Il cielo è ancora livido e carico di pioggia quando mi avvio verso la Ostbanhof di Berlino. La speranza è che con il trascorrere del tempo un piccolo sprazzo di sereno si apra o che, almeno, il meteo mi risparmi da un’altra giornata sotto l’ombrello. Come avvenuto il giorno prima a Magdeburgo. Circa centotrenta chilometri separano la Capitale dalla città posta nel centro del Land di Brandeburgo, nonché nel cuore della Lusazia, regione storica spartita tra Germania, Polonia e Cechia, dove esiste una minuta ma forte minoranza, quella dei Sorabi, che parla e scrive una delle più antiche lingue slave ritenute ancora attive. Mi rendo conto di questa particolarità quando il treno comincia a sostare in fermate dalla doppia denominazione, fino ad arrivare al termine della sua corsa, dove l’insegna Cottbus/Chóśebuz fa bella mostra. La mia curiosità e la mia fascinazione per le zone di confine traggono ovviamente spunto da tutto ciò, ponendosi diversi quesiti, parte dei quali rimando a una ricerca più accurata. Ci troviamo davvero a una manciata di chilometri dal territorio polacco e questo rende inevitabile contaminazioni e miscugli tra le due culture. Del resto – discorso fatto anche su Magdeburgo – da queste parti la storia moderna e contemporanea sono passate in modo importante, lasciando il loro segno e fungendo spesso da corridoi per culture e popoli. Impossibile, dunque, non accorgersene. Impossibile non collegarle al calcio e a tutte le sue sfumature.
Cottbus porta la mia mente indietro di quasi trent’anni. Alle classifiche viste sul televideo e a quella squadra dallo strano nome – l’Energie – che “osava” sfidare i grandi dell’Ovest nella Bundesliga di inizio anni duemila. Uno dei pochi sodalizi provenienti dall’ex DDR ad avere la forza e l’opportunità di prender parte a diversi campionati post unificazione (sei in totale). Un traguardo ancor più valido se si pensa che al momento del passaggio da due distinti campionati a una Bundesliga unica, i biancorossi dovettero ricominciare addirittura dalla quarta divisione. Più in generale, solo nella stagione 2013/2014 l’Energie tornò a giocare al di sotto della seconda divisione, dopo diciassette anni trascorsi tra le prime due categorie. Una discesa che, di contro, sancì l’inizio di un periodo a dir poco catastrofico per il club, contraddistinto da una costante altalena tra terza e quarta divisione. Il destino sembra aver cambiato direzione negli ultimi due anni, con la vittoria – la scorsa primavera – della Regionalliga NordOst e il campionato attuale che vede i Lausitzer al primo posto, proprio pochi punti sopra i rivali di Dresda. Il che rende questa sfida ancor più carica di significati. La veloce e semplice risposta dell’ufficio stampa alla mia richiesta di accredito mi riconcilia, una volta tanto, anche con l’industria calcio, che qui ancora sembra mantenere un minimo contatto con l’umanità. Cosa che verrà confermata più tardi, quando raggiungerò il vecchio ma bellissimo Stadion der Freundschaft.
Ma prima di entrare nel cuore della giornata calcistica, è doveroso un giro nel centro cittadino. Esco dalla stazione passando tra una selva di tifosi e poliziotti. In questo percorso mi imbatto in due impavide tifose della Dynamo che, passando tra una decina di locali, cantano provocatoriamente cori in favore dei loro colori, ricevendo diversi improperi in cambio. Non so quanto in Italia sarebbe potuta succedere una cosa del genere, ma tutto sommato la reazione non va oltre lo scherno vocale. Mi inoltro per le strade di questo centro adagiato sulle rive della Sprea, immerso nella Spreewald, la foresta che dall’omonimo fiume prende il nome. I primi insediamenti degni di questo nome sono strettamente legate ai sorbi, che nel X secolo qua eressero un castello in un’isola di sabbia sulla Sprea, dal quale successivamente si espanse il nucleo urbano. Le vicende che hanno riguardato il territorio della Lusazia, hanno chiaramente marciato di pari passo con quelle che i Paesi egemoni in queste aree hanno progressivamente costruito. In particolar modo se si fa riferimento al dominio e alle influenze prussiane prima, tedesche poi. Seppur in minoranza, il popolo lusaziano ha sempre cercato di mantenere vive le proprie tradizioni. Alla caduta del Muro di Berlino ci fu un tentativo di costituire un Lander ad hoc. Tentativo che tuttavia fallì, sebbene autonomia e tradizioni siano garantite dagli Stati Federali di Brandeburgo e Sassonia. Durante la DDR molte città furono seriamente danneggiate dallo sfruttamento del territorio e dalla sua conversione in miniere di carbone; attività da cui, ovviamente, prenderà successivamente il nome anche il club biancorosso. Al netto di tutto ciò, il piccolo centro cittadino appare piacevole, con bei palazzi ottocenteschi e tutta una serie di strade e vicoli dall’aspetto signorile. Ammetto che mentalmente lo avevo sempre immaginato grigio e sporco di fuliggine, sposando la sua matrice operaia a quella estetica. E sbagliando di grosso! Oltretutto, avendo una forte vocazione studentesca, grazie alla presenza dell’Università di Tecnologia di Brandeburgo, il suo centro sembra avere anche una discreta vitalità, cosa che non guasta mai e che pare letteralmente infischiarsene del clima rigido e certamente non conciliante nei confronti di persone che poco tollerano il freddo.
Come da “tradizione teutonica” anche qui buona parte delle strade sono tappezzate da adesivi degli ultras locali. Una volontà chiara di marcare il territorio e lasciar intendere quanto squadra, città e tifoseria siano legati in un solo elemento. Con il fischio d’inizio in programma alle 14, quando l’orologio segna le 12:15 posso cominciare ad avviarmi verso lo stadio. Già da poco dopo Berlino, diversi ragazzi sono saliti in treno con sciarpe biancorosse al collo, quasi naturale, dunque, che la breve passeggiata verso l’impianto sia letteralmente costellata da tifosi di ogni genere di età. Una signora, venendo in controsenso alla mia direzione, chiede a un ragazzo contro chi giochi oggi l’Energie. Alla risposta “Dresden” di quest’ultimo, la sua esclamazione è un semplice ma eloquente suono gutturale: “Uhhhhhhhh”. Il che la dice lunga sulla visione generale che anche chi non frequenta gli stadi abbia del match che sto andando a vedere. Ovviamente la cosa mi fa piacere, ma del resto la tensione si respira in ogni angolo della città, resa ancor più palese da un vastissimo schieramento di forze dell’ordine. Dalla Capitale della Sassonia arriveranno con ogni mezzo e – a differenza di soggetti di nostra conoscenza – da queste parti nessuno ha minimamente pensato di vietare la trasferta, semmai sono aumentati gli uomini in campo e sono stati disposti percorsi idonei a non far incontrare le frange più calde delle due tifoserie. Ma neanche perdo troppo tempo a fare confronti impropri: basta dire che l’Osservatorio sul Nulla, il Casms, i Prefetti e i Questori ipocondriaci non sono minimamente contemplati. Poi si può discutere sulla differenza – anche a livello sociale e cittadino – tra Italia e Germania, nonché tra le tifoserie. Ma il dato di fatto è che se prendi un tedesco medio che frequenta lo stadio e gli chiedi cosa ne pensi dei divieti costanti per un Amatori Lodi-Valdagno di hockey qualsiasi, come minimo resta interdetto cinque minuti per scoppiarti a ridere in faccia. Benché non ci sia neanche più da ridere al cospetto di questi buffoni burocrati lavativi.
Dal ponte che sovrasta la ferrovia si comincia a intravedere lo stadio. Manca ancora diverso tempo all’inizio, eppure già una cospicua fila attende davanti ai cancelli. L’impianto sin da subito mi dà una bella idea di “usato garantito”. Mi spiego meglio: non siamo ai livelli di quegli stadi italiani o balcanici rimasti quasi identici a trent’anni fa e per questo tanto fascinosi quanto a perenne rischio crollo. Tuttavia lo Stadio dell’Amicizia (questa la traduzione fedele), inaugurato nel 1930, ha mantenuto la sua forma e la sua essenza originale in questi novantacinque anni di vita, pur essendo stato sottoposto a diversi lavori di restyling. Questo ha fatto sì che anche i pochi negozi presenti vengano totalmente fagocitati dall’atmosfera retrò che per forza di cose queste tribune – adiacenti alla ferrovia, scusate ma per un “trenofilo” è il massimo – trasmettono. Mi “trastullo” ancora un po’ nei suoi paraggi, per poi dirigermi al botteghino per ritirare l’accredito. Qua vengo quasi visto come una divinità, con il signore che mi consegna il pass complimentandosi per esser venuto direttamente dall’Italia per vedere questa partita anziché rimanere su suolo natio e assistere a match ben più belli e di valore tecnico superiore. Vorrei spiegargli un paio di cose (ad esempio che a livello tecnico ormai la nostra Serie A è spesso equiparabile alla loro Serie B e che a me interessano più che altro gli ultras) ma chi sono io per spegnere il suo entusiasmo ed ergermi, sempre e comunque, a Grinch di ogni cosa? E poi sai che c’è? Meglio passare come il forestiero simpatico di turno che come l’intruso venuto a fare chissà cosa. Tante volte meglio rispettare lo stereotipo dell’italiano “paraculo”!
Entro in sala stampa e, per buona pace della mia schiena, mi disfo del pesante zaino, mettendo in carica tutta la mia attrezzatura. Dopo un breve spuntino, rappresentato – manco a dirlo – da wurstel e senape, comincio a buttare le prime occhiate sulle gradinate, che lentamente vanno riempiendosi. Non so se sportivamente sia una giusta affermazione, ma mi viene da dire che questa è la partita più importante giocata dall’Energie Cottbus in questi ultimi anni. La seconda divisione manca ormai da undici stagioni e il fatto che a contendersela ci sia una storica rivale accende ancor più il match, calamitando il mio interesse, ma anche quello del grosso stuolo di calciofili delle basse categorie, che poi in genere sono quelli più agguerriti e informati, quasi ai limiti della parafilia. Un po’ come altri club dell’ex DDR, la data ufficiale di fondazione dei Lausitzer è postuma alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sebbene già dal 1919 in città si fossero avvicendati vari sodalizi con l’intento di portare il Fußball su ottimi livelli. In particolar modo l’attuale società viene ritenuta erede dell’FSV Glückauf Brieske-Senftenberg, fondato da minatori nel 1919 come Fußballverein Grube Marga, prima di diventare Fußballsportverein Grube Marga nel 1928, giocando due stagione nella Gauliga Berlino-Brandeburgo. Dopo il conflitto mondiale il club venne “chiuso” per poi essere rifondato come Sportgemeinde Grube Marga e prendere parte ai primi campionati della Germania Est. Nel 1948 cambiò nuovamente nome in BSG Franz Mehring Grube, rispondendo appieno alla tradizione sovietica di chiamare squadre e club con nomi appartenenti a politici, giornalisti o scrittori comunisti, come in tal caso era Franz Mehring. La cosa, tuttavia, durò soltanto un paio di stagioni, al termine delle quali la società venne rinominata BSG Aktivist Ost Brieske. Nell’ottobre 1954 la sezione calcistica venne delegata al neonato SC Aktivist Brieske-Senftenberg mentre, nel 1963, il club venne ancora una volta sciolto e ridondato come Sportclub Cottbus, la cui squadra di calcio divenne indipendente con il nome di BSG Energie Cottbus nel 1966.
Un excursus tutt’altro che scorrevole, verrebbe da dire, ma pienamente attiguo alla storia geopolitica di questa zona e delle sue città. Immerso nello stuolo di giornalisti e fotografi che affollano la sala stampa, mi concentro nell’osservare da dietro le finestre l’afflusso allo stadio, con decine di tifosi che si avvicinano gli ingressi e superano velocemente i controlli. Di fondo, ciò che forse più mi mette a mio agio, è l’avvertire un clima “da calcio”. “Per il calcio”. Mi spiego meglio: ritengo di esser nato e cresciuto in un paese che, senza modestia, penso vanti una storia davvero unica in fatto di passione e fede. In Italia abbiamo una tradizione quasi liturgica attorno al fenomeno football. Al contempo è innegabile che la conversione sempre più pressante di questo sport e della sua parte popolare in una macchietta commerciale e a favore di consumatori all’americana, abbia sovente snaturato anche il clima che si respira prima del fischio d’inizio. Per questo motivo, lo ammetto, spesso mi trovo fuori luogo davanti a baretti o chioschi dove sembra esserci quasi il dovere di “sfondarsi” di alcol et similia. Attenzione: non è che qua non bevano, ci mancherebbe (sebbene la birra faccia profondamente parte della cultura popolare e renda questo atto ben diverso). E non è che qua il tifoso non venga invitato a spendere. Però c’è anche tutto un’aspetto aggregativo, legato al motivo per cui si sta andando sulle gradinate, che sembra avere sempre la preminenza. E questo paragone, non me ne voglia nessuno, lo faccio soprattutto con molte piazze metropolitane della nostra Penisola, più che con la “provincia”, dove fortunatamente si preserva ancora forte un certo modus vivendi.
Bando alle ciance: è il momento di mettere piede sul manto verde e cominciare a respirare più da vicino l’aria di questo confronto. Indosso la grigia pettorina della 3.Bundesliga e oltrepasso il cancellone che dà sul campo. Anche qui: zero prefiltraggi, zero biglietti nominativi, zero steward zelanti e utili solo a creare scompiglio. Si entra facilmente nei settori e, nel mio caso, attorno al perimetro di gioco. Curva e settore ospiti sono già pieni e impegnati a preparare le rispettive coreografia. Io mi concedo il solito “sopralluogo” per capire da dove sarà meglio scattare e come sempre riscontro una certa semplicità nella gestione degli spazi per fotografi: ci sarebbe un regolamento che impone di stare dietro le porte, ma di fondo non lo rispetta quasi nessuno. Tanto meno io. La cosa viene tollerata e fare novanta minuti in campo diventa davvero un piacere, oltre che una facilità per qualsiasi velleità artistica e fotografica. Osservo attentamente la curva di casa, dove campeggia un lunghissimo striscione su cui è impresso per esteso il nome del club. Gli ultras – guidati dal Collettivo Bianco Rosso e da Ultima Raka, nomi italiani che lasciano intendere anche qua come, malgrado le influenze polacche, il riferimento all’Italia sia più che velato – riscaldano i motori con un paio di cori per spronare la squadra intenta nel riscaldamento. Stesso copione sul fronte opposto, con gli Ultras Dynamo – il gruppo principale – e tutte le altre sigle, impegnati a preparare la coreografia, che non fanno mancare ai loro giocatori cori e vicinanza. Tra loro spicca la presenza dei Red Kaos dello Zwickau, storici gemellati. Devo ammettere di trovare molto bello il materiale degli ospiti, tra cui spicca lo striscione “Kriminelles Leben Dynamo”, che tradotto in soldoni vorrebbe dire “Vita criminale per la Dynamo”. Mi viene da ridere pensando a cosa direbbe l’Ivan Zazzaroni della situazione commentando uno striscione del genere – e non capendone il senso provocatorio e guascone. La Dynamo non penso abbia bisogno di grandi presentazioni da parte mia: assieme all’Hansa Rostock è senza dubbio la compagine più blasonata del calcio ex DDR, sebbene l’ultima partecipazione alla Bundesliga risalga addirittura alla stagione 1994/1995 (al termine di quell’annata arriverà il fallimento che costringerà i sassoni a ripartire dalla Regionalliga). Tra le sue fila hanno militato calciatori del calibro di Matthias Sammer e Ulf Kirsten e ancora oggi i colori gialloneri sono seguitissimi in molte zone della Germania Est. Sicuramente, da un punto di vista ultras, parliamo di una tifoseria che vanta una lunga tradizione e che da sempre viene annoverata tra le migliori (sia per tifo che per turbolenze) di tutto il Paese.
A una manciata di minuti dal fischio d’inizio tutto lo stadio si esibisce in una imponente sciarpata, sulle note di una canzone che penso sia l’inno del club. In concomitanza scendono sul terreno di gioco anche degli sbandieratori, figure di cui sinceramente avrei fatto volentieri a meno. Non solo per l’aspetto da “palio” che rischiano di creare, ma anche e soprattutto perché alla fine risulteranno d’intralcio per le foto durante le scenografie! Le prime – e il plurale è doveroso – vengono esposte dai padroni di casa: tre “spettacoli” diversi tra loro, tutti realizzati con cartoncini e dalla riuscita secondo me davvero buona. Scelta diversa nel settore ospiti, dove viene data priorità alla pirotecnica. Decine di torce accendono la scritta “Dynamo”, corredata dal simbolo della morte (che ricalca quello storico dei Fedayn Roma) e dalla scritta “Jeder furchtet unsern namen” (“Tutti temono il nostro nome”). Cosa dire? Per me quando si accendono così tante torce ci può anche non essere altro, tanto la riuscita è comunque garantita! Peraltro i gialloneri si ripeteranno nella ripresa, con una torciata stavolta completamente rossa. Chi mi conosce sa che non sono un cultore delle coreografie, va pure detto che in questo caso non sono fini a loro stesse, ma propedeutiche al tifo che oggettivamente verrà fatto, bene e senza sosta, su ambo i lati. Come avevo già scritto in occasione di Magdeburg-Eintracht Braunschweig, in questa porzione di Germania il tifo risente palesemente delle influenze polacche. E se in occasione di quella gara il confronto con una realtà dell’Ovest era anche il modo di vedere al cospetto due modelli leggermente diversi (con gli ospiti pienamente ispirati agli italiani) quest’oggi il derby è anche tra due modi simili di vivere le gradinate. Che poi penso sia anche sbagliato definirlo completamente “polacco”: sia nei nomi, che nel modo di tifare ci sono tantissimi accenni agli ultras italiani.
A proposito di tifo: avevo già avuto modo di vedere all’opera gli ultras della Dynamo, ben dodici anni fa in quel di Kaiserslautern. A pensare che siano passati oltre due lustri mi viene quasi inquietudine, ma tant’è. In questi anni il movimento tedesco è cresciuto a dismisura e con esso la sua concretezza, i suoi numeri e la sua assiduità. Tante realtà sono passate dal tifare in poche centinaia a divenire muri umani. All’epoca i gialloneri erano già una “signora” tifoseria e riempirono il settore con numeri da urlo (si giocava di venerdì e le due città sono distanti 570 km), rendendosi protagonisti di una grande performance. Pertanto in questo pomeriggio invernale ho solo la conferma della loro grandezza, per quanto sia sempre una soddisfazione osservarne le movenze, le manate, le sciarpate perfette, i cori a rispondere, il materiale in movimento e la bella esultanza al provvisorio gol dello 0-1. Novità assoluta, di contro, erano i ragazzi di Cottbus, dei quali avevo sempre sentito parlare bene senza poter mai avere un riscontro. E di certo non posso dirmi insoddisfatto: quasi sempre tutto il settore partecipa al tifo, colorandosi con bandiere e stendardi e coinvolgendo sovente anche la tribuna alle mie spalle, dove nel finale, con la squadra alla ricerca del pareggio, più di qualcuno si lascia andare al lancio di oggetti in campo e sul guardalinee. L’arbitro richiama il capitano, invitandolo a far calmare i propri tifosi, mentre in zona Cesarini arriva la rete del pari che fa letteralmente esplodere lo stadio. Osservo il tripudio della gente immortalandone la gioia e lasciando la gara scivolare fino al triplice fischio. Le due fazioni, che durante tutta la partita si sono beccate con cori e gesti, richiamano sotto ai rispettivi settori le squadre, autrici comunque di due belle prestazioni, che lasciano del tutto invariata la classifica e aperta la lotta per la promozione.
Mi godo gli ultimi frammenti di questo derby e poi comincio a preparare la mia attrezzatura. Stavolta la destinazione finale sarà l’aeroporto di Praga, dove mi attende il volo per Catania e, di seguito, la supersfida di Eccellenza Siciliana tra Vittoria e Modica. Ma prima di andare a raccontare un’altra storia così bella e intricata, ma soprattutto così a sud nella latitudine, cerco di respirare le ultime ore in terra teutonica. Rilascio la pettorina nella sala stampa e con tutta tranquillità mi avvio verso la stazione. La polizia tiene separate le strade in base alla tifoseria che le percorre. Alla mia sinistra, su un viadotto, il serpentone giallonero sta già defluendo, scambiandosi eloquenti gesti con i supporter di casa, proprio nella strada sotto di loro. Ecco, diciamocelo pure, anche questo in Italia, probabilmente, non si sarebbe limitato a qualche dito medio. E anche questo ci fa capire come, se è vero – ed è vero – che la polizia tedesca gestisca bene e in modo oculato l’ordine pubblico, è anche vero che nella prossimità dello stadio, dell’evento sportivo, riscontra senza dubbio meno problemi e meno tendenza a creare scompiglio (il che non vuol dire che quelle locali siano tifoserie tranquille, ma semplicemente che hanno anche altri modi per confrontarsi: a buon intenditor…). Arrivato nei pressi della stazione la stanchezza comincia ad avere il sopravvento. Raggiungo la banchina dove passerà il mio convoglio per Dresda. Assieme a me tantissimi tifosi della Dynamo, che affronteranno il viaggio a suon di birre, chiacchiere e qualche coro. Giunto in riva all’Elba non mi resta altro che una fugace visita al bellissimo centro storico prima di salire sul pullman con direzione Praga. Ora posso veramente dire che questa lunga giornata è finita e che per l’ennesima volta ho potuto tastare con mano ambiente, livello e alcune sfaccettature di questo genere di sfide. Mi accorgo che la stanchezza fisica sopraggiunge solo quando il cervello capisce di potersi mettere in stand-by, di non avere più adrenalina o cose nuove da elaborare e vedere. Almeno fino al giorno dopo. Almeno fino alla prossima bandiera che sventolerà e al prossimo fumogeno che solleverà una coltre di fumo coprendo momentaneamente il muro di braccia e di cori. Non so se per sempre ci sarà una “prossima volta” in questo mondo del tifo contorto e braccato, per adesso ci spero e cerco di godermela appieno!
Simone Meloni