C’è stato un momento – tanti anni fa – in cui assieme agli allora amici partitellari programmavamo gitarelle e puntatine negli stadi della Serie A italiana. L’ondata repressiva, l’iper imborghesimento e la trasformazione in pubblico da salotto dei tifosi della massima categoria ancora non avevano avuto luogo e installare le proprie terga di fronte a un Napoli-Atalanta o a un Lazio-Fiorentina aveva il suo perché e sapeva trasmetterti sempre un qualcosa da immagazzinare nella propria mente.

Ciò che è diventata la nostra Serie A a distanza di anni lo sappiamo un po’ tutti. Di pari passo con il declino del nostro calcio (e del nostro tifo) ha imposta la propria elefantiaca grandezza con spettacoli smorti e troppo spesso privi di anima.

Non sono così ingenuo da credere che i politici di turno, quelli firmatari del celebre Protocollo d’Intesa stipulato questa estate, amino il suono del tamburo o abbiano sposato per credo ideologico la battaglia di chi in questi anni si è opposto alla tessera del tifoso (e in particolar modo all’articolo 9). Di certo sono stati più furbi e – in piena volata elettorale – hanno carpito uno dei punti sul quale battere per accalappiarsi eventuali consensi. Però l’hanno fatto, e questo è il dato concreto. Certo, gli anni prossimi ci diranno se il conferire maggiori responsabilità alle società e altri aspetti di questo documento si riveleranno una trappola. Per il momento però, perdonatemi la grossolanità con cui lo ammetto, godiamoci quelle poche cose buone che ci hanno lasciato.

Fiorentina-Atalanta è una di quelle partite storiche per il nostro panorama ultras. Rivengono alla mente vecchie battaglie e tortuosi aneddoti letti sui vari libri (peraltro di ottima fattura) che queste realtà hanno dato alla luce nella loro esistenza. Per me Fiorentina-Atalanta coincide anzitutto con uno dei primi ricordi nitidi che ho del calcio. Stagione 1995/1996, le due compagini si affrontano in finale di Coppa Italia. Ho scoperto da poco questo mondo e in quelle serate (andata e ritorno) mi diletterò a seguire questo evento di fronte alla piccola televisione della cucina, assieme a mio padre.

Quelle due sfide saranno segnate da tutto ciò che da anni ha contraddistinti il mondo del tifo italiano: maxi torciata in tutto lo stadio nella gara disputata al Franchi, tifo infernale da ambo le parti, grandi nomi in campo e pesanti incidenti nel match di ritorno giocato ai piedi delle Alpi Orobiche.

È chiaro che di quel piccolo mondo antico sia rimasto ben poco. Così come della società che lo circondava. Tuttavia la notizia che i tifosi bergamaschi potranno tornare a Firenze senza tessera del tifoso è di quelle che fanno rumore. E meritano attenzione. Per questo mi metto in viaggio da Roma senza alcun dubbio. Quasi stordito dal ritornare a mettere al centro della mia domenica partitellara una partita di Serie A. Un posticipo, tanto per non farmi mancare niente e complicare i miei piani di rientro nella Capitale.

Il viaggio scorre tranquillo e come sempre l’ottima fermata di Campo Marte mi dà l’opportunità di scendere dal treno ed essere praticamente davanti allo stadio Franchi.

Non è un grande periodo per la Fiorentina. Il pubblico viola – o almeno la maggior parte di esso – contesta apertamente la presidente dei Delle Valle e negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di cessione. Malgrado ciò, e malgrado una squadra tutt’altro che spumeggiante, l’impianto di Viale dei Fanti fa registrare sempre ottimi numeri. E questa sera non sarà da meno.

Già un’ora e mezza prima della partita c’è davvero un gran brulicare di gente attorno al suo perimetro. Qualcuno, forse rivangando nel passato, si aspetterebbe qualche torpedone nerazzurro spuntare all’improvviso, ma di questi tempi fare simili numeri equivale a un suicidio di massa. Oltre a essere praticamente impossibile considerato l’ingente schieramento di forze dell’ordine.

A una mezz’ora dal fischio d’inizio faccio il mio ingresso nella pancia dello stadio ideato dall’architetto Nervi. Inutile ribadire la mia avversione per le orrende cancellate che ormai da anni divorano selvaggiamente la bellezza e la particolarità di alcuni nostri stadi.

La prima occhiata è logicamente al settore ospiti e – devo essere sincero – nell’osservare i circa 300 atalantini presenti rimango un pochino perplesso. Sia chiaro, hanno delle attenuanti: la gara è stata ufficialmente aperta ai non tesserati solo giovedì sera, con la vendita disponibile venerdì e sabato fino alle 19 (vendita peraltro interrotta numerose volte). L’orario serale, con il rientro a Bergamo in nottata, non è certo il massimo e, infine, è ovvio che con la storica trasferta di Lione alle porte in molti hanno dovuto effettuare una scelta (più che altro per ragioni economiche direi) con la stragrande maggioranza di supporter “normali” che per ovvie ragioni ha optato per la trasferta in terra francese.

Ciò detto però aggiungo: numericamente si poteva senz’altro fare qualcosa di più. Ma poco male, durante la serata gli orobici colmeranno questa lacuna con la qualità.

La Fiesole fa sfoggio dei suoi bandieroni e poco prima dell’inizio il cuore del tifo toscano si compatta scambiandosi i primi “attestati di stima” con gli avversari. All’ingresso delle due squadre solita sciarpata dei gigliati mentre gli atalantini (a cui non sono state fatte entrare le aste dei bandieroni) si producono in una coreografia tanto semplice quanto retrò: bandierone usato a mo di copricurva e torciata che rimanda la mente ai bei tempi che furono. La battaglia tra il Giglio e la Dea è cominciata.

Dopo una manciata di minuti Chiesa porta subito in avanti i padroni di casa, aiutando la curva a far sentire ancor più la propria voce. Mi voglio inizialmente soffermare proprio sui viola ed essere il più onesto possibile. Negli ultimi anni sono venuto spesso al Franchi e quasi sempre ho evidenziato come, malgrado un buon blocco centrale, la Fiesole facesse davvero fatica a primeggiare a causa della scarsa collaborazione da parte del pubblico restante. Ecco, questo è un appunto che stavolta non mi sento di fare. Anzi, posso tranquillamente dire che degli ultimi incontro da me visti questo è sicuramente quello in cui gli ultras fiorentini si sono espressi in miglior modo.

Credo che la massiccia presenza dei tamburi (che bello risentirne il suono in tre settori su cinque di uno stadio di massima divisione) abbia davvero giovato ai toscani. Oltre a una maggiore coordinazione tra tutti i gruppi, sono in tanti a seguirne il suono e protrarre così diversi cori. Tante belle manate, qualche bel coro a rispondere e molti canti, come detto, tenuti a lungo. Molto bella l’esultanza al gol del vantaggio. Paradossalmente questa buona prestazione (parla di quello che ho potuto vedere io chiaramente) non arriva neanche con la migliore Fiorentina degli ultimi anni. Sintomo di come davvero basti un minimo di libertà di tifo per far germogliare nuovamente quel fiore che per intere stagioni ci ha resi la Regina d’Europa in fatto di tifo organizzato.

Venendo al settore ospiti inizialmente sottolineavo come con la qualità i nerazzurri fossero riusciti a sopperire la scarsa quantità. Un tifo che praticamente non si è fermato per tutta la partita, anch’esso aiutato dalla presenza di un tamburo e colorato dall’accensione di tantissime torce. Strumenti per troppo tempo demonizzati, che in realtà non solo non hanno mai ucciso nessuno ma hanno sempre reso lo spettacolo calcistico quel qualcosa di unico e particolare rispetto a tanti altri sport.

Il pareggio di Freuler al 94′ fa ovviamente esplodere il settore ospiti. Un’esultanza a dir poco scomposta che si avvale ancora del massiccio utilizzo della pirotecnica.

Così al triplice fischio è l’Atalanta a raccogliere i soddisfatti applausi dei propri tifosi, mentre per i viola ci sono fischi, uniti ai cospicui insulti nei confronti di una terna arbitrale rea (secondo il pubblico di casa) di aver sfavorito la Fiorentina.

Spenti gli ultimi focolai ed effettuate le ultime foto posso riporre l’attrezzatura e dirigermi verso Piazzale Montelungo, in attesa del più classico dei Flixbus che mi ricondurrà a notte fonda all’interno delle Mura Aureliane. Stanco morto ma soddisfatto per aver rivisto un barlume di normalità in uno stadio di Serie A. Sperando si tratti solo dell’inizio di un cammino che deve ricondurre i tifosi italiani a vivere il pallone in maniera libera e folkloristica. Caratteristiche che possono solo migliorare uno sport nazionale ormai ridotto a colabrodo.

Simone Meloni