Quando si dice che l’Inghilterra e gli inglesi sono l’esempio massimo del conservatorismo si dice una verità parziale. Quando si prende a modello il loro calcio per sbattere in faccia l’esempio di come si rispetta la storia di club e tifosi, si tratta l’argomento in maniera assai superficiale. Potremmo prendere il caso di Upton Park. Oltre 100 anni distrutti come nulla fosse, per dare in pasto una squadra fondamentalmente mediocre a uno stadio che va contro ogni criterio britannico e che ha, de facto, ucciso tutto quello per cui il West Ham era celebre nel mondo (forse in maniera sin troppo romanzata). Ma, da ex bimbo innamorato del calcio d’Albione, non posso scordare altri affronti, come quello allo storico Maine Road di Manchester, casa del City. Roccaforte dove Wanchope e Dickov riportarono il club ai massimi livelli. E soprattutto quello a Wembley Stadium. La vera casa del football. Luogo sacro persino per chi di calcio capisce ben poco. Ecco, quando si parla di sacralità intoccabile prendendo l’Inghilterra come spunto, andrebbe ricordato che proprio quel Wembley Stadium, costruito nel 1923, oggi non esiste semplicemente più. O meglio. È stato demolito e riedificato. Il che, se permettete, comporta comunque l’uccisione di tutto quello che spiritualmente ha significato quel posto.

Perdonate l’elucubrazione, ma tanto dovevo ad alcune ciance mondane e senza fondamenta. Anticipo subito chi non lo sapesse e si stesse atrocemente preoccupando per il destino di White Hart Lane, la casa del Tottenham: non è stato demolito. Sta solamente subendo dei lavori di restyling. Pertanto gli Spurs sono temporaneamente esiliati proprio a Wembley, con una scelta che, al contrario di quanto affermato sopra (mi tocca dirlo), trovo comunque intrigante e stimolante. Se non altro per tutti quei tifosi che abitualmente, considerati i circa 36.000 posti dell’impianto di Londra Nord, non hanno la possibilità di assistere dal vivo alla propria squadra.

L’occasione è il match di Champions League contro i tedeschi del Bayer Leverkusen. Una sfida che mette di fronte due squadre ormai habitué nel calcio europeo e dà la possibilità alla tifoseria teutonica di mettersi in mostra per smentire i tanti stereotipi che negli anni le sono stati affibbiati. Come ebbi modo di dire quando li vidi materialmente all’opera, alla BayArena, non sono assolutamente la peggior curva della Germania e stasera confermano quanto di buono fatto vedere negli ultimi anni. Certo, non sono i Grobari e nemmeno quelli della Dynamo Dresda, ma non sfigurano affatto. Parlo per interposta persona, essendo solamente la voce narrante di questa sfida, ma penso di poter dare un giudizio abbastanza fedele alla realtà.

La loro crescita è da addurre a quella parallela del movimento ultras tedesco. Che non sarà paragonabile al nostro, ma che rappresenta di fatto un qualcosa di interessante e indubbiamente duttile in questo periodo storico. E anche a casa della Regina non si smentiscono. Atteso che, come in ogni parte del mondo fatta eccezione per l’Italia, anche qui striscioni, tamburi e megafoni entrano senza problema alcuno, gli ospiti seguono la gara in piedi e nessuno di loro rispetta i posti assegnati (ovviamente da noi arriva il modello inglese degli italiani, ciò quello che piace raccontare ai cervelloni di Osservatorio e compagnia cantante), gli ultras del Leverkusen sostengono per tutto il match la propria squadra, venendo premiati dal gol di Kampl che permette ai rossoneri di sbancare Wembley, tra i fischi di un pubblico di casa che, in pieno stile inglese, si è fatto sentire in maniera sporadica, seguendo il match quasi sempre da seduto.

È curioso che Paesi da noi sempre descritti come proibizionisti e poco elastici permettano di tifare liberamente e all’Italiana, mentre tra le Alpi e il Mediterraneo si cerchi in tutti i modi di estirpare quella che evidentemente è considerata una malattia. A ognuno le sue considerazioni.

Testo di Simone Meloni.
Foto e video di Marco Meloni.