‘O centru da Sicilia c’è ‘u me paisi, ‘n capu ‘na montagna ammezzu ‘a neglia, simu l’Aggregazione, t’addifinimu, simu l’ultrà di Enna, pi ti cantamu
Le sciarpe sono tese e sembrano quasi danzare da sinistra a destra sulle note – modificate – di Vitti ‘na Crozza, mentre in campo la partita volge al termine e il Siracusa sta conducendo per 2-0. La “paisana” o la “neglia” è calata già da almeno un quarto d’ora e a tratti, quando il vento smette di spirare, rende difficoltosa anche la vista di giocatori e tifosi collocati a pochi metri. L’elemento che più doveva restituirci la veracità di Enna non ha marcato visita e sembra quasi volerci dare una pacca sulle spalle per questi ultimi minuti di partita, ricordandoci che è lei la Regina incontrastata della Urbs Inexpugnabilis, come venne ribattezzata dai romani. La città inespugnabile, che con la sua particolare posizione ha dato filo da torcere a chiunque, nei secoli, abbia provato a insidiarla e a spodestare l’egemonia predominante. Dai siculi ai greci, dagli arabi ai normanni, dagli svevi agli aragonesi. Novecentonovantadue metri di altitudine che ne fanno il capoluogo di provincia più alto d’Italia e che ne tratteggiano bene il carattere e il modo d’essere della sua gente e, di conseguenza, anche di tutto ciò che ruota attorno al pallone. Tifo compreso. Aggiungo che anche per il sottoscritto Enna si è dimostrata tutt’altro che agevole, facendomi rimandare per ben due volte l’esordio al Generale Gaeta negli ultimi anni. La prima nel novembre 2021, quando a biglietti aerei fatti e prossimo alla partenza, la gara contro il Canicattì venne rinviata per Covid, la seconda all’inizio di questa stagione, quando la chiusura del settore ospiti causa lavori di ristrutturazione ha mandato a monte i miei piani. Pertanto il percorso di avvicinamento a questa sfida è stato a dir poco tortuoso, anche perché tra i tanti fattori esterni di cui tener conto c’è sempre l’Osservatorio sul Nulla, che può svegliarsi con la luna storta e vietare una trasferta perché nel 446 a.C., durante la guerra contro Agrigento, i siracusani hanno usato armi non convenzionali.
Fortunatamente tutto andrà per il verso giusto, dall’inizio alla fine. E l’inizio di questa storia “di montagna” conosce il proprio palcoscenico in quel di Messina, dove il sabato pomeriggio io e Marco assistiamo al match tra peloritani e Avellino. Un ghiotto antipasto prima della domenica. Nonché uno dei migliori modi per toccare con mano l’escursione termica tra il caldo sole primaverile dello Stretto e la temperatura che metro dopo metro, inerpicandosi verso Enna, si fa sempre più bassa e umida. Il tutto, manco a dirlo, completato dalla nebbia, che avvolge totalmente il centro cittadino impegnato nel suo sabato sera e per lunghi tratti impedisce la visuale sia dei paesi circostanti che delle colline. Di fatto sembra di esser catapultati in una dimensione parallela rispetto a quella Sicilia conosciuta generalmente e “lapidata” dal solleone o bagnata dalle acque cristalline dei suoi mari. Anche per questo – come già detto in occasione delle esperienze nissene o sancataldesi – il tutto assume dei contorni ancor più particolari. Enna sviluppa la sua vita e la sua storia proprio sul centro di questa isola (non a caso i romani la ribattezzarono Umbilicus Siciliae e oggi un piccolo obelisco e un paio di targhe posizionate nel punto esatto, celebrano questa sua centralità) e può vantare natali lontanissimi, basti pensare che i primi segni di civiltà risalgono addirittura al neolitico, quando alcuni villaggi si stanziarono lungo le sponde del Lago di Pergusa. Un lago presso cui è ambientata e narrata una delle leggende più importanti tramandante del mondo classico, quella del Ratto di Proserpina, che proprio qui sarebbe avvenuto. Oggi è suggestivo pensare all’intreccio tra questi antichi fasti e lo sviluppo di un sontuoso circuito automobilistico che ne caratterizza il perimetro, spesso utilizzato per eventi internazionali.
Dici Enna e ovviamente non puoi che fare riferimento a questo nome, apparso per la prima volta sotto il dominio greco, che la elevarono a polis. Henna era celebre per il culto di Demetra, tanto che ancora oggi uno dei suoi simboli è la Rocca di Cerere (la Demetra dei romani), posizionata su uno sperone che abbraccia il luogo più imponente della città: il Castello di Lombardia, le cui fondamenta risalgono addirittura a oltre due millenni fa. Sarebbero state costruite dai sicani, per arginare le incursioni dei siculi e assicurare alla città un avamposto difensivo. Il castello e le sue mura risultarono talmente impervie che i romani, per violarle, furono costretti a passare dalle fognature. Oggi, anche grazie a un’importante campagna di recupero, rappresenta il fiore all’occhiello della città, sebbene al nostro arrivo sia chiuso per lavori di ristrutturazione (e qui ritornano le ataviche difficoltà logistiche di cui sopra, sic!), proprio come l’altro grande simbolo cittadino: la Torre di Federico, che riusciamo a vedere solo da fuori ma della quale abbiamo una chiara idea sulla sua grandezza e su quanto possa dominare le vallate circostanti. Ho nominato lil suo toponimo greco non a caso: con l’arrivo degli arabi, infatti, lo stesso verrà modificato in Qasr Yānī o Qasryānnih (che letteralmente vuol dire “La Fortezza di Enna”) e successivamente “sicilianizzato” in Castrugiuvanni. Solo in epoca fascista venne ripristinato l’antico nome, inserendolo nella volontà del regime di restituire nomi classici e appartenenti alla tradizione dei rispettivi luoghi. Senza voler tediare pesantemente il lettore, esulando troppo dal focus dell’articolo, va tuttavia sottolineata la struttura del centro cittadino, dove inevitabilmente ci si imbatte in palesi sfumature di tutti i vari popoli passati da qui. Basti pensare alla Porta Janniscuru, eretta dagli arabi e caratterizzata da una serie di importanti necropoli nel sottosuolo, o alle innumerevoli Chiese di cui il Duomo ne è maestoso rappresentante. Eleganti i palazzi in stile gotico e barocco o imponenti come quello di Chiaromonte, che nella parte finale dà accesso al Belvedere, dove – nebbia permettendo – si possono osservare nitidamente alcuni centri abitati dell’ennese ma anche la sagoma dell’Etna. Di fondo quello che mi lascia sempre impressionato della Sicilia è la disinvoltura con cui sfoggia un mélange culturale e storico da far invidia a Paesi grandi venti volte quest’isola. Ed è uno dei motivi che mi spinge, quasi perversamente, a visitarne più anfratti possibili e capirne le dinamiche più profonde, lasciando stare ciò che è spendibile presso agenzie turistiche e affini.
Stavolta vi risparmio la carrellata di cibi e leccornie, ma non pensiate che me ne sia andato da Enna senza assaggiare il suo tipico formaggio piacentinu o altre prelibatezze che non ti fanno pentire di aver messo a serio repentaglio colesterolo, pressione e circolazione arteriosa. La tavola risponde alla storia e gli autoctoni, spesso senza neanche saperlo, ne sono ampiamente protagonisti con gesti, parole e modi di fare. Così come non può mancare una visita alla stazione ferroviaria, situata a tre chilometri da Enna Bassa e aperta quasi centocinquanta anni fa, in un grande progetto che aveva l’obiettivo di facilitare l’estrazione e il trasporto dello zolfo dalla Sicilia al continente. Oggi, come molte stazioni siciliane, soffre la concorrenza con il trasporto su gomma e la distanza dal centro abitato, nonché dal polo universitario, che negli ultimi anni ha conosciuto un ingente sviluppo portando in città molti giovani. Fa però sognare (almeno i malati di mente come me) immaginarla con la sua rimessa per locomotive a vapore attiva e lo sferragliare delle diligenze, con capitreno e passeggeri a parlare in dialetto, osservando magari giovani speranzosi andar via, verso il Nord o verso l’estero, cercando una nuova vita e lasciando tristemente per sempre la terra natia. Del resto il treno è anche questo: muoversi e portare con sé il proprio bagaglio culturale e familiare. Certo, all’epoca lo scalo doveva sembrare ancor più lontano, considerato lo scarno sviluppo della parte bassa e la concentrazione principale in quella antica. Piccola nota fuori contesto: tra Enna Bassa ed Enna Alta non solo ci possono essere differenti temperature, ma ovviamente la “paisana” può tranquillamente stendersi su e lasciare in pace la zona inferiore (come ampiamente accaduto nel giorno e mezzo di nostro soggiorno).
In più di un’occasione, camminando per le stradine del centro storico, ci si imbatte in signori o ragazzi con indosso il cappello gialloverde e la scritta “Montagna”, realizzato dalla tifoseria organizzata ma fortemente accettato da tutta la comunità che in questa identità montanara non solo si riconosce ma ha sviluppato un vero e proprio orgoglio. E un po’ lo capisco, proprio per quanto detto sopra: è una grandissima differenza dallo stereotipo con cui immaginiamo la Sicilia e i suoi abitanti. Testimonianza di questa particolarità è lo stadio. In genere si tende a costruire gli impianti a valle, dove c’è più spazio e dove gli agenti atmosferici possono creare meno problemi. Qui no. Qui si è edificato in un quartiere il cui nome è tutto un programma: Monte. Uno dei più alti della città, quello dove sovente la nebbia arriva “divorando” tutto e costringendo al rinvio o alla sospensione di partite (ne sanno qualcosa il Licata e l’Atletico Catania, che in due differenti occasioni furono costretti a tornare qui diverse volte). E a questo impianto – dedicato, per l’appunto, al generale dell’aeronautica Giuseppe Gaeta – bisogna per forza dedicare due righe. Sia perché i suoi novantatré anni di vita rappresentano un tempo sufficiente per incastonarlo tra i monumenti cittadini, sia perché negli anni è sempre stata la casa del calcio gialloverde e nell’ultimo anno – dopo oltre trenta stagioni – grazie a lavori mirati è riuscito a riveder omologati buona parte degli spalti, tra cui quelli dove oggi stazionano gli ultras ennesi. Capisco che agli adoratori del calcio contemporaneo non piacerà. Comprendo che le sue gradinate “sgarrupate”, il suo cemento armato dove a tratti cresce l’erba campestre, il suo settore ospiti a dir poco dispersivo e la sua conformazione che vanifica qualsiasi tentativo di vedere al meglio le gesta calcistiche siano contrarie alla vulgata comune sugli stadi belli, moderni e comodi, ma a me è entrato subito nel cuore proprio per questo. D’altronde come si dice? Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace! Anzi, aggiungo che se lo avessi visto quando ancora era in terra battuta, sarebbe entrato nella mia top 20, che palesemente più di qualcuno avrebbe rinominato “top 20 degli orrori”.
A onorare il suo manto, per diversi anni e ancora oggi, ci sono le casacche gialloverdi dell’Enna, che dal 1942 ha conosciuto fortune alterne, tra anonimi campionati regionali e tre sortite nel professionismo: due in C (negli anni quaranta e nei settanta) e una in C2, nel 1990/1991. Campionato, questo, in cui si sentiranno i primi vagiti ultras, come avrò modo di scrivere tra poco. La promozione conquistata lo scorso anno, dopo aver perso lo spareggio con il Siracusa nella stagione precedente, rappresenta senza dubbio uno dei traguardi storici per tutta la Enna sportiva, se non altro perché la D mancava da ben trentacinque anni. Una promozione fondamentale, sia da un punto di vista calcistico che per gli ultras, i quali dopo tantissime stagioni trascorse nell’isola hanno avuto l’opportunità di varcare lo Stretto, portando nell’Italia continentale la maglia gialloverde e l’Aquila Bicipite, simbolo cittadino accanto alle tre torri che simboleggiano Castrogiovanni città del Sole – ossia di luce e di Sapienza -, Castrogiovanni, città di Pace, e di Abbondanza e Castrogiovanni intesa come Madre e legislatrice della Trinacria. Il tutto in un momento storico dove il terreno ha dato discreti frutti, dimostrandosi fertile e ben amalgamando le vecchie generazioni con tutto lo stuolo di giovani che si sono avvicinati allo stadio. Ma esattamente qual è la genesi ultras sulla “Montagna”? Da ragazzino non posso negare di aver provato una sfrenata curiosità nel vedere quello striscione Commando Ultrà su Supertifo. Fotografie che aprivano il cassetto della mia fantasia e mi facevano immaginare questi ragazzi impegnati al seguito di una squadra all’epoca non certo all’apice della propria storia sportiva, proveniente per giunta da un luogo che immaginavo remoto e lontanissimo da me.
La prima forma di tifo organizzato si vede a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, in concomitanza – per l’appunto – con la C2. Fa la sua apparizione lo striscione Commando Hurrà (che oggi viene esposto alle spalle di una porta a mo’ di feticcio), che in realtà è un errore rispetto alla stampa originale, che avrebbe dovuto essere Commando Ultrà. Questa sigla viene affiancata anche dallo Sturm Jugend, anche se parliamo di “esperimenti” primordiali, che forse sarebbe anche sbagliato definire ultras. Come per altre piazze all’epoca, infatti, le trasferte all’attivo sono pochissime e anche il modo di tifare si attiene più che altro a un rumoroso folklore. Il vero gruppo organizzato nasce nel 1999 ed è, per l’appunto, il Commando Ultrà, che si scioglierà nel 2013 in seguito al fallimento e alla radiazione dell’Enna. Nel 2015 nascono i prodromi di quella che poi sarà Aggregazione Ultras. Un manipolo di ragazzi che, con la squadra terzultima in Prima Categoria, comincia a seguire dietro la pezza per Filippo, un ragazzo del C.U.E. scomparso da poco. Dopo circa un anno e mezzo fa la sua apparizione lo striscione Aggregazione Ultras, che sancisce l’inizio di una nuova era per gli ultras gialloverdi. Un nome particolare e sicuramente significativo, partito inizialmente come semplice pezza e come slogan stampato sugli adesivi, ma che racchiude alla grande l’essenza della militanza. Oggi, oltre al materiale di A.U.E., sulla rete viene appeso anche il drappo Zona Monte, che rappresenta la vecchia guardia (la maggior parte proveniente dall’omonima zona). Un filo rosso che lega, dunque, le generazioni che si sono avvicendate sulle gradinate del Gaeta e che oggi punta a creare una base duratura, pur nelle difficoltà del momento storico e pur cosciente di quanto militanza assidua in queste piazze sia tutt’altro che scontata o semplice (“bastano” daspo o retrocessioni per mettere tutto a repentaglio, scenari che nel 2025 sono il più concreto e comune spauracchio per qualunque tifoserie viva la sua realtà dalla C in giù).
Curiosando tra amicizie e rivalità, vanno sicuramente citati i primi, storici e tutt’oggi esistenti, buoni rapporti del Commando con Favara e Canicattì, nonché il gemellaggio con i sancataldesi, nato oltre vent’anni fa in occasione di una festa di un supporter verdeamaranto in un locale della provincia di Enna. Vera e propria fratellanza ancora esistente e sentitissima. Buoni rapporti esistevano anche con i ragazzi di Adrano, mentre negli ultimi anni si è creato un rapporto con Serradifalco. Per quanto riguarda le rivalità, senza dubbio quella principale, che affonda le radici proprio nel campanile quotidiano ed esistente ben al di fuori dello stadio, è con i nisseni. Testimonianza ne sono gli incidenti scoppiati all’esterno del Palmintelli di Caltanissetta nel novembre di due anni fa. Tafferugli che costarono un consistente numero di diffidati su ambo i fronti, nonché gli ormai tristemente ovvi divieti nelle sfide successive. Rivalità sentita anche con Licata, mentre di recente nascita quella con i modicani.
Arrivato il giorno della partita, manco a dirlo, il primo sguardo è dalla finestra della mia camera per controllare la situazione nebbia. Che sembra tuttavia non essere troppo invadente. Per quanto la sfida sul campo sembri ìmpari, sugli spalti c’è da attendersi un grande confronto, tra una realtà in ascesa, come quella di casa, e una piazza storica e navigata come quella aretusea. Per l’occasione tutti i trecentocinquanta biglietti del settore ospiti sono stati venduti, sulla scorta dell’entusiasmo che attualmente pervade i siracusani, primi in classifica e speranzosi di tornare in C dopo diversi anni. Sin dalle prime ore del mattino Enna è invasa da mezzi della polizia e dei carabinieri, a testimonianza di quanto la Questura locale tema l’invasione azzurra e voglia cercare di prevenire qualsiasi problema, benché i rapporti di indifferenza tra le due fazioni non lascino pensare a particolari disagi. Come accennato, per gli ultras ennesi questa stagione è sia un banco di prova che un trampolino di lancio. La possibilità di confrontarsi con città dove il movimento è radicato da decenni e quella di viaggiare anche al di fuori della Sicilia, due elementi fondamentali per salire qualche gradino e crescere come tifoseria. Mi trovo al loro cospetto per la prima volta nella mia vita, quindi non ho grandi termini di paragone se non quelli presenti su internet con foto e video (che sicuramente sono indicativi ma non completi), fattore che mi incuriosisce ancor più. Vedo il loro viavai nel prepartita, tutti in zona stadio, e l’impressione è quella di una tifoseria ben amalgamata, dove i giovani hanno un ruolo fondamentale ma anche rispettoso della loro storia e del passato. Credo che ciò che si vede nei novanta minuti sia solo il riflesso di quello che si è e che si vive durante la settimana. Una sorta di svolgimento della liturgia ultras dopo sette giorni in cui ci si è preparati per andare al meglio nel tempio.
Quando manca poco meno di un’ora al fischio d’inizio decidiamo di entrare nello stadio, per cominciare a goderci il clima ed entrare appieno nell’ottica del confronto. Non nego di trovare a dir poco esagerate le diverse videocamere appostate a ogni ingresso per riprendere gli spettatori, i quali addirittura sono costretti a mostrare i loro documenti. Per carità, non che sia una novità, ma fatto su scala così grande (tutto lo stadio) restituisce più l’idea di una casa circondariale che di un posto dove assistere a una partita di calcio. Qualcuno dira: “Beh, normale amministrazione per gli ultras”. Vero. Ed ennesima conferma di quanto quello striscione di inizio anni duemila – “Oggi per gli ultrà, domani tutta la città” – fosse veritiero e lungimirante. Comunque, superato il check-point in stile Guerra fredda, finalmente mettiamo piede in campo e addirittura un timido sole fa capolino. Le gradinate si vanno riempiendo e noi ne approfittiamo per dare un’occhiata anche nelle zone più interne, dove sono esposti trofei, gagliardetti e foto storiche. I recenti lavori di restyling hanno abbellito le aree più in vista e sistemato anche gli spogliatoi. Mentre il teatro, il tempio, il palcoscenico dove scenderanno i giocatori si presenta forse un po’ “spelacchiato”, sicuramente alla vecchia maniera. Nel frattempo gli ultras aretusei hanno fatto il loro ingresso, esponendo tutte le loro pezze, tranne quella dei Boys Ortigia, colpiti da un grave lutto poche ore prima. L’ultima volta che li ho visti era in un occasione di un “certo” Siracusa-Acireale, che rimarrà senza dubbio tra le partite più belle e avvincenti in Italia negli ultimi anni.
Si avvicinano le 15, fervono i preparativi, soprattutto nel settore di casa. Il gruppo si stringe e comincia a eseguire i primi cori, forgiati dai ragazzi col megafono in mano. L’Enna non vince da mesi e vanta il non poco onorevole primato di sole tredici reti realizzate. Se non fosse per un ottimo avvio di campionato, i gialloverdi si ritroverebbero seriamente impantanati nelle ultime posizioni. La sconfitta di Licata, peraltro, ha provocato un piccolo terremoto, con le dimissioni del tecnico, del suo staff e del direttore sportivo. Insomma, calcisticamente non tira un’aria eccelsa, ma questo per gli ultras può solo fungere da sprone, dovendo dimostrare come proprio in questi momenti si riesca a essere l’elemento in più. Certo, va detto che il pubblico ennese, anche a causa dei tanti anni di anonimato, non è facile da trascinare. Sebbene quest’oggi i numeri saranno importanti e, senza dubbio, il modo di fare degli ultras – molto attenti a coinvolgere tutti – col tempo ha convinto più di qualcuno che di base non avrebbe frequentato il mondo ultras. Una delle prime cose che osservo è inevitabilmente il materiale. Nel loro caso trovo molto bello il bandierone con la foglia di marijuana e la scritta “Annebbiati” (più che bello direi… veritiero!), così come degni di nota sono il due aste “Voglio vivere così” nonché quello nero con il nome del gruppo in gialloverde e lo stemma cittadino. Sempre nel pre partita i siracusani si esibiscono in una bella sciarpata, con il lanciacori che invita tutti i presenti a gridare e sostenere i Leoni, malgrado – aggiungo francamente – il settore loro destinato sia davvero anti-tifo e alquanto difficile da gestire, soprattutto in occasione di presenze corpose. Nota di merito per i palazzi situati proprio dietro la curva ospite, che fanno sempre caratteristico folklore e permettono a qualche fortunato di assistere gratuitamente al match.
L’arbitro mette piede sul terreno di gioco, seguito dai ventidue giocatori. Prima importante considerazione: sto riuscendo ad assistere a una partita dell’Enna Calcio, alla presenza di due tifoserie e senza alcuna “disgrazia” esterna. Seconda considerazione, oggettiva: la coltre di fumo che si alza dai ragazzi dell’Aggregazione Ultras ha sempre un non so che di poetico, peccato che il solito vento tenda a spazzarla velocemente via. Malgrado ciò lo spettacolo è senza dubbio bello e dà il la all’inizio del loro tifo, che devo dire sarà davvero di ottima fattura per tutti i novanta minuti. Si vede chiaramente che il blocco che segue i canti non sta lì per caso, ma è il frutto di un lavoro e, per l’appunto, di un’aggregazione che fa sentire tutti parte del progetto, tutti tifosi dell’Enna e di Enna. Può sembrare scontato e sciocco, ma gli ultras in questo genere di realtà sono a dir poco istituzioni per l’esaltazione e la difesa del proprio orgoglio cittadino, che altrimenti potrebbe andar facilmente perso – o peggio ancora rinnegato – dietro concetti e valori vuoti. E in particolar modo la differenza la fa il modo con cui si approccia alla propria curva e alla militanza: farlo con umiltà, con rispetto per chi si ha di fronte e con lungimiranza, garantisce continuità e vita alla comunità. Di contro, come troppo spesso si vede, lo scimmiottare le grandi piazze – nelle esagerazioni e nelle perversioni narcisiste – può solo, alla lunga, creare problemi e scavare una fossa tra il gruppo e il resto della tifoseria. Sulla performance: davvero poco da appuntare agli ennesi. Tantissima voce, un modo intenso di cantare, tanto colore, una bella sciarpata nel finale e, complessivamente, credo che il concetto di “oltre il risultato” – nella sua giusta accezione – li rappresenti appieno. Sempre bello sentire cori in dialetto!
Su fronte siracusano: come detto non è facile coordinare i presenti in un simile settore. Tuttavia non sono io a scoprire la tradizione di questa tifoseria che, nei novanta minuti, si renderà protagonista di un’ottima prova. Per loro davvero tante bandiere sempre al vento, manate, cori a rispondere qualche fumogeno di tanto in tanto. La squadra li premia con una vittoria che li mantiene saldi in vetta e gli fa vivere una bella domenica, al cospetto dei tanti divieti che quest’anno sono piovuti sulla Curva Anna, come purtroppo su tutto il resto d’Italia, ormai vittima di provvedimenti scellerati, griffati Questure e Prefetture. Mentre le due curve si danno ancora da fare e il match si approssima verso la fine, ecco scendere corposa la “paisana”. Dapprima viene spazzata dal vento, poi lentamente comincia a fermarsi, formando una barriere “spessa” che nel giro di un quarto d’ora rende la visibilità prossima allo zero. Tiro un sospiro di sollievo, pensando alla tempistica con cui si è presentata: sarebbe bastato un po’ di anticipo per rendere ingiocabile questa partita o, comunque, annullare lo spettacolo delle tifoseria. Invece, vi devo dire, vederla così è scenica. Prettamente ennese. Insomma, come andare in un ristorante e chiedere un assaggio del piatto tipico, senza esagerare.
Dispersi nella nebbia realizziamo gli ultimi scatti, prima di salutare il “Generale Gaeta” e cominciare a riconquistare la strada del ritorno. Le vallate che al mattino avevamo osservato con la loro dimensione quasi irlandese, ora sono del tutto scomparse e anche un discreto freddo sta salendo prepotente. Resta il sapore del calcio, degli ultras e di tutto quello che circonda questo genere di domeniche e che contribuisce ad appagarci. A farci sembrare lontano lo schifo che in realtà ormai è d’abitudine pure nel dilettantismo per quanto riguarda giochi di potere, repressione e divieti. Lo ripeto ancora: ogni volta può essere l’ultima. L’ultima volta con due tifoserie. L’ultima volta di una trasferta aperta. L’ultima volta di uno stadio a norma. Quindi occorre godersela appieno. Ci lasciamo alle spalle due tifoserie diverse, ma dal grande spessore. Dagli aretusei, che vogliono rinverdire i loro fasti e la loro esuberanza, ai ragazzi dell’Aggregazione Ultras, che hanno senza dubbio il pregio di essere una realtà ben costruita e ben pensata. E ben al fuori di determinati cliché. Ce ne andiamo su un bus che si immerge nell’oscurità prima e nella pioggia poi. Ancor più fuori da quella Sicilia raccontata dai depliant. Che poi, per carità, che ben venga quel tipo di regione. Ma per qualche ora lasciateci apprezzare la diversità e quindi l’unicità. Cose che in un mondo omologato e troppo spesso fatto in fotocopia, sono virtù troppo belle e rare per non essere respirate e trattenute nel cuore e nei polmoni. Proprio come nei polmoni tratteniamo quelle goccioline d’acqua sospese. Che ci rimarranno addosso e nella mente per tantissimo tempo e che ricollocheremo a Castrogiovanni ogni qual volta le rivedremo in ogni parte del globo terracqueo!
Simone Meloni
nébbia s. f. [lat. nĕbŭla]. – 1. Ammasso di goccioline d’acqua aventi diametro di qualche millesimo di millimetro, e quindi leggerissime, che si formano in prossimità del suolo o sopra il mare e i laghi o lungo i fiumi per condensazione di vapor d’acqua, diminuendo in misura più o meno sensibile la visibilità