La prima volta non si dimentica mai, e come prima uscita da collaboratore di questa rivista ho cerchiato sul calendario della Lega Pro girone C una partita che difficilmente avrei dimenticato: il derby pugliese tra il Foggia e il Lecce, due piazze che di certo non hanno bisogno di presentazioni. Sui precedenti bisogna precisare che le due tifoserie non si incontrano ormai da 17 anni, precisamente da quel Foggia-Lecce 0-0 del campionato di serie B 1996-97, stagione che vide i salentini ottenere la promozione nella massima serie.
In questi 17 anni a patire di più le pene dell’inferno è stato indubbiamente il Foggia che, pur giocando spesso in Serie C, ha anche respirato la polvere dei campionati dilettantistici. La storia recente del Lecce è più conosciuta ai più, e sinceramente vedere questa squadra combattere anno dopo anno in questa categoria dispiace, ed è un esempio di come l’immediata risalita in paradiso non è mai così scontata; e oggi, immaginando simpaticamente i salentini come Dante tra i gironi dell’inferno, questi dovranno fare i conti proprio con i satanelli, che al “Pino Zaccheria” non hanno mai steso tappeti rossi per gli ospiti.
Insomma, un derby ricco di storia e tradizione da ambo le parti, un derby che significa punti d’oro per la classifica che vede entrambe le squadre nei piani alti e che alimenta giorno dopo giorno la frenesia delle due piazze nel tanto sperato ritorno in Serie B.
La partita è stata fissata alle 20:45 per permettere la diretta sulla Rai e, per quanto è sempre affascinante il “serale”, mi dà sempre non poco fastidio muovermi in base agli orari dettati da una televisione. Un tempo le Tv accorrevano li dove c’era il pallone, adesso è il calcio a rincorrere le televisioni, e tutto ciò non può che disturbarmi. Parto da Campobasso che ormai è già buio, Foggia non dista molto e in poco più di un’ora sono già nei pressi del “Pino Zaccheria”. Ma, anche partendo con tre ore di anticipo, mi rendo conto che potrei arrivare addirittura in ritardo. La città è praticamente assediata da un dispiegamento di forze dell’ordine che risulterà eccessivo, e che di fatto blocca tutto il perimetro dello stadio. Trovare parcheggio sarà un’impresa; ma la fortuna del principiante, che non mi ha abbandonato per tutta la serata, è dalla mia parte e trovo, tra i palazzi che circondano lo stadio, un posto perfetto per abbandonare l’auto e correre verso il varco 1.
Avverto fin da subito l’entusiasmo che avvolge la città, condividendo la strada insieme a centinaia di tifosi rossoneri che già cantano e sventolano bandiere incamminandosi verso il proprio settore. Arrivato al cancello della tribuna non ci metto molto a sbrigare le pratiche di rito ed accaparrarmi pettorina e pass che mi permetteranno di seguire la gara a bordo campo.
L’attesa è tanta e tangibile sugli spalti, dove già sono esposte tutte le pezze della Curva Sud, dove una volta era presente il mai dimenticato “Regime Rossonero”. Oggi spiccano gli striscioni “Indomabili”, “Fedelissimi”, “Borgo e Croci” e uno più piccolo a margine, “Facce Strane”, mentre dal lato opposto, nella Curva Nord “Franco Mancini”, si possono già visualizzare le tante pezze che riempiono l’intero settore, tutte facenti riferimento agli “Ultras 1980”, con molte di queste dedicate ai diffidati e contro la repressione (“Assenti Presenti”, “Ultras Liberi”). Sempre nello stesso settore, appositamente diviso per ospitare le tifoserie avversarie, fanno ingresso i salentini, che in tutto risulteranno circa 200; senza alcun tipo di organizzazione allestiscono il settore con lunghe bandiere di raso giallorosse adagiate a mo’ di striscioni, un’unica pezza, “Cu’ Lu Limone”, e un piccolo lenzuolo bianco con la scritta “Fasano c’è”. Preciso subito che gli ultras del Lecce non sono tesserati e l’assenza del tifo organizzato da parte ospite si avvertirà per tutta la partita.
Al di là di qualche fischio ad accompagnare l’ingresso degli ospiti, sia sui gradoni che sul campo, la tifoseria del Foggia non riserverà nessun coro ai cugini leccesi; per tutta la partita vi sarà una sana indifferenza.
I derby spesso sono teatro di antiche rivalità cittadine, ma non in questo caso, dove tra le due tifoserie pare esserci stato in passato un reciproco rispetto, vuoi per la rivalità con i cugini baresi che accomuna entrambi gli ambienti; ma si racconta anche del sostegno dato ai salentini da parte di molti corregionali rossoneri in occasione dello spareggio di San Benedetto del Tronto, stagione 1987-88, quando Lecce e Cesena si giocarono la promozione dalla cadetteria alla seria A, partita che sancì il salto di categoria a favore dei romagnoli.
Poco prima dell’ingresso in campo, i tifosi del Lecce si prenderanno il loro momento di gloria con un paio di cori a rispondere, incitanti la risalita in Serie A, conditi da una bella sciarpata che coinvolge tutto il settore colorandolo di giallorosso. Dopo di che, non si avvertiranno più per tutta la gara, rimanendo in prevalenza in silenzio ad assistere all’incontro.
Entrano finalmente i giocatori in campo e sugli spalti parte un vero e proprio spettacolo di colori. La Curva Sud, piena per l’occasione, mostra tutta la sua bellezza con una coreografia che vede sollevare centinaia di cartoncini divisi per colori: rosso, bianco e nero con il simbolo del diavolo fatto ondeggiare al centro, con un paio di fumogeni che danno calore all’intero settore. Sempre nella Sud viene calato uno striscione che racchiude in poche parole tutta la voglia di riscatto dei satanelli: “ridateci la nostra storia…simbolo della nostra gloria”. Parlavo prima della fortuna del principiante che non mi ha abbandonato e, infatti, per pochi secondi ho fatto in tempo ad assistere anche alla coreografia organizzata dalla Nord “Franco Mancini”, che, con un massiccio e coordinato lancio di rotoli di carta e l’immediato sventolio di piccole bandiere rosso nere, ha colorato l’intero settore, dando il via alla loro prestazione canora che sarà imponente per tutta la gara.
Capisco sin da subito che sarà un peccato non poter sentire entrambe le curve contemporaneamente, perché, dopo aver vagheggiato a bordo campo per una decina di minuti, vengo richiamato all’ordine dagli steward che mi indicano la mia reale posizione, cioè dietro l’una o l’altra porta. Ed ecco che un dubbio amletico mi sorge immediato, mi sistemo davanti alla Nord o alla Sud? Questo in sintesi significherà ascoltare una curva ma avere di fronte l’altra. Affido la mia scelta al caso e arrivo nei pressi della Nord, che intanto sostiene incessantemente la squadra a ritmo di tamburi, battimani e cori davvero ben riusciti; si notano i tanti bandieroni sempre al cielo che vedrò sventolare costantemente per tutta la gara. Il tifo da entrambe le curve è incessante, ma mentre nella più ampia Curva Sud gli ultras suderanno sette camicie per far cantare anche i margini del settore, nella Nord, più raccolta, sembra non esserci una sola persona in silenzio; l’impressione è che chi sceglie di far parte di quel settore già ha deciso di cantare per tutti i 90 minuti.
Per tutto il primo tempo il tifo rimane su alti livelli, anche se la partita offre davvero pochissime emozioni e i boati si regalano ai soli calci d’angolo o a qualche punizione da buona posizione.
Il secondo tempo comincia in sordina sugli spalti, con entrambe le curve che impiegano un po’ di tempo per ricompattarsi, e più le lancette scorrono sul cronometro, più avverto abbassarsi il volume delle curve. Seguo la seconda parte della gara sotto la Sud e noto che il tifo, gestito con microfono e altoparlante, oltre che con gli immancabili tamburi, è contenuto alla sola parte centrale della curva, mentre ai lati si soffre in silenzio per un pareggio senza reti che sembra ormai giungere inesorabile. Ma questa è la serata dei satanelli e gli ultras in questi casi fanno eccome la differenza: quando mancano pochi minuti alla fine, fino all’ultimo filo di voce, continuano a sostenere e chiedere il gol alla squadra. Un calcio di punizione da un’ottima posizione avvolge tutto lo stadio di ansia e speranza: sono gli ultimi momenti di una partita senza troppe emozioni e a quel calcio da fermo lo stadio affida tutti i sogni di vittoria. E, come in tutte le imprese, succede qualcosa che ha del misto fra bellezza e miracolo: la palla sorvola la barriera e si insacca sotto al sette alla destra del portiere. Un boato di liberazione e di stupore collettivo coinvolge tutti; un boato prolungato anche per i minuti successivi all’esultanza dei giocatori, e nemmeno il tempo di riprendere fiato che il Foggia è di nuovo avanti: palla al piede e, di nuovo in area di rigore, superato l’ultimo difensore, il Foggia raddoppia e sugli spalti esplode di nuovo la festa. Tutto in soli 4 minuti, che rimarranno nella storia di questo campionato, negli annali del derby ma soprattutto nel cuore di una piazza che ora sogna in grande e che canta insieme ai propri giocatori per oltre mezz’ora dopo il fischio finale.
Lascio l’impianto di gioco solo dopo aver assistito all’abbraccio dei giocatori prima con la Curva Sud, poi sotto la Nord, e in strada la gente già parla di classifica, e fa ritorno a casa in maniera ordinata e festosa. Torno a casa che ormai è notte, ma la stanchezza è appagata dalla gioia di aver assistito ad una partita che sul campo ha dato emozioni solo sul finale, ma sugli spalti ha dato spettacolo dall’inizio alla fine.
Andrea Vertolo