Abbiamo appena pubblicato la notizia dell’attenuazione delle norme sulla discriminazione territoriale. Come già citato in precedenza, il principio viene trasferito dall’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva (“Responsabilità per comportamenti discriminatori”) all’articolo 12 (“Prevenzione di fatti violenti”). Non è un fatto di poco conto.

Se, durante la stagione passata, da un settore dello stadio venivano effettuati cori ritenuti discriminanti territorialmente verso questa o quell’altra tifoseria, la responsabilità scattava automatica. Tanto che il comma 3 dell’art.11, alla prima violazione faceva scattare una sanzione minima (stabilita dal comma 1, punto E dell’articolo 18) che consisteva nell’ “obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori”; poi, dopo i primi casi della stagione 2013/14, alla prima violazione è corrisposta una sanzione più diffida per il settore, chiamata “sospensione condizionale”, facendo scattare solo alla seconda infrazione il punto sancito dalla temuta lettera E. In caso di recidiva, la società poteva (come stabilito dai punti D, F, G, I ed M sempre dell’art. 18 comma 1) disputare una o più gare a porte chiuse, avere il campo squalificato a tempo determinato fino ad un massimo di due anni, essere penalizzata di uno o più punti in classifica, essere collocata all’ultimo posto della classifica (con conseguente retrocessione) e infine non essere ammessa a determinate manifestazioni per il futuro. Guardando all’ultima stagione, a parte la chiusura di singoli settori, almeno per quanto riguarda la discriminazione territoriale, tutte le ultime sanzioni citate non sono mai state applicate, non rientrando in casi di particolare gravità.

Nell’articolo 12, il concetto di prevenzione della violenza fa sì che determinate sanzioni restino, ma la società può comunque dimostrare di aver fatto opera di prevenzione o di essere intervenuta prontamente durante la situazione contestata. Di fatti, nell’articolo 13, “Esimente e attenuanti per comportamenti dei propri sostenitori”, al comma 1 viene affermato che “La società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione dell’articolo 12 se ricorrono congiuntamente tre delle seguenti circostanze:
a) La società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo;
b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni;
c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione;
d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti;
e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società”.

Ma, ammesso che non si realizzino congiuntamente almeno tre punti tra i cinque appena elencati, cosa rischia la società, col passaggio della discriminazione territoriale dall’articolo 11 al 12? La società di serie A rischia l’ammenda da 10.000 a 50.000 Euro, quella di serie B da 6.000 a 50.000 e quella di Lega Pro da 3.000 a 50.000. Nei casi più gravi, con particolare attenzione alla recidiva, si può sempre applicare la chiusura di uno o più settori per una o più gare, dell’intero stadio o la squalifica del campo fino a due anni. Ma se i casi più gravi sono esattamente gli stessi previsti già dall’articolo 11, in pratica non ci saranno più sanzioni come la chiusura di una curva, anche usando il durissimo metodo saggiato nella stagione appena passata. Se il rischio di chiusura curva resta, esso non solo rimane una soluzione estrema e da usare in casi gravi, ma difficilmente supererà il filtro dell’articolo 13, per il quale tutte le società si adopereranno fino in fondo onde garantirsi l’immunità.

Infine, va ricordato che tutti gli altri casi di discriminazione (razziale, di colore, di sesso, religione, lingua, nazionalità o etnica, oltre alla propaganda politica) rientrano ancora nell’articolo 11.

Stefano Severi