Difficile raccontare partite come questa. 40 minuti di gioco a cronometro che valgono un’intera stagione, perché, alla fine, o sei dentro o sei fuori. Da gara 7 non si scappa: non ci saranno prove di appello, né per l’una né per l’altra squadra. Tutto ciò si colloca nell’ambito di una finale di basket inedita: Sassari ha già iniziato, da qualche anno, la sua scalata, affermandosi in serie A1, vincendo la Coppa Italia per due volte di fila e alzando la Supercoppa; Reggio Emilia resta una piazza storica della nostra palla a spicchi, ma si affaccia in maniera inedita su cime così alte.

Entrambe le squadre arrivano da incredibili exploit in semifinale, eliminando le due favorite del torneo, ovvero Milano e Venezia. E anche le prime 6 gare della finale hanno regalato delle emozioni incredibili. Sempre rispettato il fattore campo, ma Sassari, per due volte, in casa è arrivata a vincere solo ai supplementari. Gara 6 in particolare, coi suoi extra-time, è stata una lezione di basket, oltre che un’apologia all’indiscussa bellezza e adrenalina di questo sport. Con uno spot del genere, è venuto più che spontaneo il mio desiderio di assistere all’epilogo di uno scontro epico.

In mezzo a tutto ciò le due tifoserie. Per una volta, e non me ne voglia nessuno, la scelta della mia “partitella” è stata legata più a ragioni sportive e “atmosferiche” in generale. Ciò non toglie motivi di indiscutibile interesse anche per l’amante dei gradoni. Dalla parte dei padroni di casa, da circa un anno a questa parte, sono gli Arsan (letteralmente “Reggiani”) a guidare il tifo granata dopo il rocambolesco scioglimento del Collettivo. Su sponda Sassarese è il Commando a coordinare l’animazione del numeroso pubblico della Dinamo. Entrambi i gruppi si collocano nell’ambito di due tifoserie molto numerose e appassionate, al di là del mero discorso ultras: a Sassari è impossibile non notare, in ogni partita casalinga, il palazzetto pieno; Reggio Emilia già la ricordo per l’incredibile invasione alle Final Eight di basket due stagioni fa.

Ottime le premesse per assistere all’ultimissimo atto della stagione 2014/15. L’Estate è arrivata a tutti gli effetti, creando la situazione psicologica ideale per partire. L’appuntamento con Simone è alle 17:30, poi procrastinato di mezzora tra file sull’A1, a causa di gente ammassata sulla strada per godersi il fine settimana, e la mia avventurosa ricerca della stazione di servizio per la macchina a metano.

Immancabile ad appuntamenti del genere, Simone mi viene incontro a metà della breve strada tra la stazione FS e il vecchio stadio Mirabello. Per due malati come noi è un must rifare un giro intorno al vetusto impianto dove, circa 20 anni fa, assistetti ad un Brescello-Monza dei Play-Off per la Serie B. Altri tempi, e la testimonianza del cambiamento è data dalla demolizione di tutti gli spalti al di fuori della tribuna coperta. Un vero colpo al cuore per chi è appassionato di calcio alla vecchia maniera. Quello che oggi chiamano Mapei Stadium, nonostante l’indiscutibile pregio dell’impianto, non ha un fascino neanche minimamente paragonabile al Mirabello.

Dopo un allegro giro in centro condito da qualche birra veramente refrigerante, è il momento di dirigerci al palazzetto. Riprendere l’auto è un pro-forma, visto che ci muoviamo solo di poche centinaia di metri prima di individuare il flusso di pedoni diretti al PalaBigi. Una volta parcheggiato, di fatto, si rientra in centro. La mia sorpresa è totale nel vedere come l’impianto sia non solo centralissimo, ma incredibilmente inserito tra i palazzi: un vero catino in uno spazio chiuso e popolare.

L’elasticità di chi non si fa prendere troppo dalla tensione del momento, ci permette di entrare in fretta nonostante qualche problema sul fronte accrediti. Una volta fatto l’ingresso constatiamo, confermando quanto visto fuori, l’incredibile afflusso del popolo reggiano. Un po’ tutti hanno la maglietta bianca con un cuore granata, mentre all’entrata viene distribuito un cartoncino con su stampato l’idolo del momento, il top scorer Della Valle.

Sin dal nostro primo minuto dentro al PalaBigi, le curve sono già posizionate. Nella curva reggiana si nota la presenza degli amici trevigiani e pavesi, mentre anche lo spicchio ospiti, calcolato in un centinaio abbondante di tifosi sardi, è pieno ben oltre l’orlo.

Scattare alle tribune in questi spazi stretti è arduo. L’obiettivo corto un obbligo. Le foto nel prepartita una dose extra di ossigeno e un salvacondotto per situazioni di emergenza durante la partita.

La palla a due è fissata alle 21.15 per esigenze televisive. Ciò nuocerà al nostro Simone che, causa treno di ritorno per Roma, non potrà assistere alla premiazione finale. Ma davanti ci sono ancora 40’ di gioco tutti da godere.

Forse sarò poco professionale, ma la partita mi ipnotizza da subito. Nonostante i miei frequenti scatti, gli occhi sono tutti per il parquet. D’altronde non si sono consumate coreografie particolari, e molte foto a settore pieno già sono state ben eseguite. Lo stato di catalessi non è dovuto solo alle incredibili dinamiche della partita, ma a fischi, incitamenti e applausi dai decibel strabordanti. Il tifo delle due curve, in un caos simile, difficilmente riesce a decollare. Intendiamoci: i due gruppi, Arsan e Commando, eccome se tifano; ma quando migliaia di spettatori fanno più rumore possibile, persino un centinaio di persone a tifare diventano incredibilmente irrisorie. Il pubblico non partecipa spesso ai cori della curva, poiché troppo impegnato a dire la propria. Uno spettatore reggiano in tribuna verrà allontanato dagli arbitri dopo aver battibeccato con un giocatore ospite (Sosa) prima, e avergli messo una mano in faccia poi, facendogli persino rimediare un pesantissimo fallo tecnico (il tifoso, invece, si prenderà un Daspo). Insomma, nonostante il canovaccio incredibilmente inconsueto per un amante del movimento ultras, impossibile non essere coinvolti dalla carica mentale delle tifoserie. La stessa amicizia che lega i principali gruppi delle due curve, è stata già messa, nelle gare precedenti, a dura prova da quegli stessi tifosi che poi magari puntano il dito contro gli ultras alla prima bega da quattro soldi.

Il match ha un andamento fuori dal normale sin dal primo minuto. Nel primo quarto Sassari è sotto shock: la bolgia del PalaBigi sembra frenare i forti giocatori ospiti, e la palla di entrare nel cerchio di ferro non vuole proprio saperne; di contro, a Reggio va a canestro anche l’impossibile. In un ambiente esaltato e indiavolato, i primi 10’ se ne vanno con un devastante 21-4 per i granata. Servono i due minuti di pausa per dare la scossa a Dyson e compagni. Col passare dei minuti Sassari rientra, andando negli spogliatoi su un notevole, ma non disastroso, 32-24. I tifosi sardi possono rifiatare.

Dopo la pausa si va verso la fine di questa lunghissima stagione di basket. Nel terzo quarto Sassari sembra poter rientrare andando anche a -3, fino al clamoroso fallo tecnico di cui ho già scritto in precedenza: unito a un fallo personale, esso provoca 4 tiri liberi per Reggio, tutti a segno, più un’altra realizzazione dopo la conseguente rimessa a favore da centrocampo. Dopo un episodio del genere e il 55-45 con cui si chiude il terzo quarto, tutto sembra essere nelle mani dei granata. La Reggiana vede davanti a sé uno storico titolo. Ma attenzione, quante volte Sassari è stata data per morta, spacciata anche per le statistiche, e poi ha compiuto un miracolo? E anche stavolta la Dinamo compie un misto tra atto di forza ed energia mistica in grado di resuscitare un intero cimitero dimenticato dai tempi del Sacro Romano Impero. La rimonta di Sassari nell’ultimo quarto è da antologia vera dello sport, e si completa col primo vantaggio per 67-69 a 3’ dalla fine. È tutto aperto, ma la fotografia degli spalti testimonia il crescendo in fiducia degli ospiti e la paura vera di chi sta gettando alle ortiche un traguardo forse irripetibile. Si va avanti con una tensione che si taglia a fette.

A 30 secondi dalla fine le squadre sono ancora pari. Sassari ha possesso palla e Dyson, uomo già fondamentale in gara 6 con la clamorosa schiacciata decisiva a 2” dalla fine, subisce un fallo con conseguente doppio tiro dalla lunetta. La palla è pesantissima, ma non sbaglia la sua traiettoria. Sassari, a 10” dalla fine è avanti di due, ma Reggio, possesso a favore, può ancora pareggiare o, con una bomba da tre, portarsi a casa il titolo. Ma Diener non trova l’ultimo canestro e Sassari festeggia il suo primo titolo tricolore. I giocatori corrono immediatamente sotto allo spicchio incredulo dei tifosi sardi. La notte si tinge di biancoblu tra balli, canti e magliette tenute scaramanticamente al buio ma ora pronte a diventare abito di gala. La Dinamo fa la storia della Sardegna (secondo titolo di campione nazionale in tutti gli sport di squadra dopo il Cagliari di Gigi Riva) e chi c’è non potrà mai scordarsi questa serata indelebile.

Dall’altra parte c’è tanta delusione: Reggio Emilia ha dato prova di essere una vera squadra, purtroppo mancata negli attimi di maggior tensione agonistica. Il roster riceve gli applausi a scena aperta da parte del proprio pubblico che, comunque sia, ha vissuto un sogno.

Poi tante cose, consuete ma sempre nuove: la premiazione degli sconfitti, lacrime tristi ma soddisfatti applausi; i vincitori che prendono le loro medaglie, alzano l’ambito trofeo, fanno le foto di rito e tornano dai propri tifosi. È sempre la stessa storia: cambiano gli attori, le scene si ripetono. Ma le emozioni dell’attimo che se ne va sono uniche e indimenticabili. E portano con sé l’odore di vittorie a volte clamorose e sconfitte anche cocenti. La stagione sportiva è davvero finita, già pronta per far spazio a nuove storie e a riti consolidati.

Stefano Severi.