Le strade che hanno concepito musicalmente band del calibro di Joy Division, The Smiths, Stone Roses, Oasis, Happy Mondays. Una delle patrie del calcio più rinomate e storiche. La terra dei celti, dei fiamminghi, della rivoluzione industriale. Il centro mancuniano è l’essenza della controcultura e della creatività giovanile, una piccola Londra che come la capitale, però nella metà dello spazio, racchiude millenni di storia, tradizione, fervore e fermento artistico.

Questo preambolo era necessario per raccontare del viaggio che ha avuto, al suo interno, una grande “parentesi” inerente il calcio. Perché il calcio a Manchester non è un’appendice ma una parte integrante connessa ad essa stessa. Dai pub antistanti la cattedrale alla ribellione del Northern Quarter, passando per i tramonti di Castlefield, Chinatown, i sobborghi, il National Museum of Football e i vecchi negozi di vinili. Manchester non è una una città ma un autentico stile di vita.

Prima di narrare della gara è opportuno spiegare di cosa scriviamo quando si fa riferimento allo United of Manchester. Questo club nasce nel 2005 da alcuni tifosi del Manchester Utd contrari all’acquisizione del club da parte dell’imprenditore statunitense Malcolm Glazer, ed è integralmente controllato dai propri supporter. Milita nella Northern League Premier Division (la settima serie inglese) e disputa le proprie gare casalinghe al Broadhurst Park, nel distretto di Moston, in un piccolo stadio con poco più di 4000 posti a sedere.

Giungiamo nei pressi dell’impianto con abbondante anticipo per poter vivere al meglio il classico prepartita anglofilo e troviamo subito un pub a poche centinaia di metri dall’impianto, verosimilmente gestito dagli stessi tifosi dove, tra consueti fiumi di birra e cori, i supporter dello United attendono l’inizio match.

È impensabile per noi che, in una categoria che dovrebbe essere l’equivalente del nostro campionato di Promozione, siano presenti allo stadio oltre 2.000 spettatori di cui 300 ospiti, dato assolutamente interessante quest’ultimo, anche in considerazione del fatto che South Shields si trova a quasi 250 km da Manchester e che, quasi contemporaneamente, il Manchester Utd giochi all’Old Trafford. Dopo esserci rifocillati, entriamo con i nostri accrediti nella tribuna stampa dello stadio, il quale si presenta dotato di tutti i comfort quali shop ufficiale della squadra e ristorante interno. Non c’è polizia, non ci sono controlli, i tifosi si posizionano nel proprio settore di appartenenza ordinatamente e sistemano le proprie pezze intorno al campo. Come da consuetudine inglese, non c’è un tifo organizzato ovvero un gruppo che coordini il tifo: nella tribuna dove siamo sistemati scorgo un gruppo che, sovente, fa partire cori (tra cui uno molto bello sulle note di “Close to you” di Burt Bacharach) mentre alla mia destra, nella Safe Standing Area, sono presenti i tifosi più rumorosi, di chiaro stampo antirazzista, che sostengono i rossi per tutti i 90 minuti. Anche gli ospiti provano a farsi sentire ma, anche per il nostro posizionamento, difficilmente riusciremo ad udirli nell’arco della gara.

La considerazione più immediata che ci preme fare è aver toccato con mano cosa significhi la vera partecipazione popolare dei tifosi ad un incontro di calcio: uomini, donne, bambini di ogni età ed appartenenza sono presenti al Broadhurst, tracannando ettolitri di birra e ingollando alcolici di ogni genere, sostenendo la propria squadra del cuore a prescindere dal risultato e dalla prestazione in campo, con l’unico fine di trascorrere novanta minuti sereni e divertiti, guardando ventidue giocatori lottare su ogni pallone per un incontro di settima categoria di un campionato semi-professionistico.

Giusto per la cronaca lo United, con il lutto al braccio per la scomparsa di un suo giovane calciatore, domina quasi tutta la gara, perdendo per uno a zero a causa di un contropiede finalizzato dagli ospiti, ad una manciata di giri di lancetta dalla conclusione della contesa. Sistemiamo le nostre cose e ripartiamo col Double-decker bus direzione City. Con la ferma convinzione, corroborata dall’esperienza diretta, del fatto che Manchester, the Greater Manchester, non sia una una città ma un autentico stile di vita.

Gianluca De Cesare
Tiziana Bellanova