Metti un lunedì sera di inizio maggio. Metti una giornata qualunque, lavorativa e per di più non stupenda dal punto di vista meteorologico. Roma è una polveriera in questi ultimi giorni. I fatti della Coppa Italia hanno attirato tutta l’attenzione mediatica nel quadrante Nord della città, laddove ha sede lo Stadio Olimpico. L’aria pesante si taglia a fette e le mie ultime apparizioni in Viale dei Gladiatori hanno giocoforza coinciso con un ambiente tutt’altro che familiare e piacevole. Così, a prescindere da tutto, in questa serata spero di poter dimenticare per qualche ora il lavaggio di testa degli apparati dis-informativi e la scure della repressione che sembra sia ancora una volta pronta ad abbattersi puntuale sul nostro mondo.

Una volta uscito dal lavoro, con la macchinetta ben messa nello zaino, posso percorrere l’infame Tiburtina a bordo di un autobus extraurbano e poi imbarcarmi sulla metropolitana fino a Piazzale Flaminio da dove, con il classico tram numero 2, sono a destinazione in una ventina di minuti.

Prima di passare alla strenua cronaca della serata, bisogna contestualizzare questo avvenimento. Di Padre in Figlio nasce dall’idea di Pino Wilson, storico pilastro della Lazio scudettata del 1974, con l’intento di riunire i reduci di quella impresa, ma anche altre compagini che hanno scritto in maniera indelebile la storia del club biancoceleste, come i Ragazzi del -9, quelli degli spareggi di Napoli per evitare la Serie C (1987) per intenderci, e quelli del secondo scudetto del 2000. Attorno a ciò si è organizzata una vera e propria parata di tutte le componenti della Polisportiva con la chicca dell’iniziativa dei tifosi: riportare allo stadio tutti gli striscioni che hanno fatto la storia del tifo laziale.

Si può avere simpatia o meno per la Lazio, si può essere suoi tifosi o suoi nemici, ma vi domando: da amanti del mondo ultras quale siamo, quante occasioni ci possono ricapitare di vedere pezze storiche come quelle degli Eagles Supporters esposte in un’era in cui vengono vietate persino magliette politicamente scorrette o cori di presunta discriminazione? Davvero poche. È principalmente questo quello che oggi mi spinge verso l’Olimpico. Inoltre i biglietti venduti sono circa 60.000, chiaro segno di come le famiglie allo stadio non si portino con la repressione o le stucchevoli campagne diffamatorie di Gazzetta e Repubblica. La gente ha voglia di andare allo stadio. I tifosi italiani hanno ancora tanta passione, perché questa è una caratteristica del nostro frastagliato e scalcinato popolo. Ma al contempo i tifosi meno accesi, ma non solo, non hanno voglia, soldi e tempo da perdere con il folle Modello Italiano. In tempi di recessione, chi è disposto a spendere minimo 80 euro per portare un nucleo familiare in un settore come quello di curva dell’Olimpico? Con cento controlli, biglietti nominativi, campagna terroristica attorno a qualsiasi avvenimento calcistico e spesso ridicole decisioni anche verso bambini che vogliono far entrare bandiere o striscioni? In pochi, dico io. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Oggi è bastato mettere i tagliandi a prezzi davvero popolari (curve 3 euro, Tribuna Tevere 7 euro), non rendere lo stadio un check-in di guerra e non far gestire una società a loschi figuri come Lotito. Risultato? Stadio pieno. Semplice. Altro che modello inglese, tedesco, vietnamita o cingalese.

Attraverso Ponte Duca D’Aosta che già in centinaia di persone con le sciarpe della Lazio mi circondano. Sono le 18:30, i cancelli sono ancora chiusi ma oggi, fortunatamente, potrò evitare la fila con il mio accredito da fotografo. Ritirarlo non è molto semplice, essendo la mia prima volta assoluta in campo all’Olimpico. Alla fine riesco a capire che il botteghino è posto proprio di fronte allo Stadio dei Marmi, ed una volta presso biglietto e pass entro proprio all’interno del sempre suggestivo impianto di atletica, dove tutte le polisportive si stanno radunando per preparare al meglio l’ingresso sul terreno di gioco. Di polizia ce n’è davvero poca, anche se i soliti noti che da anni gravitano attorno allo stadio sono presenti, ma oggi tutto sembra essere fatto in maniera blanda.

Chiedo ad uno steward dove debbano entrare i fotografi, mi indica la Tribuna Tevere. Sono alquanto perplesso, da che mondo è mondo i giornalisti entrano in Monte Mario. “Magari oggi hanno organizzato diversamente”, mi dico. Trovare qualcun altro a cui chiedere non è cosa facile e la gente, spazientita dai tornelli che ancora non vengono attivati, comincia a premere lamentandosi. Trovo aperta una sorta di porta carrabile dove, mostrando il mio pass, mi fanno entrare pur non sapendo minimamente dove indirizzarmi. Chi fa da sé, fa per tre. Realizzo che non è possibile che i fotografi entrino da qua. Allora percorro tutto il perimetro dello stadio dall’interno, facendomi aprire tutte le porticine fino alla Monte Mario. Soddisfazione non da poco se ripenso a come funzionano le cose da queste parti in campionato, con sceriffi sempre integerrimi di fronte a ragazzini che chiedono di passare dal Distinto alla Curva. Sembra di esser tornati indietro di una decade.

Incontro il buon Federico, uno che ormai è habituée del tartan dell’Olimpico, mi faccio fare da cicerone per evitare ulteriori figuracce. Camminando nella pancia dello stadio, noto come ci sia proprio un altro mondo rispetto a quello stadio che ho sempre vissuto. Poltrone, televisioni al plasma, computer ed una serie infinita di hostess con minigonne da capogiro (sic!). Eccomi finalmente a bordo campo. Alla mia destra, in Curva Sud, non posso far a meno di notare subito lo striscione Eagles Supporters. Oltre quaranta metri di stoffa poggiati in balaustra. Come ai bei tempi. Come quando i tifosi erano al centro di questo sport, e non un fastidio in più da eliminare. Come quello del Commando Ultrà Curva Sud. Come quello della Fossa dei Leoni. Come quello della Fossa dei Grifoni. “Vecchie favole di un’epoca un po’ più in là…” dicevano i Gatti di Vicolo Miracoli. Per me questo mondo, di tanti anni fa, è più un qualcosa di mitologico che di concreto e toccabile. Da piccolo, ricordo ancora con orgoglio, che a prescindere dalla mia fede calcistica, sognavo un giorno di entrare nello stadio della mia città e rivedere tutte le vecchie insegne, le vecchie maglie ed il vecchio calcio. E la cosa triste, è che mi rendo ormai conto che anche quello vissuto nella mia infanzia/adolescenza, è ormai qualificabile come “vecchio calcio”. Ma sfido anche il più acceso dei romanisti o dei laziali, con l’amore per il movimento ultras, a non voler rivedere almeno per una volta lo striscione del CUCS o degli ES.

Come detto, le prime ad entrare sono le varie sezioni della polisportiva, c’è davvero ogni genere di disciplina. Di alcune, lo devo ammettere, non conoscevo neanche l’esistenza. Lo stadio va pian piano riempiendosi e tra una quantità infinita di bandiere, comincio a rivedere tanti striscioni così vicini ma così lontani a livello temporale. In Sud ci sono le varie sezioni degli Eagles, oltre alle Ardite Schiere. In Tevere non mancano chiaramente i Veterani mentre in Nord tornano a far capolino gruppi storici come Banda Noantri, Viking ed Irriducibili. La quantità di torce, e la continuità con la quale esse vengono accese, è impressionante tanto da darmi l’impressione di essere al Marakana di Belgrado in occasione del derby. Ovviamente il primo bersaglio del pubblico non può che essere Claudio Lotito, il quale viene deliziato dai presenti con cori tutt’altro che amichevoli. A tal proposito, da sottolineare il patetico comportamento del patron laziale che sino all’ultimo istante ha tentato di sottrarre il figlio di Maestrelli all’evento, invitandolo alla presentazione delle maglie ufficiali per la prossima stagione tenutasi a Piazza San Silvestro, senza ovviamente ottenere l’effetto desiderato. Lo stesso Lotito poi, va ricordato, è quello che la domenica partecipa agli squallidi salottini di Giletti dipingendosi come perseguitato e vittima dei tifosi e proponendo carcere a vita per gli stessi che osano andare contro il suo operato.

Fortunatamente oggi lo spirito è diverso e mi piace sottolineare come, non essendo una manifestazione ufficiale, possano far ingresso, senza problemi, sia gli artifizi pirotecnici che i ragazzi sottoposti a daspo. Una gioia a dir poco meritata per chi, spesso, paga oltremodo il proprio essere. Ed un qualcosa che dimostra palesemente l’ipocrisia del nostro sistema. Soprattutto per quanto riguarda la pirotecnica. Se questa è ritenuta pericolosa durante le partite di Serie A, perché non lo è durante un evento non ufficiale? Voglio dire, se tiro una bomba in guerra o la tiro al parco dietro casa, sempre dei morti farò. Non è che per caso ci sono degli interessi nel vietarla durante le partite organizzate da Lega e UEFA? Domanda retorica, manco a dirlo.

Quando la sfilata sta per volgere al termine, per lasciare spazio al triangolare, le due curve propongono le prime coreografie della serata. La Nord si colora di tante bandierine verdi, bianco, rosse che compongono un tricolore all’interno del quale fanno bella mostra bandieroni e torce, mentre gli Eagles colorano la Sud con tanti palloncini biancocelesti e lo striscione “La mia Lazio”. Passo velocemente da un lato all’altro per immortalare tutto e la sensazione che ho, stazionando sotto il cuore del tifo laziale, è che dopo tanto tempo gli ultras abbiano rimesso piede allo stadio con il piacere di farlo. C’è gente che si abbraccia e persino chi piange mentre le note di “Vola Lazio Vola” vengono intonate da tutti i presenti e la Banda Maestrelli fa l’intero giro di campo fermandosi sotto le due curve. Strana faccenda l’antropologia del tifoso. Ma bellissimo vedere papà che mettono in mano ai bambini torce e fumogeni. Uno spot per il Viminale, per l’Osservatorio e soprattutto per tutti quei media che fuorviano l’opinione pubblica con i loro peti editoriali.

I giocatori cominciano a fare il loro ingresso in campo. Ci sono tanti volti noti. Alcuni recenti, come Mancini, Nesta, Conceiçao, Mihaijlovic e Peruzzi. Altri più datati come Giordano, Signori, Pulici, D’Amico. Peraltro è sempre molto divertente constatare come tanti fisique du role di un tempo, siano leggermente lievitati una volta terminata l’attività agonistica. Rimango impressionato dalla faccia di Nesta, uno che da queste parti è stato capitano e che lasciò con il cuore infranto Formello per raggiungere Milano, sponda rossonera. Per lui ci sono solamente applausi ed i suoi occhi quasi in lacrime, la dicono lunga su come anche i calciatori, quando non vengono sistematicamente manovrati da un sistema che è inevitabilmente più grande di loro, a volte possano essere uomini con sentimenti ed emozioni.

A riscuotere ovazioni ci sono anche Beppe Signori, Il Mancio e soprattutto Bruno Giordano, omaggiato anche con uno striscione dalla Curva Nord. Il grande assente è ovviamente Giorgio Chinaglia, la cui gigantografia campeggia in Distinti Sud nella classica posa che lo ritrae durante l’esultanza dopo un gol segnato nel derby con il dito alzato verso la curva romanista.

Gli Eagles ricordano Giuliano Fiorini, indimenticato eroe della Lazio partita con la penalizzazione di 9 punti in Serie B e salva solo dopo gli spareggi con Taranto e Campobasso al San Paolo. Il suo gol negli ultimi minuti di Lazio-Vicenza permise ai biancocelesti di accedere agli spareggi, evitando la retrocessione diretta ed il probabile fallimento. Altro calcio, altra gente, altri sentimenti.

È il turno poi del “presidentissimo” Sergio Cragnotti. “Cragnotti caccia Lotito” oppure “C’è solo un presidente” sono gli slogan più gettonati per il massimo artefice del secondo scudetto, quello nell’anno del centenario. Si comincia a giocare, con i presenti che si divertono ed il pubblico che segue calorosamente. Nella mia frenesia dell’andirivieni sul tartan della pista d’atletica, noto che sopra allo striscione degli Eagles sono poste una miriade di torce pronte ad essere accese. So che da un momento all’altro quindi ci sarà uno spettacolo che difficilmente (mai) riavrò l’occasione di immortalare. Fortuna vuole che quando la prima torcia prenda luce io sia proprio là sotto. Uno spettacolo senza tempo. Proprio come quelli che vedevo da bambino sulle foto anni ’80. Lo speaker ed il pubblico applaudono. Mi chiedo perché se questo accadesse domenica, durante una gara di campionato, i Piccinini di turno ne prenderebbero subito le distanze gettando fango ed infamia verso tutta questa creatività che definirei, senza problema, vera e propria vena artistica.

Molto interessante, sempre nell’ottica dell’analisi sociologica, vedere come in Sud siano davvero in tanti con i capelli bianchi e le vecchie sciarpe degli ES al collo, emozionati come fosse la prima volta. Di tanto in tanto parte anche qualche coro ormai perso nel tempo, e l’orgoglio con cui viene cantato, da questi signori di ormai mezza età, è un qualcosa che mi rimarrà impresso per sempre.

Tanto è il materiale da fotografare che comincio addirittura a perdere l’orientamento ed il senso del tempo, al punto da non capire che la manifestazione sta volgendo al termine. Ma le sorprese non sono finite qui. Cominciano a sfilare sotto la Nord i vari idoli laziali che, afferrati per le braccia, si mischiano volutamente con i tifosi, senza farsi alcun problema. Perché fino a qualche tempo fa era così. Non dovevi rendere conto a Bocca di Repubblica e ai Catapano della Gazzetta se esultavi beatamente con i tuoi tifosi. Roberto Mancini, uno che con il pallone, come si dice in gergo, ci faceva l’amore, oltre ad essere un signore distinto e mai fuori le righe, era tra i più entusiasti e felici di ricevere il calore della tifoseria, benché, come da lui dichiarato, il suo cuore sia soprattutto blucerchiato. Una commistione, un trait d’union bello, semplice e genuino. L’antidoto al calcio moderno.

E c’è spazio anche per l’ultima scenografia. Tante stelline illuminano la Nord mentre sciarpe, stendardi e bandiere vengono alzate orgogliosamente al cielo. Penso che se ogni settimana fosse così, forse anche noi torneremmo a ragionare con meno isteria, evitando spesso di prestare il fianco a chi ci vuole morti. C’è tempo per le ultime foto, poi lo stadio comincia a sfollare. Sono le 23. Il giorno dopo si lavora e per chi, come me, si sposta con i mezzi è l’ultimo appello per prendere l’ultima corsa della metropolitana che partirà alle 23:30. Accelero il passo e mi divincolo nel caos del deflusso, riuscendo ad arrivare relativamente presto al tram.

Serate come queste dovrebbero essere sintomatiche per tutti coloro i quali governano il nostro calcio e fanno della lotta al tifoso una vera e propria ragion di Stato. Il tifoso rimane la parte più pulita del calcio. Forse l’unica. E ricordatevi sempre che un bambino lo si fa contento con poco: un bandiera, un fumogeno ed una sciarpa. Per stasera è davvero tutto, quello che c’era da vedere l’ho visto.

Simone Meloni.