Ne parlavo qualche giorno fa in un articolo. Di quanto la stampa italiana si arrogasse spesso diritti che non le spettano, distorcendo l’opinione pubblica ed evitando accuratamente di analizzare con onestà, chiarezza e professionalità anche il più efferato dei crimini.

“Nigeriamo ucciso a calci da un ultrà della Fermana”. Questo è il più gettonato tra i titoli che da ieri stiamo leggendo sui principali quotidiani italiani. Nessuno escluso. E via con storie sulla violenza di curva, vecchi racconti di scontri tra la tifoseria gialloblu e altri supporter, addirittura vecchie foto anni ’90 riesumate su Repubblica, relative a qualche scaramuccia tra fermani e anconetani.

La parola “ultras” usata come chiave di volta per descrivere un caso che, con il passare delle ore, ha assunto il carattere di vero e proprio scandalo popolare più perché il gesto è stato compiuto da una persona che frequenta una curva, che per il fatto in sé. Non ci sorprende aprire alcune testate, questa mattina, credendo di trovarci in un qualsiasi lunedì post-calcistico dove si sono verificati incidenti tra opposte fazioni. La morte di una persona sembra addirittura esser passata in secondo piano. Perché la sete di scandalo, la voglia di click e il desiderio becero di vendere quattro copie in più, in fondo, sono ben più grandi di qualsiasi deontologia.

Non conta se a livello giornalistico il fatto che un omicida sia ultras, destro, sinistro, idraulico, carpentiere o dedito al gioco d’azzardo non ricopra alcun ruolo. Ormai questa parola, per l’italiano medio, è diventata sinonimo di qualsiasi nefandezza riconducibile al genere umano. E non importa neanche a noi, sinceramente, difendere gli ultras in una faccenda dove gli stessi non c’entrano un bel niente e in cui non ci sarebbe nulla da difendere, ma soltanto da fare silenzio di fronte a un episodio triste e avvilente. Semmai cercando di produrre cronaca. Seria, obiettiva e scarna da giullareschi colori aggiunti per apparire belli e pompati, come pavoni in amore. Un episodio che schiaccia il genere umano sotto una montagna di letame, che si erige indisturbata nell’era in cui mettere tutti contro tutti, creare categorie da porre le une contro le altre e disgregare qualsiasi sentimento umano, sia di pietà che di ragione, sembra esser diventato il compito principale da parte dell’intellighenzia mondiale.

Ma i sagaci pennivendoli tricolori ci hanno abituato a questo. Da anni. Così invece di usare termini consoni al caso, preferiscono allargare il tiro, sapendo di andar a puntare su un cavallo sempre buono da mettere in pista, pure durante l’afosa estate italiana in cui c’è ben poco da raccontare. O meglio, di cose ce ne sarebbero a iosa, dalla politica alla società, ma si sa, sempre più facile puntare sullo stereotipo. Perché il tifoso cattivo, razzista e violento è pur sempre un condimento d’eccezione per insaporire una pasta scotta e insulsa. E con quest’ondata di commenti, in pieno stile Barbara D’Urso, ci si può campare per un mese. Un po’ come il formicaio a pochi centimetri di distanza dal quale stramazza al suolo un lombrico o uno scarafaggio. Cibo per un mese, e poco importa come la preda sia morta e se può risultare velenosa da mangiare.

“Delinquente, criminale, assassino”, sono solo tre delle parole che la nostra lingua fornirebbe per descrivere l’autore di un omicidio. Per quanto colposo o doloso sia. E vi assicuriamo che basterebbe per stigmatizzare un gesto che già di suo basta a qualificarne gli autori. Così come nel caso di un uomo che ammazza un altro uomo o di un uomo che aggredisce e offende una donna. Purtroppo tutto ciò rientra nel tipo di società in cui ci siamo persino abituati a vivere. Quella della disgregazione e della lotta tra poveri. Farà comodo a tanti questa morte, ai politici che potranno costruirci le loro campagne sopra ripulendosi la coscienza dagli assegni riscossi sulla pelle dei migranti, così come a quelli che godono nell’ampliare quella falda di odio e intolleranza in grado di regalargli voti e consensi. Sentiremo parlare esimi personaggi, sociologi, ministri, tutti sul carrozzone del buonismo e della legalità. Questo stuolo di fantastici italiani che codeste virtù le hanno perse da tempo immemore, e restano complici, se non fautori, di queste situazioni e di queste tensioni molto più che antropologiche.

O forse rientra semplicemente nella natura dell’uomo, che essendo un animale spesso ne dà piena dimostrazione, spegnendo il cervello e lasciandosi andare agli istinti primordiali. Ma per condannare ciò ci sono le aule di tribunale, il compito che spetterebbe a chiunque impugni una penna sarebbe sottolineare la dinamica del gesto e chiedersi al massimo il perché sia avvenuto. Chiedersi, retoricamente, come spunto di riflessione, non già dare risposte ipocrite sul perché sia avvenuto. Ricostruire fatti e cronaca come non ha fatto in questa circostanza, venendo meno al suo compito primario. Senza sostenere, in maniera sibillina, che questo genere di cose siano il marchio di fabbrica delle curve. Lasciatele stare le curve, che qua si parla di cose serie. Fate i cronisti una volta nella vostra carriera. E rispettate una vita spezzata, una famiglia che porterà il dolore per tutta la sua esistenza.

Riposa in pace Emmanuel.

Simone Meloni.