Non c’è tempo per macerare nella malinconia per la stagione appena conclusa, farsi prendere da crisi da astinenza calcistica, che il 2014/15 bussa già alle nostre porte con i preliminari di Champions ed Europa League.

Vivendo ai piedi della Repubblica di San Marino, le cui squadre scendono in campo già da queste primissimi turni, guardo sempre con un certo interesse alle sfide designate dalle urne di Nyon.

Spesso e volentieri i sorteggi mi hanno riservato soddisfazioni o quantomeno la possibilità di appagare la curiosità nel vedere tifoserie difficilmente incrociabili durante l’anno.

Dopo aver clamorosamente snobbato il Rad Belgrado qualche anno fa, credendo che il 4-0 dell’andata fosse il deterrente assoluto ad una loro presenza ultras degna di nota, metto in agenda qualsiasi squadra abbia una tifoseria anche solo lontanamente degna di tale nome.

Le gare sono vagliate in due con il buon Simone, cogliendo il pretesto per una rimpatriata fra amici. Saltata a piedi pari la sortita in terra sammarinese degli estoni del Levadia Tallin per la competizione maggiore, le nostre attenzioni vertono sulla gara fra Folgore Falciano e i montenegrini del Buducnost Podgorica per l’Europa League.

Poteri della tecnologia moderna, più che scoprire i già più o meno noti “Varvari 1987” al seguito degli ospiti, Simone riesce a prendere contatto con qualcuno dei loro ed apprendere che verranno in Italia nel testuale ed imprecisato numero di “cento o duecento”. Larga come forbice. Ci diciamo che, al netto della sparata auto-celebrativa, se anche solo venissero in un centinaio avremmo comunque di che vedere e divertirci.

Così ci ritroviamo il giorno della partita, Simone arriva da Roma dritto da me al lavoro, per cui almeno vi risparmiate tutti i suoi bollettini stradali che farebbero impallidire persino il “CCISS Viaggiare informati”. Doppia piada, doppia birra, dissertazioni sulle Milf locali e poi via a varcare il cavalcavia che ci dà il “Benvenuti nell’antica terra della libertà”.

L’aria fuori dallo stadio è davvero rilassatissima rispetto a precedenti gare internazionali. In questa occasione l’ufficio stampa della Federazione non ci ha spedito alcun pass parcheggio, ma gli inservienti ai varchi acconsentono ugualmente a farci passare, fidandosi sulla parola: al di qua del confine sarebbe eresia pura, degna del rogo.

Dopo poco ci convinciamo che fuori non ci sarà niente da vedere, per cui guadagniamo l’ingresso. Nel frattempo da Radio Podgorica avevamo appreso che le previsioni iniziali andavano aggiornate al ribasso e che solo due pullman sarebbero partiti alla volta di San Marino. Poi, di ribasso in ribasso, motivata con un pullman fermatosi per strada, le stime scendono ulteriormente come le nostre certezze sul seguito ospite.

Nel proprio settore, sistemate pezze e striscioni, troveranno posto a stento una cinquantina di montenegrini. Come avrebbe detto il gufo di Caressa del Brasile sotto di 2-0 contro la Germania, ne abbiamo viste di tifoserie giunte in trasferta in meno di 50 capaci di ribaltare uno stadio, per cui anche noi continuiamo a sperare. L’esito finale non sarà ugualmente e drammaticamente ridicolo come per i verdeoro, ma non possiamo nascondere una certa comune delusione confrontando i nostri pareri sul tifo dei biancazzurri.

I presenti cominciano non malissimo, cercando quantomeno di tenere serrati i ranghi: un paio di manate sono ben fatte e coordinate, la loro collocazione nella gradinata coperta li aiuta poi a dare maggiore risonanza ai cori, grazie alla tettoia sotto cui si trovano, questo fino a quando una decina di loro non decide di spostarsi nella parte alta, facendo perdere compattezza al gruppo e vigore al tifo.

Sotto il punto di vista della continuità, quantomeno, cercano di non lesinare sforzi e cantano più o meno sempre per tutto l’arco della partita. Non si scompongono troppo per i goal segnati, forse consci di avere poco da esultare di fronte ad una formazione modesta di un campionato che è a livelli tecnici poco più che amatoriali, condizione dalla quale una nazione così geograficamente piccola difficilmente potrà mai smarcarsi.

La rete dello 0-2 ha almeno il pregio, dal nostro punto di vista, di regalarci una torcia che si accende e restituisce un minimo di fascino all’atmosfera fin qui non entusiasmante. Il repertorio dei cori, condizionato anche dalla cadenza est-europea molto aspra, risulta alla lunga noioso e sfiancante.

Vocalmente il momento migliore è verso la fine della partita, quando un paio di pezze vengono staccate dalla parte alta del settore e tenute a mano, frangente in cui il gruppo ritrova un minimo di compattezza e verve, assieme ad una certa goliardia di un gruppetto che si dà al trenino su e giù per il settore.

Voglio essere magnanimo, giusto per la distanza percorsa e dar loro un 6 politico: quasi 700 km non sono pochissimi, ma nemmeno così tanti e non a caso io e Simone ci perdiamo in questa valutazione, ricordando le diverse sfide italiane Nord-Sud dai caratteri epici, snodatesi su distanze simili se non addirittura superiori.

In campo, nel frattempo, il (la?) Folgore Falciano accorcia le distanze, creando un minimo di entusiasmo tra il suo pubblico in tribuna. Si alza persino un “Folgore, Folgore” dalla sonorità talmente strana che ci sovviene il dubbio se la pronuncia esatta sia Fòlgore o Folgòre.

Oltre l’exploit del goal non si poteva chiedere altro ai Sammarinesi, che arrivano al triplice fischio finale sull’1-2 che non lascia troppi sogni accesi per il ritorno. Come ogni fine gara che si rispetti, le squadre si portano sotto i rispettivi settori ad applaudire i tifosi per la loro presenza. Al pari di altre gare internazionali già viste qui allo stadio “Olimpico” di Serravalle, si ripete un piccolo rito bello in quanto spontaneo e non imposto per editto bulgaro come il nostrano “terzo tempo”: i calciatori della squadra di casa, dopo l’abbraccio fra tifosi e squadra del Buducnost, si portano anche loro sotto il settore ospiti e tributano un sincero applauso ai tifosi venuti fin qui da Podgorica, che ricambiano altrettanto sinceramente e calorosamente levando il coro “San Marino, San Marino”. Per quanto siano aspetti non canonici al nostro modo di vedere e vivere lo stadio, possono risultare persino simpatici nel proprio contesto: importarli altrove, magari perorati da gente più sporca del fiume Gange, con una ipocrisia pari solo alla loro faccia di bronzo hanno la stessa pertinenza del Twerking in Chiesa.

Riprendiamo tutta la nostra attrezzatura e ripieghiamo verso Rimini, dove ci attende il buon Giangiu davanti a qualche buona bottiglia di birra (per noi ignoranti e autoctoni che alle “pinte” non ci siamo mai adattati), pronto a sottoporci all’ennesima Lectio magistralis sulle “Brigate Gialloblu Modena” e sul tifo italiano anni ’80 fino a quando non l’avremo imparata a memoria o ci si saranno chiusi gli occhi per il sonno.

Matteo Falcone.