Premessa

Premessa necessaria per la lettura del seguente resoconto: chiunque abbia poca fantasia di leggere, mi ritenga logorroico, trovi le mie descrizioni di viaggio, spostamenti e aneddoti noiosi ed eccessivamente prolungati, non si trova sulla pagina giusta. Un momento di gloria, seppur piccolo, va raccontato per bene. Romanzato se è necessario.

Per me, piccolo cronista cresciuto ed abituato orgogliosamente ai campetti dell’Eccellenza e della Serie D, venire accolto dalla società campione d’Inghilterra a braccia aperte, senza pregiudizi ed anzi trattato da giornalista al pari di chi scrive per The Guardian o The Indipendent è stato un orgoglio, ed anche l’ennesimo input per farmi capire, purtroppo, di come alcune cose in Italia funzionino davvero al contrario.

In questa premessa non posso non menzionare i rifiuti, gli ostacoli burocratici, il fango gettato su un certo tipo di stampa e la costante presunzione che alcune società calcistiche, che spesso non hanno neanche mai sognato di giocare un minuto di Serie B, figuriamoci di Serie A, hanno sempre frapposto nei miei confronti e in quelli di sodalizi editoriali come Sport People. Accrediti rifiutati per aver fatto un video di troppo alla tifoseria o per un articolo non conforme alla volontà societaria, richiami perché non ancora in possesso di tessere professionali e tanta, ma davvero tanta, spocchia ingiustificata. Poi, di colpo, arriva il Manchester City. Il M-A-N-C-H-E-S-T-E-R C-I-T-Y, non la Pro Caccolese o il Real Zabaione, e ti fa capire che in fondo, dove esiste un minimo di libertà d’espressione, seppur con i suoi limiti, perché la perfezione non esiste, c’è spazio anche per te. Che non sarai Gianni Brera, ma neanche un totale analfabeta in grado di sfogliare libri capendone solo le immagini.

L’ANDATA

Per raggiungere il nord dell’Inghilterra ho dovuto optare per un percorso assai tortuoso, ma per il sottoscritto affascinante e soprattutto in grado di farmi risparmiare qualche Euro. La partenza è fissata dalla Stazione Termini, con il Frecciargento per Brescia, poi Regionale per Bergamo, aereo per Londra e treno per Manchester. Il ritorno, un po’ meno accidentato, prevede pullman fino a Londra e aereo per Roma. Insomma, una bella “zingarata” on the road, che non posso far a meno di riportare lungamente su queste pagine. Perché il tempo cancella spesso la memoria, ma non l’inchiostro. E tra qualche anno rileggerò queste righe con piacere, ne sono certo.

L’adrenalina del risveglio

Roma, Cinecittà. Ore 7:15 del mattino. La sveglia suona, non ho fatica ad alzarmi. L’adrenalina per il viaggio mi ha preso sin dalla sera precedente, quando preparando i bagagli ho riguardato cento volte documenti e biglietti affinché ci fosse tutto. Con il rincoglionimento che spesso mi ritrovo addosso sarei capace di lasciare la carta d’identità a casa, ricordandomene solo al momento del check-in.

Sento mio padre che di là prepara il caffè prima di andare a lavorare, mi butto sotto la doccia e con la testa vado indietro di qualche anno. “Ma ‘ncora co’ ste trasferte? Ma nun c’hai gnente de mejo da fa nella vita?”, era il leitmotiv genitoriale prima della partenza con destinazione, spesso, l’altro capo d’Italia. Ormai queste domande non ci sono più, come non ci sono più le trasferte. Ma pensarlo mi fa bene, mi dà serenità e gioia in quello che sto facendo. Sento che anche se si tratta di un qualcosa non necessario per l’umanità, è sufficiente a farmi stare bene. È un lato che apprezzo di me, devo essere sincero ed anche un po’ narcisista. Il saper viaggiare con la testa prima, col cuore poi e con il corpo ancora. Senza accusare mai la stanchezza, senza mai pentirmene e senza mai perdere le opportunità.

Prendo lo zaino che, tra computer e macchinetta, pesa un accidenti (otto chili e mezzo, pesato da mio fratello la sera precedente) e mi avvio verso il portone. Ma chiaramente non può mancare la solita dimenticanza. Il caricabatteria del cellulare. Faccio gli stessi passi a ritroso e trovo mio padre sulla porta che si offre di accompagnarmi fino alla metropolitana. Nel breve tragitto mi fa qualche domanda sul viaggio e mi parla dell’eventuale formazione con cui la Roma scenderà in campo, del fatto che un punto sarebbe un buon risultato e che Manolas, con il veloce attacco mancuniano, potrebbe vedersela brutta. Se da un lato non capisce perché nella mia vita abbia deciso di andare appresso, fisicamente, al pallone, dall’altra lo apprezza: l’ho sempre pensato. Come si apprezzano i malati di mente nei loro deliri.

La stazione di Porta Furba non è certo utile a riconciliarti con il mondo. Da sempre buia, tetra e ristretta. Non si sa perché, ma qualcuno ha deciso che al Quadraro, per prendere la metro, devi prima entrare in un film di Dario Argento. Sta di fatto che i vagoni sono ovviamente pieni, è l’ora di punta e c’era da aspettarselo. Essendo in orario però non sono preoccupato da eventuali rallentamenti che stranamente neanche ci saranno.

Scendo a Termini alle 8:30, con il mio treno che si lascerà la Capitale alle spalle alle 9:15. Una volta salito in stazione faccio un paio di giretti e becco un ragazzo che conosco da anni e che lavora allo Chef Express, ovviamente la conoscenza, manco a dirlo, è avvenuta in ambito curvaiolo, e quindi mentre serve scoglionati turisti e frenetici pendolari, scambiamo quattro chiacchiere sull’evoluzione del movimento ultras e sul mio viaggio. Una stretta di mano per salutarci e mi avvio al treno.

Viaggio in rotaia, a costo zero

Altra chicca è il biglietto a costo zero per questo convoglio Alta Velocità. Grazie ai punti accumulati con Cartafreccia ho potuto infatti usufruire di un free journey, un vero lusso. Mi metto a sedere e dopo qualche minuto si parte. A breve giro vedo passare all’esterno Firenze, Bologna e Verona. A Brescia arrivo che l’orologio segna le 12:50. A ripensare ai primi viaggi in treno che facevo per lunghe distanze, i tempi sono davvero cambiati. In adolescenza, e non solo, ho passato buona parte della mia vita su Espressi o Intercity che impiegavano 7-8-9 ore per arrivare a Milano, oggi invece con 3 ore e 45 minuti ho percorso praticamente gli stessi chilometri. È importante. Sono le cose che ti danno l’illusione, ma solo quella, di non vivere proprio nel terzo mondo.

Arrivato a Bergamo devo assistere ad uno dei tipici teatrini del nostro Paese. Il convoglio si ferma su una banchina strettissima dove ci sono già diversi passeggeri ad attenderlo per ripartire alla volta di Brescia, chiaramente c’è davvero poco spazio per le persone in discesa, così invece di prevenire una simile situazione, facendo fermare il treno ad un altro binario, qualche mente sapiente ha ben pensato di schierare una ventina di poliziotti sulla banchina successiva, in modo che chiunque provi ad attraversare le rotaie venga fermato, identificato e multato. Ora, premesso che vedendoli dal finestrino avevo già capito il loro fine ultimo e quindi mi sono ben guardato dal traversare i binari, vorrei parlare con l’ideatore di questa “fenomenata” per fargli vedere la faccia di signore cinquantenni e di uomini di ritorno dal lavoro mentre la polizia chiedeva loro i documenti per sanzionarli. La vergogna e l’incompetenza non hanno mai fine da queste parti, è proprio vero.

Verso l’aeroporto

Fatte le dovute considerazioni posso portarmi all’esterno della stazione. Non credo di esagerare se identifico Orio al Serio terzo, dopo Fiumicino e Ciampino, nella mia scaletta delle maggiori frequentazioni aeroportuali. Per raggiungerlo, come al solito, opto per il bus di linea numero 1. L’attesa è in mezzo alla moltitudine di ragazzi che escono dalle scuole locali, oltre che ai turisti armati di valigie e borsoni. Tra di loro spiccano in assoluto due inglesi incredibilmente molesti. Vestiti come le migliori caricature britanniche e già visibilmente brilli, fanno commenti su ogni ragazza gli passi vicino, eruttando vari rumori corporei non ben tollerati dai presenti. Così sarà tutto il viaggio sull’autobus, che fortunatamente dura solamente un quarto d’ora.

Il piccolo scalo seriano è funzionale e facilmente utilizzabile. Preso il biglietto dalla tasca dello zaino, mi metto in fila per effettuare il classico controllo. Devo dire che è assolutamente il momento che odio negli spostamenti. Prendere l’aereo ha di bello solamente la velocità con cui si possono raggiungere le mete. Non poco direte voi, ma tra controlli, file e lotte per portare il bagaglio a mano è un qualcosa di davvero stressante. Eppure, io trovo subito il mio bel da fare. Ho con me diversi panini, ma uno in particolare è stato fatto pensando ad un noto giornalaio di Contursi Terme. Polpette, ragù ed una spruzzata di parmigiano. La morte sua praticamente. Mi piazzo vicino una sedicente vecchietta transalpina ed ingurgito di gran gusto il panino. Non scendo poi nei particolari, ma farei torto alla mia credenza se non menzionassi anche le due fette di pane contenenti gorgonzola e speck. Calorie assolutamente necessarie per entrare nella Perfida Albione.

Il gate finalmente apre e la fila comincia a diradarsi. Vista la lentezza decido di aspettare l’ultimo minuto per evitare l’inutile ressa che poi, alla fin fine, porta sempre nello stesso aereo che mai partirà senza tutti i passeggeri a bordo. Stesso discorso vale per quelli che fanno l’imbarco prioritario. Molto utile. Tanto utile che alla fine, spesso, finiscono nello stesso bus di chi ha l’imbarco normale e, soprattutto, non arrivano certamente prima a destinazione. La mia carta d’identità, usata davvero in poche occasioni, non fa una piega ed una volta strappato il biglietto posso salire sul torpedone che porta all’aereo.

Un’altra rottura di scatole, stavolta Made in Ryanair, è l’assegnazione dei posti al momento dell’acquisto del tagliando. Ciò vuol dire dover fare a botte con chi va nella direzione opposta alla tua e, all’evenienza, far alzare qualcuno che si è messo nel tuo posto. Insomma, una rottura di cazzo permessa solo dal fatto che, nonostante i rincari rispetto ad anni addietro, queste compagnie lowcost permettono ancora di spostarsi a prezzi contenuti.

By-bye Italy

Saluto il sole che bacia tutto il paese. Da Roma a Bergamo non ho incontrato una nuvola, solamente cielo azzurro e tanta luce a irradiare la nostra Penisola. Guardo bene le Alpi Orobiche illuminate, so che tra un paio d’ore la temperatura calerà e, soprattutto, il cielo si farà grigio e probabilmente piovoso. Cerco di schiacciare un pisolino, ma proprio non ne ho voglia, così mi butto su un libro universitario che, alla fine, finisce per annoiarmi costringendomi ad aprire il menu della Ryanair. Adocchiate le pizze che sembrano di plastica, i panini che sembrano di cartongesso e i dolci che assomigliano a quelli della cucina-giocattolo Nouvelle Cuisine, capisco che bisogna solo attendere l’atterraggio con rassegnazione.

Rassegnazione sì, parola giusta. Quando il portellone si apre, infatti, come da programma ecco arrivare la folata di freddo, le nuvole torbide e l’acqua che scende fastidiosamente. Io capisco tutto, per carità. La crisi, il lavoro che non si trova, sono problemi che ahimè testo ogni giorno, ma credo che davvero per vivere buona parte dell’anno in queste condizioni dovrei avere uno stipendio con i fiocchi. Poi non si vive solamente di clima e sappiamo quanto paesi come l’Inghilterra possano essere anni luce avanti al nostro, ma sono anche convinto che la qualità con cui si campa sia altrettanto importante.

Un’altra coda mi attende, quella del controllo passaporti. In questo frangente è sempre simpatico notare quanto i doganieri inglesi siano contrariati dalla nostra carta d’identità. L’agente che mi chiede l’ID, una signora sulla sessantina, mi domanda con insistenza se abbia il passaporto ed alla mia risposta negativa fa un’espressione difficile da descrivere. Neanche le avessi rubato 100 Sterline. Io il passaporto non lo porterò mai e poi mai, né qui né in altri paesi comunitari. Mi è bastato perderlo una volta in Germania, rispendere 80 Euro e lanciare tanti di quei moccoli da far sbalordire Funari per ripetere una cretinata simile. E poi dico, il Regno Unito accetta le carte d’identità? E allora beccati ‘sta carta d’identità italiana in carta straccia e basta!

Una volta superato lo UK Border devo raggiungere il pullman che da London Stansted mi porterà alla metro Old Street. Si tratta del minibus della Easyjet, con 4 Sterline totali sono riuscito a prendere andata e ritorno. Ecco su cosa i mezzi britannici sono davvero una spanna avanti a quelli italiani. Scordatevi la puntualità, perché qua è davvero una chimera, ma l’organizzazione e i biglietti vantaggiosi, se comprati in anticipo, sono assicurati. Basti pensare al biglietto del treno dalla capitale inglese a Manchester, 3 Sterline per circa 300 chilometri. L’equivalente di un Roma-Firenze da noi.

Individuo subito il classico pullmino arancione della compagnia area con sede a Luton, chiedo al driver se è quello corretto e costui dopo avermi strappato il biglietto mi fa salire. Poggio il bagaglio e mi sbrago non osservando l’invito del conducente che prima di partire raccomanda tutti di mettersi le cinture di sicurezza. Mi viene da ridere, perché penso ad alcuni autobus presi in vita mia, su tutti in Costiera Amalfitana, in Montenegro e sull’Abbazia di Montecassino, dove non solo non c’era nessuno a preoccuparsi che i passeggeri indossassero le cinture, ma questi “scassoni” a quattro ruote hanno rischiato in più di un’occasione di finire nei dirupi a causa della scellerata guida dei conducenti.

Negli ultimi anni sono capitato spesso in Inghilterra, eppure non riesco proprio ad abituarmi alle loro direzioni opposte. La strada che scorre dai finestrini è al contrario, la guida è a destra, i sorpassi consentiti a destra, la corsia di accelerazione a destra. Capisco perché Ancelotti, ai tempi del Chelsea, rilasciò una dichiarazione in cui diceva, con tutta franchezza, che aveva dovuto rinunciare alla macchina ricorrendo spesso alla metro onde evitare incidenti e smarrimenti vari. Grande Carletto da Reggiolo, con il suo sopracciglio sempre alzato a metà non le manda certo a dire.

L’autostrada passa senza intoppi, i veri problemi di viabilità si cominciano ad intravedere non appena entrati nell’area di Londra. Semafori perennemente rossi, gente che attraversa le strade in maniera forsennata e veri e propri eroi che fanno footing immersi nello smog cittadino, con la conseguente dissoluzione del proprio apparato respiratorio. Ad ognuno le sue scelte. Lo scenario biblico londinese si fa sempre più fitto fino all’arrivo nel cuore della City. Un saluto al ligio conducente e poi di nuovo in strada verso Manchester.

Avendo soggiornato ad Old Street non molto tempo fa, riesco ad orientarmi perfettamente scorgendo da lontano l’insegna dell’Underground. Per sopravvivere decentemente ai prezzi esorbitanti dei mezzi di Londra occorre sempre avere con sé l’Oyster Card, una carta magnetica che ti permette di pagare un viaggio 1.80 Pounds anziché la folle cifra di 4.70. Ok che funziona bene ed è diramata ovunque, ma stiamo pur sempre parlando di circa 6 euro per un viaggio in metro. Tuttavia dalla prima volta che l’ho fatta mi è sempre tornata utile. E così stavolta non ho bisogno neanche di ricaricarla, sfrutto il credito residuo e oltrepasso i tornelli accedendo ad un’altra città, quella sotterranea. Fatta di scale mobili, persone se possibile ancora più frenetiche di quelle in superficie, e un melange culturale ed etnico che non passa mai inosservato.

Birrette e burger in attesa del treno

La mia prossima tappa è la stazione di Euston, posta sulla stessa linea di Old Street, la Northern Line. Sono giusto una manciata di fermate, quanto basta però per sentire almeno una decina di volte l’annuncio della vocina “Please, don’t smoke everywhere on the underground”. Una vera mania per gli inglesi questa del fumo. Facile intuire che anche nelle stanze segrete di Buckingham Palace siano affissi cartelli ed insegne recanti il messaggio “Don’t smoke”.

Lo scalo ferroviario posto nella parte nord di Londra è, in fondo, abbastanza vivibile. Sarà anche l’orario serale. Nonostante il mio biglietto indichi le 23 come orario di partenza, voglio provare a prendere il primo treno disponibile per Manchester. Guardo il display e mi accorgo che partirà in pochi minuti, alle 20. Qua non siamo decisamente in Italia e per fare furbate sui mezzi e non pagarli bisogna davvero studiare sodo, lo dimostra lo schieramento del personale Virgin all’inizio della banchina. Mi avvicino e chiedo se posso salire con il mio ticket, la risposta purtroppo è negativa.

Non mi resta altro da fare: cercare un pub e buttare nello stomaco un paio di birre. Ormai ho imparato a riconoscere i pub londinesi accessibili, con prezzi per i bevitori inglesi, e quelli per turisti. Quindi non faccio fatica, dopo un giretto, ad individuare quello che sarà il mio covo almeno per le prossime due ore. Pinte a 1.90 Sterline, tavoli caserecci e tanti disagiati del posto con l’alcol in mano. Il mio mondo insomma. Per giunta alla tv stanno dando anche Stoke City-Newcastle United, come farmi sfuggire l’occasione?

Mi siedo con la mia prima Carlsberg in mano e mentre osservo lo Stoke andare in vantaggio e la pioggia aumentare sul Britannia Stadium, sfoglio il menu. Ovviamente non c’è nulla di salutare. Burger, patatine, salse e tanti fritti. Però i prezzi sono più che abbordabili, con 5.99 Pounds posso prendere un fantastico panino, con patatine, anelli di cipolla e persino una birra alla spina. Approfitto di questo deal e, con il mio inglese tutt’altro che perfetto, lo comunico ai ragazzi del bancone proprio mentre finisce il primo tempo del Monday Night. Nella mia solitudine devo dire che sto bene. Ho i miei tempi, le mie esagerazioni, i miei pensieri, i miei libri da leggere senza nessuno che ti rompe i coglioni a destra e a manca. Insomma, ogni tanto un po’ di libertà individuale ci vuole.

Ricomincia il secondo tempo e dopo qualche minuto arriva quello che sarà il primo proiettile all’uranio per il mio fegato in questi tre giorni. La fame però c’è, e devo dire che la pesantezza dell’english food scende giù senza problemi, così come la birra. Nonostante il Newcastle ci provi non è aria, ed alla fine è una rete dell’eterno Peter Crouch a decidere la contesa.

Per me è arrivato il tempo di togliere il disturbo e raggiungere nuovamente la vicina stazione. Le strade si stanno lentamente svuotando, anche se a Londra è quanto meno inopportuno parlare di strade sgombere in qualsiasi ora del giorno e della notte. Manca solo una mezz’oretta alla partenza del mio treno e, tra un giretto e l’altro passa anche velocemente.

Stavolta nessun problema con i controllori Virgin. Posso salire e sistemarmi in uno strategico posto dove è presente una succulenta presa per l’elettricità. Devo ricaricare il cellulare ed ovviamente ho con me un qualcosa di indispensabile quando si transita in territorio Windsor: l’adattatore. Un bell’adattatore, nero, che si staglia nel mio zaino italianamente. Neanche il tempo di lasciare la stazione e già sono crollato tra le braccia di Morfeo. Del resto un po’ di stanchezza si fa sentire, anche se ancora non immagino quanto bisogni penare per arrivare alla meta.

Eh sì che io sempre su questa linea ferroviaria avevo avuto brutte esperienze. Era il 2007 ed il mio convoglio, sempre quello delle 23, accumulò un qualcosa come tre ore di ritardo. Oggi non so se ritenermi fortunato allora di averne fatte solamente un paio. Dall’arrivo previsto alle 2 (che poi qualcuno mi dovrà spiegare come sia possibile che un treno, teoricamente classificato ad alta velocità, impieghi tre ore per percorrere circa trecento chilometri) si slitta alle 4. Di mattina ovviamente. Non ho la voglia, e soprattutto il tempo, di innervosirmi. E poi perché farlo? Hai voluto la zingarata? Ed allora prendi tutto come viene, anzi fattici una risata.

Manchester, here I am

La stazione di Piccadilly è l’unico filo conduttore con il mio luogo di provenienza, Londra. Manchester infatti non è esattamente quella che si può definire una bella città. Storicamente industriale ed austera c’è da ammettere che l’ho trovata migliorata rispetto a sette anni fa.

Devo cercare il mio ostello. Chiedo lumi ad un passante che mi indirizza. Lo scovo persino facilmente camminando per le fresche, ma non fredde, strade mancuniane. Fortuna vuole che la reception sia aperta h24, così posso fare il check-in ma… la mia carta bancomat non passa. Non riesco a capire come sia possibile, solo qualche ora prima ho pagato al pub. Di accettare gli Euro il tizio non ne vuole sapere. Comincio, qui sì, un po’ a preoccuparmi, così lascio i bagagli nell’ostello e mi avventuro alla ricerca di una banca. Trovarla è semplice. Ma il bancomat sostiene che il mio istituto di credito non sia abilitato. Tra il serio ed il faceto, rischio di rimanere davvero on the road, e stavolta non per scelta. Ammetto che quella di partire con solo 12 Sterline contanti spendendone la metà in birre non è stata un’ottima scelta. Ma quando la sete chiama non si può non ascoltarla.

Rientro dall’Arnold Schwarznegger dei poveracci e cerco di fargli capire che non mi può lasciare per strada altrimenti vado in giro a distruggere la città con attentati dinamitardi all’Old Trafford e pure una tastatina alle forme della signora Giggs. Lui comprende ed accetta i miei sporchi 13 Euro. Pure troppi aggiungo.

Sì perché la hall sarà pure carina, ma salendo diciamo che c’è poco da stare allegri. Bagni sporchi dall’ultimo discorso di Churchill, moquette dei pavimenti impregnata dal grasso di una pecora scannata da Lord Byron e tanta desolazione per i corridoi. Ma vi posso svelare un segreto? Io ho sonno, non me ne frega assolutamente nulla. Apro la stanza e mi butto sul letto. Mi accorgo che il prode receptionist ha anche evitato di darmi le coperte. Certo, del resto siamo in piena estate a Miami Beach. Vorrei scendere per prenderle, ma non ho più le forze fisiche e mentali. Così uso la felpa a mo’ di coperta e mi lascio andare al meritato riposo in una stanza che, ad occhio, conterrà minimo altri 15 letti pieni di zozzoni come il sottoscritto.

IL DAY AFTER, QUELLO DELLA PARTITA

La sveglia comincia a suonare la sua irritante nenia quando l’orologio segna ancora le nove. Ho dormito quattro ore e mezza a stento, ma neanche mi sento così stanco. Non mi faccio di nulla, tranquilli, so che ve lo state chiedendo. L’unica cosa di cui ho sempre abusato, ma con riguardo, è l’alcol, più che altro sotto forma di vino e birra. Ma quella, come dicono i nonni, fondamentalmente è tutta salute. Fa sangue.

English breakfast, la colazione dei campioni

Una volta in piedi cerco di darmi una rinfrescata alla meglio per non sembrare una puzzola con sembianze umane. Certo, così facendo da una parte tradisco lo spirito nomade del viaggio, ma su questo punto proprio non riesco a transigere. Lascio i bagagli nel deposito e saluto l’omino ivi presente che stavolta sembra essere più cordiale e disponibile del suo collega notturno.

Ora sì che posso uscire alla volta di Manchester. E vi dico una cosa a cui non crederete, il cielo è addirittura quasi sereno. Qualche raggio di sole riscalda questo grigio angolo d’Inghilterra. Davvero troppo, comincio a pensare che girando l’angolo potrei incontrare Eric Cantona e Paul Dickov che si sfidano in un Manchester Derby anni ’90. Ma tutto ciò chiaramente è pura fantascienza. Dietro l’angolo trovo solo un pub in cui fare colazione. Non mi dispiace affatto l’idea di fare il primo pasto della giornata in mezzo a vecchietti ubriaconi che già sono alla loro seconda pinta. Non che io sia da meno con l’english breakfast ed il mio bel bicchiere di Ale che mi si materializza davanti in breve tempo. L’ho detto sin dall’inizio, questi debbono essere tre giorni in grado di penetrare nella memoria dei posteri.

I primi italiani cominciano a vagare per le vie della città ed anche io ho appuntamento con un amico nella piazza centrale, Saint Peter Square. Il richiamo alla celebre piazza di Roma è puramente casuale. E vi lascio anche immaginare il perché. Una volta incontrato Mauro, ci concediamo un primo giretto della città in attesa di andar a prendere alla stazione il terzo elemento proveniente dal Belgio, Gianmarco.

È strano da spiegare, ma ora dopo ora il numero di poliziotti ed affini aumenta vistosamente. Gli uomini in pettorina gialla presidiano negozi e soprattutto pub, dando indicazioni ai gestori. Chissà cosa si aspettano, tuttavia anche quando la loro presenza non è fisica è comunque tangibile. Ecco, questo penso sia il primo segnale che indica il famigerato e tanto discusso modello inglese. Non sembra esserci ostilità nei loro modi di fare, a differenza di qualcuno che ben conosciamo, eppure si ha la netta sensazione che al primo sgarro non la passerai liscia. Non un qualcosa di sciatto e male organizzato, ma un vero e proprio controllo che ingloba tutto il sistema sociale inglese. Sia ben chiaro, non condivido molte cose della concezione sociale d’Oltremanica, ma è indubbio che l’ordine pubblico nelle manifestazioni sportive venga tenuto in maniera ben diversa da come ci vogliono far credere in Italia, quindi migliore. Ma più avanti avrò modo di approfondire l’argomento.

Prepartita a suon di malto e luppolo

Alle 11 in punto ecco spuntare Gianmarco dall’uscita della stazione. Ora che l’insolito trio è composto si può anche virare verso un localino tipicamente mancuniano dove mangiare e dissetarsi. La gestione di Linda’s Pantry è talmente familiare che appena entriamo una signora ci corre incontro gridando a tutto spiano “Ciao italiani”, cosa che ovviamente a noi non è che faccia molto piacere, forse perché la coda di paglia ci fa sentire più che altro scherniti. Tuttavia capiamo che sono proprio i suoi modi di fare e superato il primo impatto, iniziamo a cazzeggiare con lei osservando come nel locale entrino operai ancora in tuta da lavoro per divorare letteralmente panini con la pancetta e patatine fritte. Consumiamo anche noi la nostra razione di veleno per lo stomaco sottoforma di tortino carne e cipolla ed immancabili patatine fritte vicino, e poi ci avviamo verso uno dei pub più famosi della città, il Sinclair’s Oyster Bar.

Il tiepido sole che scalda un’insolita Manchester, ci permette persino di sederci ai tavoli fuori. Le nuvole sono poche e si dissolvono in fretta, così come velocemente cominciano a correre le pinte. Del resto, mettere una birra a 1.50 Sterline è davvero un’istigazione a delinquere.

Mentre un tipo somigliante niente popò di meno che al ministro Alfano fa il suo ingresso nel locale, si nota l’assidua presenza di bobbies. Una di loro ci viene incontro chiedendoci se tutto vada bene e se sappiamo dove si concentreranno i tifosi prima della partita. Ovviamente, nonostante i modi carini ed educati, la risposta è vaga e priva di informazioni. La biondina britannica dal cappellino a scacchi ci saluta facendo retromarcia mentre noi ingaggiamo una battaglia tutta personale con i camerieri. Con fare tutt’altro che inglese infatti, ogni volta che andiamo a pagare arrotondano di qualche centesimo approfittando della nostra poca dimestichezza con la Sterlina. Passino 5 pence, passino 10, ma quando a sparire sono due Pounds cominciamo a farlo notare, tanto da riavere i soldi indietro con relative scuse per la “svista”, chiamiamola così. Rubare a casa dei ladri non è una grande idea.

Staremmo a questi tavoli per l’intera giornata, ma la partita incombe e prima di avviarci all’Ethiad dobbiamo posare i bagagli. Personalmente devo riprendere il mio zaino entro le 18, pena commissione da pagare all’ostello. In teoria dovremmo riporre le nostre cianfrusaglie in un ostello di altri ragazzi che se ne andranno un giorno dopo noi, ma tra una cosa e l’altra io e Mauro finiamo per perderci Gianmarco, che si è aggregato alla comitiva appena incontrata in stazione. Breve consulto e poi si decide di riportare baracca e burattini all’ostello di Mauro, sperando che alla reception siano così gentili da chiudere un occhio e tenerli fino a sera tarda. Ma evidentemente ci stiamo facendo troppi problemi, la ragazza che ci accoglie infatti sembra quasi contenta di poter custodire i nostri bagagli. Ringraziamo e finalmente possiamo avviarci verso lo stadio, quando mancano due ore e mezza alla partita.

Ethiad Stadium, we are coming!

Non nascondo che, rispetto alla strana normalità quasi priva di emozioni con la quale mi avvicino agli stadi ultimamente, sento un po’ di trepidazione in me. Ho paura di aver compreso male la mail, oppure che sia stato un errore ed il mio accredito non ci sia, ed a quel punto sarebbe a dir poco una beffa. Sarei costretto a rimanere fuori come un coglione. Ma sento che sono solo inutili preoccupazioni, ormai riesco spesso ad intuire subito le credenziali delle società con cui si entra in interazione. Manchester City o squadra di Eccellenza Laziale che sia. Dubito che dal Press Office dei Citizen partano mail errate o deliranti.

In principio volevamo arrivare fuori l’impianto a piedi, con una passeggiata di un’oretta. Ma visto il tempo che comincia a stringere e per evitare eventuali code, decidiamo di optare per il tram. Ci rechiamo alla fermata dove parte la Metrolink (così si chiama il trenino che collega più o meno tutta Manchester) e notiamo subito uno schieramento di poliziotti e personale di bordo intenzionato a far pagare fino all’ultimo centesimo gli italiani presenti. Com’era quella storia di rubare a casa dei ladri? Bene, veniamo da un altro mondo. Basta fare un chilometro in più, spostandosi alla fermata successiva, quella della stazione Piccadilly peraltro, per montare sul convoglio a spese dei sudditi di Sua Maestà. Chi la fa, l’aspetti: ci teniamo le Sterline per le birre.

Il tragitto, come detto, è davvero breve. Quattro fermate e vediamo spuntare l’insegna della stazione Ethiad Campus, con lo stadio che già si staglia sulla nostra sinistra. Non mi spreco in inutili paragoni sui collegamenti nostrani tra stadio e città. Posto che per me il campo perfetto è quello nel centro città, raggiungibile a piedi da ovunque, sarebbe ipocrita non dire che da noi ce lo sogniamo di avere un mezzo che ci scarica praticamente davanti alla tribuna. Parlo soprattutto di città come Roma e Milano che avrebbero un assoluto bisogno di un collegamento diretto e veloce con i propri impianti sportivi. Ma qua, si sa, il problema è annoso e riguarda lo sport solo marginalmente.

Nel 1990 vennero aperte alcune fermate dell’anello ferroviario capitolino, spendendo una barca di denaro pubblico, per poi essere chiuse praticamente un minuto dopo che la Germania aveva alzato la coppa. Da allora degrado, occupazioni ed atti di vandalismo. Nel nostro Paese va innanzi tutto cambiata e corretta la mentalità e soprattutto la gestione del denaro. Col magna magna non ci potremo mai permettere neanche una stazione di metropolitana in più del consentito.

Avrei preferito mille volte assistere ad una partita dei Citizen nel vecchio Maine Road, se non altro perché è uno degli stadi-mito con cui sono cresciuto, avendo da piccolo una grande passione per quel Manchester City che veleggiava in Terza Divisione, mentre i cugini dello United vincevano a destra e a manca. Una simpatia nata in un pomeriggio d’autunno, quando su Telemontecarlo davano casualmente una partita di FA Cup in cui il Manchester City affrontava l’Aston Villa. Il vecchio e storico impianto è andato distrutto nel 2004, dopo la scelta di trasferirsi nel nuovo Stadium of Manchester, poi divenuto Ethiad. Da una parte una scelta inevitabile per le dimensioni ormai troppo ridotte e dall’altra dettata dalle mire espansionistiche della proprietà Mansur.

Visto che è uno dei punti cardine attorno al quale girano i tanti discorsi degli italici fanfaroni in fatto di stadi, veniamo alla questione stadi inglesi, sicurezza, vivibilità, etc etc etc. Io non ho affatto avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad un qualcosa in grado di uccidere il tifo in quanto nuova costruzione. Tutto sta a capire come si gestiscono i tifosi che vanno a riempirlo. Sicuramente in Inghilterra hanno una concezione di tifoso e di supporto della squadra totalmente differente dalla nostra. Stiamo mettendo di fronte una cultura anglosassone a una mediterranea, ovvio che ci siano tante differenze e che da noi, così come altrove, non siano assolutamente applicabili alcune imposizioni e scelte vigenti in terra d’Albione.

L’esterno dell’Ethiad Stadium è in parte sotto lavori, a dimostrazione che la perfezione non esiste e che anche a queste latitudini hanno qualche problema di ritardo. Ero curioso di vedere questi centri commerciali, questi negozi e questo store tanto decantati dai mezzi d’informazione italiani quando si tratta di pubblicizzare il funzionale modello inglese. Beh, che dire? Attività commerciali ce ne sono, ma niente di eccessivo. C’è il punto per il merchandising societario e qualche chioschetto simile a quelli posti fuori dai nostri stadi. In compenso, a differenza nostra, non ci sono prefiltraggi, si possono acquistare biglietti il giorno della gara, i tagliandi non sono nominativi e sono acquistabili da chiunque, con qualsiasi residenza e provenienza geografica, bastano i soldi. Ecco, su questo punto secondo me si è costruito il vero punto di non ritorno del calcio britannico. L’aumento folle dei tagliandi ha totalmente eliminato la working class dalle gradinate, trasformando la maggior parte degli stadi in asettici teatri silenziosi. La mia paura è che questo accada, a breve giro di quadrante, anche da noi. Basta dare un’occhiata alle politiche di biglietteria attuate da società come Roma e Juventus.

Si entra

Fatta questa dovuta riflessione posso finalmente avvicinarmi alla tanto agognata entrata. Ingresso 14, una porticina mi separa dalla mia prima tribuna stampa internazionale. Prendo la stampata della mail accuratamente tenuta nello zaino e avanzo con passo deciso. C’è una signora seduto all’entrata, presumo sia l’addetta stampa. Mi saluta e cordialmente mi chiede nome e cognome. Il mio tesserino plastificato è là. Simone Meloni, Uefa Champions League 2014/2015, Manchester City-AS Roma, Media. Devo essere sincero, mi sono un po’ emozionato nel leggere queste parole impresse su un pezzetto di plastica con l’effige della società inglese. Dopo aver firmato un foglio, la signora mi invita a fare un salto al buffet, dove “puoi gustare qualche bicchiere del vino e cenare se ne hai voglia”. Certo che ne ho voglia. Soprattutto se la richiesta avviene con questa gentilezza. Una costante della mia permanenza all’Ethiad sarà l’esser trattato alla stregua di qualsiasi altro giornalista o operatore mediatico. Una sensazione che spesso in Italia viene meno, magari anche di fronte a Signori Nessuno.

Scendo le scalette e sono nella pancia dello stadio. Passo accanto alla sala stampa e poi tiro dritto per la stanza dove è allestito il buffet. Niente da dire, c’è di tutto, tra birra e cibo. Studio per bene i movimenti dei giornalisti inglesi e di quelli italiani. Un mare li divide. Sciolti, disinteressati alle buone maniere ed al contegno i primi, ingessati, attenti all’etichetta i secondi. Non so dire quale dei due modi di vivere la professione sia migliore, però è senz’altro interessante sotto l’aspetto antropologico osservare il totale contrasto. Gli schermi al plasma stanno dando la gara tra Cska Mosca e Bayern Monaco, così ne approfitto e Tennent’s alla mano mi gusto 90’ in cui i tedeschi strappano una sofferta ma fondamentale vittoria. Quando l’orologio segna le 19 decido che è ora di salire in tribuna. Mancano 45’ al fischio d’inizio e voglio godermi un po’ di prepartita, captando che aria tiri in questi famigerati stadi british. Non che sia la prima volta che vi metta piede, ma dalla tribuna è senz’altro differente.

Salgo pian piano le scalette ed ecco apparire davanti a me il verde terreno di gioco. Gli spalti sono ancora deserti, solo il settore ospiti si sta riempiendo velocemente. Ho un po’ di difficoltà nell’individuare il mio posto, ma alla fine lo trovo. È contrassegnato da un professionale bigliettino con il mio nome e quello della testata. “Una cosa seria”, penso tra me e me con soddisfazione. Mi seggo e cerco di avviare il pc, ma mi accorgo che il mio adattatore non va bene per una spina a tre pomelli. Maledico un po’ gli inglesi per queste cavolo di prese differenti, ma alla fine ho così tanta voglia di godermi la serata che non me ne frega granché.

I biglietti staccati a Roma sono circa 1700, con la stragrande maggioranza che si posiziona nella parte inferiore del settore ospiti, facendo bella mostra di stendardi e bandiere, tenute a mano a causa del divieto di portare aste, vigente da queste parti. Pur essendo una trasferta contro una squadra blasonata ed in una città storica dal punto di vista calcistico, non si è registrato il sold out nella vendita dei tagliandi. Ciò significa che molti tifosi alla buona, che spesso neanche conoscono la via dello stadio Olimpico, sono rimasti a casa, rimandando il grande appuntamento con la trasferta europea a Monaco di Baviera. Più vicina e meno dispendiosa economicamente, perché raggiungibile anche in macchina. Questo ovviamente va preso come un qualcosa di positivo ed infatti gioverà alla prestazione canora dei presenti.

Poco prima che le squadre facciano il loro ingresso sul terreno di gioco, i tifosi inglesi cominciano a popolare le gradinate. Anche per loro non c’è il tutto esaurito. Da notare come la curva alla mia sinistra ed uno spicchietto alla destra del settore ospiti seguano la partita regolarmente in piedi. Ecco, il primo paragone che mi viene in mente è con lo Juventus Stadium, il tanto celebrato stadio di proprietà della squadra campione d’Italia. Cominciamo con il dire che qua, rispetto a Torino, il settore ospiti rispetta davvero i tifosi che vengono da fuori. Mentre all’ombra della Mole i supporters delle altre squadre sono stipati in un angoletto piccolo ed inospitale, i Citizen offrono un settore largo e capiente. L’interno dello stadio non mi dispiace: certo lo ammetto, io sono più il tipo da vecchi impianti decrepiti come il Del Duca, il Partenio o il Ceravolo, ma se proprio devo scegliere tra questo e, per l’appunto, lo Stadium di Torino, mi prendo l’Ethiad tutta la vita. Vorrei inoltre ricordare che se le aste non si possono portare, non esistono però divieti per striscioni e tamburi. Quindi, giudicate voi il famigerato modello inglese che dovrebbe, secondo molti, debellare quel cancro sociale degli ultras.

Totti risponde ad Aguero in un match ben giocato dai giallorossi

Alle 19:45 locali ecco spuntare dal tunnel le due squadre. Il City con la classica casacca azzurra, mentre la Roma in un’insolita maglia marroncina. Quando si veste Nike si veste calcio moderno, e sembra impossibile far a meno di queste pacchianate che come sempre allontanano le tradizioni centenarie dei nostri club in luogo di qualche centinaia di Euro in più. Ma tant’è.

Il settore giallorosso comincia a scaldare i motori sovrastando facilmente il freddo pubblico di casa. Lo dico subito, l’unico sussulto di vita britannico lo si avrà da quello spicchietto situato alla destra dei romanisti, un centinaio di persone che alla buona canteranno per tutta la gara. Certo, davvero niente di che, ma molto meglio ad esempio di quanto ho visto anni addietro dall’altra sponda di Manchester e da quelli dell’Arsenal.

In campo sembra subito mettersi male per la Roma. Dopo soli 3’ infatti, Maicon atterra in area Aguero e per il direttore di gara non ci sono dubbi, è calcio di rigore. Dal dischetto va lo stesso Kun che non sbaglia.

In molti cominciano a vedere i fantasmi del 7-1 di Old Trafford, ma né il City e né la Roma di questa stagione sono squadre in grado di generare un simile risultato. Ed infatti la squadra di Garcia non si sbilancia e rimane in partita con la testa. Al contrario sono i ragazzi di Pellegrini a sembrare impacciati e spaesati, così dopo soli 20’ l’eterno Totti, imbeccato perfettamente da Nainggolan, supera Hart con un delizioso tocco sotto. L’esultanza dei tifosi capitolini è di quelle da immortalare cento volte. E secondo me assume buona parte della sua bellezza e della sua potenza proprio grazie alla conformazione del settore. Tutti uno sopra l’altro ed il grido “Gooooooooool” che si espande probabilmente fino a Stockport.

Farsi sentire in uno stadio così raccolto e con il tifo all’italiana è davvero un qualcosa di semplice, ed anche i mancuniani sembrano apprezzare i cori a rispondere ed i battimani dei loro dirimpettai italiani. Certo, ora come ora ci sono tifoserie che ci hanno superato e riescono a fare il bello ed il cattivo tempo ovunque, ma il nostro modo di porci e vivere le gradinate resta il migliore ed è sempre uno spettacolo vederlo rapportato a realtà straniere e molto differenti dalla nostra.

Nell’intervallo ovviamente non può mancare uno spazio per la merendina, un ottimo meat pie ed una Tennet’s che mi riscaldano il cuore e l’anima.

Si torna in tribuna stampa, al mio posto, con la partita che sta ricominciando. Tra le due tifoserie c’è indifferenza, e non potrebbe essere altrimenti vista la mancanza di precedenti. Il risultato di pareggio si trascina fino all’ultimo con la Roma che però, ai punti, dimostra maggiore vitalità ed un’organizzazione di gioco superiore rispetto agli inglesi. Un punto fondamentale per l’economia del girone in chiave giallorossa, un risultato negativo per i padroni di casa che, dopo la sconfitta di Monaco, erano chiamati a fare bottino pieno.

Scambio qualche battuta con il mio vicino, un signore sulla cinquantina che interloquisce con grande simpatia una volta appresa la mia provenienza. Per ricordo mi dona una penna della sua testata pregandomi di averne cura. Prima di voltare le spalle al campo, voglio scendere di qualche gradino per arrivare a bordo campo e dare un’occhiata al prato. È sicuramente l’ultima istantanea mentale da scattare all’interno dello stadio, prima di imboccare la porta di uscita. Passo davanti la sala stampa ed una ragazza mi consegna il pass per la mixed zone, non nascondo che avrei una voglia matta di assistere anche alla conferenza stampa, tuttavia il dovere mi chiama. Prima di mezzanotte devo assolutamente essere all’ostello di Mauro per recuperare i bagagli.

La lentezza del rientro

Mi avvicino alla fermata del tram e vedendo una coda chilometrica per entrare sulla banchina provo ad accedere da un’entrata secondaria. Ma niente, i bobbies sono irremovibili e mi reindirizzano agli accessi principali. Supero i tornelli mostrando un sommo biglietto Atac mettendomi educatamente e pazientemente in coda. Diciamo che sotto questo punto di vista l’organizzazione poteva essere migliore. Quaranta minuti di attesa prima di salire sul tram.

Finalmente il trenino giallo parte alla volta del centro ed in dieci minuti posso scendere ed incamminarmi verso l’ostello dove mi ricongiungo con Mauro prima e con Gianmarco poi. Le borse ci sono tutte, possiamo prenderle e concederci gli ultimi giri per la città prima dei pullman che condurranno chi all’aeroporto di Manchester, chi a Londra.

Nel frattempo un qualcosa di allucinante sta accadendo per le strade della città. Un’orda di teenagers ha assaltato bar, ristoranti e marciapiedi. Ragazzine vestite da modelle, tacco a spillo e sguardo da star e biondi inglesini in procinto di svomitazzare ovunque la loro inesistente sobrietà alcolica. Rimaniamo alquanto basiti mentre cerchiamo qualche bar dove concederci le ultime pinte. Cosa non facile visto che qua alle 23 chiude praticamente tutto. Riusciamo a trovarne uno, ma con solo mezz’ora di autonomia per bere. Dopodiché per noi ci sono solo le fredde ed inospitali strade.

L’inizio della fine, verso gli aeroporti

Per ingannare il tempo cerchiamo e troviamo la stazione di Shudill, dove io e Gianmarco abbiamo un magico pullman della Megabus per Londra. Dato che quest’ultimo è sfinito, quasi morente, gli lascio le mie cose per accompagnare Mauro al suo autobus con destinazione aeroporto. Neanche un chilometro di camminata e siamo di nuovo nella piazza principale, con la sua ruota panoramica ed i suoi adolescenti impazziti che negli angoletti nascosti si lasciano tranquillamente andare a scene ascrivibili più alla pagina Facebook di Attilio Rufolo che ad una delle più importanti città d’Inghilterra.

L’autobus arriva quasi subito ed intorno alle 2 saluto il primo partente per la Capitale. Ora toccherà a me e Gianmarco affrontare il viaggio fino alla stazione Victoria e poi raggiungere l’aeroporto di Stansted per far ritorno a casa. Gozzovigliamo un’oretta parlando del più e del meno, quando mancano dieci minuti alle 3:30 ci avviciniamo al pullman che è in arrivo. Fa sufficientemente freddo e, come gli altri italiani presenti in stazione, non la prendiamo molto bene. Vogliamo salire quanto prima, ma l’autista temporeggia per aprire fino a quando, scendendo, invita tutti a fare un passo indietro per controllare i biglietti. Noi mostriamo il nostro foglietto che, con sole 5 Sterline, ci permette di viaggiare. Certo, bisogna subito mettere nero su bianco: 5 Sterline abbiamo pagato e 5 Sterline valeva. Nella vettura infatti l’aria calda raggiunge livelli inimmaginabili ed il viaggio si rivela una vera e propria sofferenza. Ma nel frattempo qualcuno se ne frega delle condizioni ambientali e parla bellamente della prestazione di Nainggolan, sottolineando le sue indubbie doti di posizionamento sul terreno di gioco rispetto alla giovane età.

Quando intravediamo la stazione Victoria siamo grondanti di sudore, innervositi e stanchi. Il clima tropicale non ha certo conciliato il sonno. Manca ancora parecchio, c’è da prendere la metro per raggiungere Old Street e prendere il minibus per Stansted. Prima però ci concediamo una mezz’ora di pausa in cui cerchiamo di rinfrescarci per sembrare persone civili e non capre provenienti da una stalla dello Yorkshire. Una fugace colazione e possiamo scendere negli inferi dell’Underground. Questa città sotterranea ci accoglie con la sua solita frenesia. Facciamo un paio di cambi e possiamo risalire in superficie, con Gianmarco che tra una scala e l’altra maledice tutto il possibile per la fatica che effettivamente la valigia gli sta causando.

In breve tempo vediamo materializzarsi davanti a noi l’arancione pulmino dell’Easybus. Il ragazzo stanco e sudicio che mi fa compagnia deve fare il biglietto, così facciamo prima salire tutti i passeggeri per vedere se c’è spazio disponibile. In teoria non ci sarebbe, ma il simpatico autista che ci scambia inizialmente per spagnoli (ed al quale con altrettanta poca simpatia faccio capire che non c’entriamo nulla con gli iberici) lo fa salire davanti, al suo fianco. Un’ottima mossa per Gianmarco che era intenzionato a schiacciare un breve pisolino ed invece è costretto a tenere botta alla loquace parlantina del driver. Io me ne sbatto altamente, e mi addormento quasi subito per risvegliarmi all’aeroporto.

Ci siamo. È la tappa conclusiva di questa tre giorni. La stanchezza non ci impedisce di continuare a cazzeggiare, persino con le tipe seriose del check-in che vorrebbero spacchettare i miei effetti personali in dieci vassoi differenti. Ma glielo impedisco, perché non ho voglia di raccogliere cinte, computer, profumi e quant’altro mettendoci mezz’ora. Di fronte hanno un viaggiatore italiano che è stato nella tribuna stampa del Manchester City. Mica cazzi.

Verifichiamo che il volo sia in orario e ci mettiamo in fila. Incredibilmente per Ryanair, i tempi di attesa sono ragionevoli ed una volta saliti a bordo (“Salga a bordo Schettino” cit.) ecco ritornare il sonno. Cerco di resistere, ma poco dopo il decollo mi arrendo e chiudo gli occhi fino a Ciampino.

Alle 17:30 ci apprestiamo a mostrare per l’ultima volta la nostra carta d’identità alla blanda dogana italiana, e siamo di nuovo sul suolo natio. Non mi resta che raggiungere la fermata del Cotral sull’Appia per andare alla stazione Anagnina e da là prendere l’autobus fino a casa.

Mi sento anche un po’ rinvigorito quando metto la chiave nella toppa della serratura. Tre giorni belli, vissuti con lo spirito giusto ed in mezzo ad esperienze stimolanti. Vorrei che il calcio significasse sempre questo per me. Quella voglia e quello slancio spesso anche infantile, ma bellissimo ed unico. Ripongo biglietti, materiale e macchinetta fotografica nell’armadio. Con cura. Con passione. La stessa che mi regala il sorriso sulle labbra mentre chiudo questo chilometrico resoconto. Se siete arrivati qua, vuol dire che davvero avete qualche problema mentale come me.

“Perché alla fine di un lungo viaggio, c’è sempre un viaggio da ricominciare”. Francesco De Gregori

Simone Meloni.