Prendete questo pezzo, almeno nella sua parte fotografica, come un assegno postdatato. Nel momento in cui scriviamo si è già svolta Gara 3 e la Virtus, espugnando Omegna, ha chiuso la serie mantenendo la categoria. E questa è la notizia più importante.

L’ultimo ruggito del PalaTiziano, gli ultimi cori e le ultime bandiere della stagione si sono alzate al cielo con quello spirito di unità ritrovato, che ha saputo scavalcare quel narcisismo che troppo spesso ha reso Roma più piccola dell’ultimo paesino di provincia. Ora è da qua che si deve ripartire. Prendendo coscienza di quanto visto e di quanto vissuto. Sapendo che l’A2 non è una categoria per prime donne o per cuori fragili. Essendo coscienti che non bastano nomi altisonanti e storie blasonate, da queste parti è sufficiente che una cittadina con poche migliaia di abitanti allestisca una squadra buona e possa contare su una dirigenza sana e lungimirante per fare macerie di ciò che trova davanti. E in fondo questo è proprio il bello del basket, uno sport che sa essere ancora imprevedibile, seppure con tutti i suoi limiti regolamentari, che attualmente restringono in maniera ingiusta il ricambio tra A1 e A2.

Tirare le somme di questa stagione del basket romano sarebbe persino impietoso. Tra sciacalli in attesa sull’uscio, come i boia che con la propria scure contano i passi che il condannato a morte compie verso il patibilo, sufficienza a volte latente, una parte della stampa sin troppo “smemorata” e un pubblico che ha rappresentato davvero l’unico elemento positivo, dal quale ripartire. Ma per ripartire bisogna programmare. E nello sport questo è un qualcosa che bisogna fare già dal termine della stagione. Perchè non c’è mai nulla di improvvisato e la fortuna esiste sempre nei limiti del consentito. Di certo aiuta gli audaci, ma non gli sprovveduti.

Mi si perdoni l’assolo prettamente sportivo. Del resto, se volessi parlare di tifo, mi ritroverei a dire sempre le solite cose. E arrivati al 21 maggio, con un’intera annata di commenti sui battimani, sulle presenza e sulla continuità dei cori, ritengo che questo possa passare anche in secondo piano. Fornire, invece, uno spaccato, se possibile critico, di quanto accade nella propria realtà, è fondamentale per far capire al lettore determinate situazioni. Quello che è sempre stato rimproverato al tifo cestistico della Capitale, oltre al suo esiguo numero, è l’aver avuto una pretenziosa “puzza sotto al naso”. E la cosa, come peraltro ho sempre evidenziato, è in parte più che vera. Durante questa stagione è venuta meno e chi davvero tiene alla causa c’è stato sempre. Ecco, questo è l’aspetto più importante. Anche di qualsiasi valutazione “tecnica” sul tifo.

La “salvezza” prima che sul campo, deve essere nelle menti e nelle gesta di chi ha partorito quest’annata da incubo. Di chi ha parlato a vanvera e ha preso sotto gamba decine di situazioni. Poi ci sono i venduti, quelli che per 10.000 Lire accetterebbero pure di tifare per l’.F.C. Niente. Ecco, di quelli Roma deve cominciare a saper fare a meno, perché non dovrà mai passare l’idea che vendere la propria fede, il proprio sostegno e la propria passione sia un qualcosa di normale. Nell’era in cui tutto è in vendita, prendiamo coscienza del fatto che chi davvero si fa comprare per un piatto di lenticchie, sputando su sentimenti e storia, deve esser messo con le spalle al muro. Perché accettare i tempi moderni, non vuol dire avere il pelo sullo stomaco per tutto e con tutti. Ad maiora!

Simone Meloni