Ci sono due aspetti fondamentali da analizzare a margine di questa giornata. Il primo – solito, aggiungerei – è quello che riguarda i prodi gestori dell’ordine pubblico e la loro decisione di destinare alla tifoseria dauna soltanto duecento biglietti. Meglio di niente, si potrebbe pensare considerando la sequela di restrizioni e divieti che settimanalmente affligge il nostro calcio. Meglio di niente se si pensa che questa partita mancava alla presenza di ambo le tifoserie da svariati anni. Il fatto è che il “meglio di niente” ha letteralmente disintegrato questo Paese. Perché in base a questo concetto ci siamo apparentemente accontentati (o addirittura vi abbiamo aspirato) del “meno peggio”, quando di fatto – dalla politica, al calcio, passando per il mondo del lavoro – abbiamo quasi sempre avuto in cambio immondizia o situazioni tutt’altro che vantaggiose o almeno accettabili.

Tornando ai nostri eroi, i quali una mattina si svegliano decidendo che solo duecento foggiani potranno occupare il settore ospiti del Degli Ulivi, la domanda è: davvero sarebbe cambiato molto se anche fossero stati il doppio, il triplo o il quadruplo? Posto che l’impianto andriese è uno dei più sicuri della Serie C, siamo di fronte al solito cane che si morde la coda. Manca la voglia, manca forse la capacità ormai (anni di divieti hanno disabituato a gestire pure cinquanta ragazzini in gita a Castel del Monte) e manca sicuramente la serietà per normalizzare il rapporto tra opinione pubblica, forze dell’ordine e tifosi. Una zavorra che ci portiamo dietro da oltre quindici anni e dalla quale ce ne libereremo (almeno in parte) solo quando i diretti interessati prenderanno in mano la situazione. Puntando i piedi e facendosi sentire. Mi riferisco ovviamente alle società e alle istituzioni calcistiche. Il ricorso vinto dal Lecce qualche ora fa per far riaprire il settore ospiti di San Siro ai suoi tifosi (dopo l’ennesima chiusura piovuta sulla testa dei supporter per fatti che nulla hanno a che fare con la gara in oggetto) ne è il fulgido esempio.

Riassumendo, dunque: non è vero che chi s’accontenta gode. Chi s’accontenta vivacchia per un altro po’.

Il secondo aspetto che risalta agli occhi questa sera è quello relativo alla fedeltà. La fedeltà dimostrata ancora una volta da una piazza encomiabile come quella andriese. Una squadra ultima praticamente da inizio campionato, che non realizza gol da diverse giornate e che con la sconfitta di oggi ha praticamente messo una seria ipoteca sulla retrocessione. Una società contestata, che a più riprese ha mostrato segni di debolezza nel mantenere la categoria, non in grado di crescere dopo la scalata dal dilettantismo. Il calcio è impietoso talune volte. E non perdona, né tiene conto della passione e del coinvolgimento dei tifosi. Se non c’è progettualità e se non si sa pianificare è quasi scontato che prima o poi si torni rovinosamente indietro. Eppure, malgrado tutto, i supporter biancazzurri mai come in queste due stagioni hanno trasposto sugli spalti il motivo per cui Andria fu ribattezzata Fidelis da Federico II di Svevia. Numeri sempre importanti e curva piena, anche quando l’aria ha cominciato a essere mortifera.

Ecco, io del derby tra due delle piazze più ricche di tradizione in Puglia, preservo innanzitutto queste immagini, queste sensazioni. E poi – ovviamente – anche tutta la disputa del tifo, che ha avuto il suo palcoscenico sui vecchi seggiolini del Degli Ulivi. Bello vedere di tanto in tanto torce e pirotecnica furtiva, come avvenuto stasera sia tra i padroni di casa che tra le fila rossonere. Ogni artifizio pirotecnico acceso nel nostro Paese vale doppio, considerando la criminalizzazione di cui sono ormai oggetto da anni. E come mi è capitato di dire tempo fa, parlandone, rimango convinto che sia ancora uno dei comportamenti più ribelli che una curva possa tenere. Se non altro perché l’accensione o la sola detenzione degli stessi in ambito stadio sono puniti pesantemente dal codice penale.

L’ingresso degli ultras foggiani nel settore ospiti è preannunciato dallo scoppio di diversi bomboni. Provocazione che accende ovviamente la miccia e viene subito presa al balzo dai padroni di casa. La pezza del Gruppo Erotico – ben in vista sullo striscione della Brigata – suscita nei rossoneri ulteriore livore, tanto che il primo coro è inequivocabilmente “Finché vivrò odierò Andria e Barletta”. Le ostilità sono aperte e le due tifoserie non si tirano certo indietro. I satanelli offrono la solita, ineccepibile, prova di tifo, fatta di numerose manate, cori a rispondere e canti ben ritmati dai tamburi delle due curve dello Zaccheria versione trasferta.

Mentre sul fronte opposto gli andriesi si dannano l’anima nella speranza di spingere in rete una palla che restituirebbe un minimo di speranza. Voce, bandieroni, una sciarpata e tanta compattezza. A guardarli da fuori (e quest’anno è la terza volta) si percepisce appieno la portata del lavoro che negli anni è stato fatto per mantenere su ottimi livelli la Nord. Alla fine il gol arriva, ma è il Foggia a siglarlo. E per i supporter federiciani non resta altro che cantare per orgoglio e spirito di appartenenza. Il triplice fischio è, come detto, quasi una condanna ed è ovviamente seguito da improperi di ogni tipo verso dirigenti e giocatori. Malumore più che comprensibile, mi permetto di dire!

Coda finale del match rappresentata dal “terzo tempo” (quello bello e non il mieloso scambio di abbracci imposto dalla Lega qualche anno fa, ricordate?) tra le due tifoserie che si punzecchiano lasciando ai pochi ancora rimasti all’interno dello stadio il privilegio di gustarsi lo spettacolo. Privilegio che gli steward cercano di annullare invitando le persone ad abbandonare la tribuna coperta. Un atteggiamento, quello degli omini in pettorina gialla, che si manifesta in ogni stadio, spesso e volentieri con fare arrogante e irritante. Ad imperitura conferma di quanto il loro sia uno dei ruoli più inutili e fastidiosi partoriti dal calcio moderno!

È tempo di andarmene e salutare la terra di Puglia. Sarà una delle mie tante soluzioni bizzarre a riportarmi a Roma: pullman fino a Barletta, treno fino a Foggia e da là pullman per la Capitale. Una piccola sosta per procacciarmi del cibo, con la “conquista” di panzerotti, scagliozzi e Peroni. E poi definitivamente sul torpedone, per risalire parte dell’Italia e cominciare a scrivere mentalmente il resoconto di questa giornata. Consapevole di quanto lo scrivere resti in assoluto la mia arte liberatoria preferita, nonché l’unica con cui riesco a mettere in ordine considerazioni e analisi!

Simone Meloni