La pesante quaterna inflitta da una spumeggiante Dinamo Zagabria è stata forse la ciliegina sulla torta di una giornata nata male e finita peggio per il popolo atalantino. E sì che questa data rimarrà comunque negli annali. E sì che comunque chi oggi era presente allo stadio Maksimir potrà dire un giorno: “Io c’ero. Io ho visto esordire l’Atalanta in Champions League“. Il gradino più alto della storia del club orobico, senza dubbio.

Quella tra croati e lombardi rievoca l’ormai celebre sfida di Coppa Uefa datata ottobre 1990. Generazioni e storie che si sono tramandate e che hanno reso questa la partita più attesa di un girone che a livello ultras offre ben poco al di fuori dello scontro con i balcanici.

Sin dalla mattina una fredda Zagabria viene popolata da diversi tifosi nerazzurri a passeggio per le vie del centro. Il resto dei 3.900 “trasfertisti” si muoverà perlopiù in pullman. La vendita dei tagliandi ha suscitato più di qualche polemica: 300 biglietti sono stati posti in vendita libera, mentre gli altri sono stati affidati all’agenzia Ovet che si è occupata di vendere pacchetti viaggio + stadio. Inutile che mi esprima su questo modus operandi: avendo sperimentato sulla mia pelle cosa vuol dire vedere ticket per le trasferte europee letteralmente scippati da sedicenti agenzie, non posso che comprendere il malumore di chi – nel proprio diritto – avrebbe soltanto voluto muoversi come meglio credeva.

A differenza delle partite di campionato – in cui si registra un’affluenza davvero minima – lo stadio di casa è quasi sold out: segnale evidente di come il torneo nazionale attiri davvero poco gli sportivi locali. Di contro i Bad Blue Boys – pur continuando la loro contestazione al presidente Mamic – sono tornati ad organizzare una coreografia dopo diversi anni. E per farlo hanno tappezzato di manifesti i dintorni dello stadio, invitando la gente ad entrare almeno un’ora prima del fischio d’inizio.

L’aria che si respira nei pressi del Maksimir è tutto sommato tranquilla mentre lo spiegamento di forze dell’ordine è a dir poco ingente. La Croazia (assieme alla Slovenia), tra i Paesi dell’ex blocco jugoslavo, è senza dubbio (e per motivi di domini e relazioni storiche) quella più occidentalizzata. Non è una caso, dunque, che da queste parti si cerchi di dar molta manforte e si presti sovente il fianco a molteplici istituzioni continentali come, in questo caso, la Uefa.

Tuttavia resta una contraddizione in essere che ci ricorda di essere nei Balcani (ma che in fondo è in linea anche con molte italiche situazioni): diktat contro il razzismo, per l’ordine pubblico e per il politicamente corretto continuano ad arrivare da personaggi come Mamic, per i quali parlano ben chiare le storie di vita e le vicende giudiziarie. Un po’ come far celebrare un processo di Mafia a Totò Riina insomma. A ognuno il suo!

Quando manca un’ora al fischio d’inizio il grosso dei tifosi italiano è giunto a destinazione, mancano all’appello solo gli ultras. Il motivo? La polizia croata ha fermato alla frontiera i pullman dei bergamaschi e, dopo aver rinvenuto un cavatappi e alcune aste di bandiera, non vuol farli passare. Occorrerà una lunga trattativa per piegare la volontà dei gendarmi e far transitare i ragazzi della Curva Nord, che entreranno a match abbondantemente iniziato.

La coreografia dei Bad Blue Boys raffigura un telone contornato da una frase che dovrebbe dire: “C’è un posto in cui posso alzarmi e cantare la nostra canzone”.

Quando al 15′ entrano gli atalantini il clima si accende, sebbene i padroni di casa non sembrino prendere molto in considerazione le ripetute offese dei bergamaschi. Tuttavia il tifo dei croati sembra risentirne in positivo e, dopo un avvio un po’ a rilento, alzano i decibel crescendo minuto dopo minuto e mettendo in evidenza tutte le caratteristiche che da sempre li contraddistinguono: manate, voce baritonale sempre in alto, partecipazione di tutto il settore e persino buon utilizzo di pirotecnica nella ripresa. Il “persino” si riferisce ovviamente al contesto: nelle partite europee è diventato ormai un atto eroico accendere una torcia o un fumogeno.

Il settore ospiti fatica inizialmente a compattarsi e migliora nel secondo tempo. È chiaro che tutte le “tarantelle” del pre partita abbiano fiaccato e innervosito non poco gli ultras dell’Atalanta. In più c’è da tener conto del pesante passivo che di certo non incentiva a cantare i tifosi meno abituati a partecipare alle trasferte.

In questi casi l’unico appiglio è l’orgoglio. Ed è proprio su questo che fa leva la Nord in trasferta. Nei secondi 45′ i nerazzurri offrono una bella prestazione, facendosi sentire spesso dal resto dello stadio e chiudendo con una bella sbandierata che mette in mostra tutto il loro senso di appartenenza.

Finisce con tutte e due le squadre a prendersi gli applausi. Meritatissimi quelli per una Dinamo Zagabria perfetta, di incoraggiamento quelli per un’Atalanta apparsa spaesata. Chiaro – come ammetteranno i giocatori nel post-gara – che per per molti si è trattato di un impatto a dir poco traumatico con un calcio ben diverso da quello lento, compassato e spesso prevedibile che ormai si gioca nel Belpaese.

Nulla da segnalare sotto il profilo dell’ordine pubblico. Adesso l’attenzione è spostata sul match di ritorno a San Siro. Considerando che spesso e volentieri i croati danno il meglio di loro al di fuori dei confini nazionali, ci sarà senz’altra da puntare la lente d’ingrandimento.

Simone Meloni