romalazio8990zooomIo non l’ho mai vissuto il Commando. Sì, forse l’ho visto all’opera nella sua parabola discendente. Negli ultimi anni, quando ormai quel gruppo che a casa mia, nella mia città, aveva scritto la storia, stava andando verso la fine della sua gloriosa esistenza. Il Commando è leggenda per me. Il Commando è sempre stato un qualcosa da guardare e non toccare. Da imitare, ma da poter vivere solo attraverso foto e qualche video, raramente reperibile.

Oggi ne sento parlare. Spesso. Troppo. Da chi, come me, non l’ha mai vissuto. Quando c’è da fare un paragone con il passato, spesso per denigrare il presente, allora si tira in mezzo il Commando. A sproposito, con tutta probabilità. Ci pensavo poco fa, prima di andare a dormire. Prima che il sonno si sedesse di nuovo in un angoletto per farmi scrivere questo pezzo. Il Commando è stato sulla bocca di troppe persone che non avrebbero dovuto nominarlo. Lo hanno usato, come palliativo per lenire le proprie bufale e le proprie invenzioni post-moderne scritte a caratteri cubitali sui giornali. “Ai tempi del Commando non lo avrebbero fatto”. Eppure “ai tempi del Commando”, come dicono tanti scrivani fiorentini provetti che ne apprezzavano il tifo, i parametri con qui questo veniva fatto erano tutto fuorché pedissequi alla legalità di cui tanto oggi si invoca il rispetto. Quanto ha fatto male questa frase, sia a chi il CUCS l’ha vissuto, che a chi non l’ha neanche mai visto in vita sua?

Quanta incapacità di contestualizzare c’è in queste parole? Non capire che se analizziamo l’Italia degli anni ’70 e ’80 e la poniamo a confronto con quella di oggi facciamo un grande errore di carattere sociale, più che curvaiolo. In trent’anni l’Italia è radicalmente cambiata. Sono due Paesi differenti. E, di conseguenza, due modi diametralmente opposti di vivere lo stadio. E soprattutto di “poterlo” vivere. Noi siamo dei nostalgici. A chi non piacerebbe risalire sull’Espresso di mezzanotte per Torino (partenza dalla stazione Ostiense): senza biglietto, sdraiati per terra, con un paio di panini e senza chiudere occhio tutta la notte? Ovvio che per noi questo lasso di tempo non sia mai passato. Eppure, io, che queste cose minimamente le ho fatte, non posso permettermi di dire: “Era meglio/era peggio, quando c’era il Commando“.

Il mio ricordo è vago. Va a quella prima volta, Roma-Verona del 1997. Il suono dei tamburi appoggiati sulla balaustra dell’Olimpico mi batte ancora nelle orecchie. Ma è troppo poco per dire: “Ho visto il CUCS”. Ovvio che avendo poster e adesivi della Sud a casa, sia cresciuto con il mito di quel gruppo. Ovvio che da piccolo l’abbia venerato. Capendo che però non si può arrestare il tempo. Altre generazioni di tifosi hanno messo piede in Curva Sud, e l’hanno mantenuta una delle curve più rispettate e copiate del Vecchio Continente. Sapete in quanti gruppi, dal resto d’Europa, venivano nella Capitale per vedere come si fa il tifo? Io ne ricordo, a memoria, almeno una decina (ognuno di una diversa nazionalità) visti con i miei occhi. E non erano certo interessati alla squadra di calcio, storicamente relegata nella zona mediana della classifica.

Un filo conduttore ha sempre legato la gente che frequentava i settori popolari dell’Olimpico: l’amore viscerale per la propria squadra e la propria città. Il colore da sventolare sempre e la voce da tirar fuori perché tu sai di essere il dodicesimo uomo, sai che se l’arbitro pecca di personalità e non sa se darti un rigore, il tuo grido, il tuo rumore, può essere decisivo. E questo è valso sempre. Per qualsiasi persona, di qualunque sesso o età, abbia messo piede in Curva Sud. Lo sa bene l’AS Roma di oggi, che con tutte le sue pecche e i suoi difetti di comunicazione con la tifoseria, avrebbe certamente bisogno del sostegno incessante della curva. Lo si percepisce dalle parole colte di sfuggita dai giocatori o dalle immancabili immagini della Sud che campeggiano ovunque, da Trigoria, agli uffici dell’Olimpico, passando per le tessere dell’abbonamento, i biglietti e le foto postate sui social network.

Non dite ai ragazzi che oggi restano fuori, facendo uno sforza abnorme avendo pagato 270 Euro per non vedere la squadra che portano nel cuore, che “prima era meglio”. O che “prima si tifava soltanto la squadra”. E’ come se ai vostri figli ricordaste tutti i giorni la differenza generazionale e gli faceste pesare il non aver potuto vedere dal vivo Marcello Mastroianni. I ragazzi hanno diritto di sognare, anche se i padri non sono d’accordo con i loro desideri e i loro gusti. Ma i padri, in giovinezza, non hanno dovuto fare i conti con il mondo infimo, freddo e calcolatore di oggi. Ognuno rispetti i propri ruoli cercando di aiutare l’altro. Perché la fede che si condivide è la stessa. E nessuno tiri fuori il Commando come parafulmine. Il Commando ha vissuto di luce propria. Come diceva un loro motto “Quando finirà la nostra storia, inizierà la nostra leggenda”. Come dicevano i latini: la pazienza è una vera, segreta, ricchezza.

Simone Meloni.