Lo ammetto. Lasciarmi alle spalle la Capitale oggi, con il derby in programma alle 15, è uno strazio. I primi metri che il pullman percorre oltre il Raccordo Anulare mi intristiscono. E non me ne vogliano i lettori frusinati e genoani, nulla contro di loro, ma disertare la madre di tutte le partite per uno nato e cresciuto a Roma, è un qualcosa di orribile. Soprattutto se i motivi sono quelli noti a tutti. Con la ragione ci arrivi. Con il cuore no. E il cuore risente di una ferita aperta e difficile da rimarginare. Almeno allo stato attuale delle cose.

Però avevo troppo bisogno di respirare un po’ di normalità. Sentivo l’esigenza di vedere una partita assimilabile alla normalità (che per me non esiste più da almeno una decina di anni, tra tornelli, tessere, barriere e divieti) e il calendario mi è venuto fortunosamente incontro, offrendomi il vecchio e storico stadio Matusa come valida alternativa al “Derby del Prefetto”. Pochi fronzoli e tanta sostanza attorno a quelle mura circondate da vetusti palazzi. Ci torno sempre volentieri. Frosinone, Latina, Viterbo e Rieti. Per forza di cose sono i campi in cui ho iniziato a scattare e ad amare visceralmente il mondo ultras nel suo complesso.

Almeno si è adolescenti per qualche ora, tornando a ricordare questa o quell’altra partita vissuta ai tempi in cui girare la domenica in Italia era davvero un qualcosa di unico. Mi rinfranca il fatto  che almeno per 90′ vedrò due tifoserie fronteggiarsi e potrò godermi una partita di calcio a breve distanza dal campo.

Da Genova sono attesi circa 500 tifosi, anche se, ad essere sinceri, il contingente rossoblu, a mio avviso, non supererà le 300 unità. Sapete cosa mi avvilisce la maggior parte delle volte che guardo una partita di Serie A? Il sapere che tutto il nostro bagaglio culturale relativo al calcio e al tifo, è andato perduto. Se non tutto, una buona parte. Io ricordo che anni fa, quando solo pensare a una sfera di cuoio ti provocava i brividi, visitare un nuovo stadio e giocare contro un’avversaria inedita, era un qualcosa di speciale. Si faceva di tutto per andare, stanchi di aver girato per anni nei soliti settori ospiti. Era un atteggiamento rinchiuso nell’essere tifosi. Nell’avere lo stendardo più bello dell’avversario, nel colorare il settore, nel cantare senza sosta pure se la tua squadra è sotto di tre gol. Perché tu in quel momento puoi rimediare a una sconfitta pesante e umiliante. Almeno sotto il profilo dell’onore.

E’ andato perduto. Ucciso sotto i colpi dei divieti e del continuo lavaggio del cervello di cui si sono resi protagonisti i signori del calcio e i loro fidi alfieri istituzionali. La passione per il pallone che contraddistingueva gli italiani fino a qualche anno fa, semplicemente non c’è più. Resta qualche sprazzo di normalità, di tanto in tanto, ma abbiamo dimenticato sin troppo in fretta chi siamo, cosa facevamo e come vivevamo gli stadi. C’è chi l’ha addirittura rinnegato. Perché oggi il politicamente corretto e il buonismo l’hanno avuta vinta. Ripeto, il discorso va ben oltre il Frosinone-Genoa di oggi.

Al Matusa si registra il solito colpo d’occhio, anche se qualche buco di troppo si nota nelle tribune. Per contro oggi la Curva Nord evidenzia uno stato di forma superiore rispetto alle ultime due partite. Gli ultras giallazzurri, oltre alla classica sciarpata d’inizio partita, si mettono in mostra con un’ottima intensità corale che dura pressoché tutto l’incontro. Sempre colorata la zona bassa della curva con bandieroni e bandierine che sventolano senza sosta. Buoni i cori a rispondere che coinvolgono anche gli spettatori assiepati nei Distinti e belle le due esultanze ai gol dei ciociari, che momentaneamente riescono a ribaltare l’iniziale vantaggio ospite.

Gli ultras genovesi si raggruppano dietro lo striscione “Rispetto”, che portano ormai da inizio campionato. La loro prestazione è abbastanza buona, con i classici bandieroni che vengono tenuti in alto per tutti i 90′. Tante le manate e cori tenuti a lungo, fedeli al repertori del tifo genoano. Nel finale da sottolineare qualche battibecco con il gruppetto dei Distinti, ma nulla di veramente importante.

Il match finisce 2-2, al termine di una gara tutto sommato piacevole. Stranamente per i livelli statici e di basso livello della Serie A odierna. Lo stadio sfolla deluso, per due punti persi, in virtù anche della superiorità numerica maturata nel primo tempo per l’espulsione di Demaio. Non mi resta altro che riprendere il mio materiale e dirigermi verso casa. Intanto mi arrivano notizie di uno stadio Olimpico deserto e militarizzato. Il loro derby se lo sono giocato alle loro condizioni. Io ho preferito abbandonarli e godermi una giornata nei limiti di ciò che ho sempre amato e vissuto a piene emozioni.

Simone Meloni