarmi l’irregolarità. Sono le due di notte, ovviamente davanti a lei non parlo né inglese, né tanto meno ungherese. Lei capisce, sbuffa, probabilmente mi offende, e se ne va.

Tiro fuori il mio secondo Túró Rudi di giornata e lo sgranocchio ridendo. Mi rimetto a dormire facendomi cullare dal treno e dalla furente vasutas, che continua a urlare avanti e indietro per il vagone.

E vissero tutti felici e…viaggianti!

Simone Meloni