La partita di quest’oggi risente inevitabilmente delle decisioni prese dopo l’infausta Inter – Napoli, partita ormai diventata troppo chiacchierata e che ha causato due episodi di cronaca in rapida successione: il primo grave episodio è successo all’esterno dello stadio, in una zona limitrofa allo stesso, dove un ragazzo, Daniele Belardinelli, è stato investito ed ucciso. All’interno dello stadio, la partita è stata messa sotto la lente d’ingrandimento per i cori rivolti al giocatore Koulibaly.
Sulla morte del ragazzo le indagini sono ancora in corso, ragion per cui le domande da porsi sono innumerevoli ma è pur vero che difficilmente si potrà dare una risposta certa e veritiera se non si era sul luogo dell’incidente.
Che qualcosa sia poco chiaro lo si percepisce dalla mancanza di dati certi: a parte la morte del ragazzo, la dinamica dell’incidente non è ancora stata stabilita con certezza, malgrado i testimoni non manchino. Si parla, si sente dire, ma si usa costantemente il condizionale, aspetto non da poco per chi già spara certezze e sentenze. Perché la parte più schifosa della vicenda è rappresentata da quegli sciacalli che sulla pelle di una persona già chiedono a gran voce stadi sicuri, impianti di proprietà, maggior videosorveglianza e altre diavolerie varie malgrado l’episodio sia successo all’esterno dello stadio.
Ciò necessita di un primo punto fermo: gli stadi sono sicuri al proprio interno, meno nelle zone circostanti dove i servizi d’ordine non sono così infallibili come dovrebbero essere o come in talune occasioni avviene.
A rendere la vicenda maggiormente torbida è che il fatto sia avvenuto in una piazza storicamente preparata ad accogliere tifoserie calde e numerose e che nel recente passato non ha visto eclatanti casi di disordini in materia stadio. Su questo punto le parole del questore di Milano non sono esaustive.
Altro aspetto da non trascurare è la percezione del pericolo una volta che ci si avvicina ad uno stadio: prendendo in esame gli incontri di calcio nelle sole categorie professionistiche negli ultimi cinquanta anni, diciamo dall’origine del movimento ultras ad oggi, le morti causate da incidenti sono relativamente poche in proporzione alla durata del fenomeno ed al numero di persone che ogni fine settimana si muovono.
Si dirà che anche un solo morto per una partita di calcio sia troppo, e sì, questo dato mi trova d’accordo, però se si parla di una società ideale non ci dovrebbero essere nemmeno forze dell’ordine perché nessuno dovrebbe infrangere la legge, così come non dovrebbe esistere la sopraffazione di una persona sull’altra. Non viviamo però in una società ideale, perciò le morti ci sono nelle discoteche o rave party che siano, ci sono sui luoghi di lavoro e ci sono durante le attività sportive per molteplici cause, non ultima l’assunzione di sostanze dopanti.
Proprio oggi, mentre ero in auto e venivo via dallo stadio Carlo Castellani, su una nota stazione radio, un esimio giornalista parlando dell’argomento sparava a zero sugli ultras, chiedendo a gran voce lo scioglimento dei gruppi ultras, la galera per i violenti ed un trattamento “modello inglese”. Insomma, un bel pastrocchio dal quale prendere immediatamente le distanze.
Mi fa piacere sapere – ironicamente parlando – che c’è chi ha studiato, continua a studiare e magari ha verificato di persona il tanto sbandierato “modello inglese”. Mi piacerebbe domandare a costoro in cosa consiste esattamente il modello che loro sbandierano come vincente, tenendo ben presente che il “copia e incolla” resta estremamente pericoloso ed inopportuno quando si parla di due realtà sociali, sportive ed economiche completamente diverse. Da una parte gli ultras e dall’altra gli (ex) hooligans.
Seguendo proprio la linea dello scioglimento dei gruppi ultras, i fatti ci dimostrano come questa strada abbia portato fin qui ad un caos quasi totale, con i vertici dei gruppi costretti ad alzare bandiera bianca e con schegge impazzite difficilmente controllabili che si trovano senza guida ed agiscono in micro gruppi ognuno seguendo le proprie idee. Ed a tal punto mi deve spiegare l’onorevole Salvini, che ipotizza un incontro con i rappresentanti delle curve, in talune piazze chi può essere un soggetto autorevole a parlare per la massa? E soprattutto, quanti elementi possono sfuggire al controllo del gruppo guida e dei gruppi “ufficiali” della curva?
Le diffide a tappeto, spesso e volentieri mirate verso quei personaggi più attivi all’interno delle curve, hanno in realtà indebolito la struttura del gruppo ultras stesso, dando vita a tante piccole bande non più incanalate in un progetto unitario. E ciò si può percepire ad esempio dai tanti gemellaggi che si sono interrotti, dall’abbandono dell’uso dello striscione a favore delle più semplici pezze e da un costante cambiamento della geografia delle curve. La repressione fa male. A tutti.
Passiamo ai cori che lo stadio ha dedicato a Koulibaly. C’è chi parla di razzismo chi di semplice antisportività. Restiamo in materia di razzismo e proviamo a non circoscrivere il problema alla sola zona stadio: se all’interno dei nostri impianti sportivi vige una qualche forma di razzismo c’è da chiedersi se non è così anche nella società attuale.
Partiamo da un fatto oggettivo: attualmente in Italia il partito politico con la maggioranza dei voti è la Lega Nord che fa dello slogan “L’Italia agli italiani” il proprio cavallo di battaglia. Indipendentemente dal pensiero politico di ogni persona, dalle proprie idee e dai propri valori, oggi ben più che in passato, si è riscoperta una certa diffidenza verso il diverso, che questo sia diverso per razza o religione fa poca differenza. È palpabile nella società attuale perciò non vedo nulla di strano se all’interno di uno stadio, dove è esasperato lo scontro, dove la contrapposizione amico – nemico è inevitabilmente estremizzata, capitino alcuni episodi sopra le righe in tal senso.
Non entro nel merito del giusto o sbagliato ma temo sia una diretta conseguenza dell’attuale situazione della società nella quale viviamo. Il razzismo non si combatte negli stadi ma incrementando la cultura e appianando le disparità sociali.
Se andiamo a scorrere l’album dei ricordi, troviamo striscioni – soprattutto negli anni ’80 – che oggi farebbero impallidire, eppure all’epoca non si gridava allo scandalo ma si derubricava il fatto a semplice sfottò o a macabro striscione. Si vuol combattere il razzismo? Si inizi dalle scuole e dai luoghi di lavoro, a fare delle politiche inclusive arrivando ad affrontare il problema anche nei luoghi di aggregazione. Che siano parrocchie, circoli del dopolavoro e impianti sportivi e non scaricando i mali sul solito capro espiatorio.
Questione dei tempi che cambiano, oggi si colpevolizzano gli ultras per una mera questione di profitto, per cavalcare la linea degli stadi di proprietà, per incentivare l’acquisizione dei diritti televisivi e semplicemente per far cassa. Nel calcio il problema è una torcia accesa ed uno striscione esposto. Poi un giorno ci diranno come certi personaggi continuino a girare lo Stivale in sella a questa o quella società facendo disastri da nord a sud e da est a ovest. Personaggi che fanno fallire società gloriose per tornare in auge con una semplicità che va ben al di là dell’assurdo. Complimenti a loro che hanno capito tutto della vita, li invidio molto meno di quanto li detesto.
Valerio Poli