Proteste come l’ultima della Curva Fiesole, come quelle di altre tifoserie contro le rispettive presidenze (Napoli e Roma su tutte), sono mal capite tanto dalle piazze avversarie che dai propri tifosi che non si approcciano alla passione per la propria squadra in maniera critica. Chi mette in dubbio la legittimità di questa protesta spesso si appella ai risultati non proprio eccelsi della squadra viola nel passato. In effetti la Fiorentina ha avuto con questa proprietà una media-piazzamenti in Serie A in linea con la propria storia, discrete annate europee e qualche buona Coppa Italia disputata. Trofei non ne sono arrivati ma se vogliamo essere oggettivi possiamo dire che non sempre il fato ha giocato dalla stessa parte, la semifinale di Coppa Uefa a Glasgow ne è l’esempio più calzante.

Allora, cosa turba il tifoso viola?! Perché non è soddisfatto? Personalmente ritengo che addossare questo malessere diffuso ai soli risultati sia riduttivo.

Le tifoserie delle compagini storicamente poco vincenti, in relazione al proprio blasone, hanno da sempre fondato la propria fede sull’identità cittadina che lo stadio restituisce. La Fiorentina è stata spogliata proprio di questo, della sua identità.

Come primo esempio tante volte non sono state rispettate le parole date e gli annunci fatti: “Scudetto nel 2011”, che nessuno aveva preteso e che poi non è arrivato; “Cuadrado regalo per Firenze” poi venduto sei mesi dopo; “Salah nostro per diciotto mesi”, andato via dopo sei, solo per citarne alcuni. Se è vero che calciatori o trofei non sono il carburante principale per il sostegno della propria squadra, è altrettanto vero che a nessuno piace essere preso per il culo a bella posta. Tra le caratteristiche di una città come Firenze possiamo annoverare la schiettezza e la sincerità, e di queste due componenti ne è stata calcisticamente privata.

Dal punto di vista umano/comportamentale, invece, si sono verificate situazioni assurde, come ad esempio la gestione degli allenatori. Dall’epoca Prandelli in poi si è ripetuta più volte la stessa storia. Il mister partiva con un progetto sportivo dalle belle speranze, portandolo avanti fino alla terza/quarta posizione nella massima serie. Veniva chiesto dall’allenatore in forze di essere attrezzato per risultati migliori, per alzare l’asticella, la richiesta è spedita al mittente dalla società, senza che la dinamica sia chiarita alla città. Appena gli obiettivi sportivi vengono disattesi, la presidenza fa spallucce e dirotta i media asserviti contro il proprio allenatore. Così è successo con Prandelli, con Montella ed infine con Sousa. Pioli, invece, che si è sempre comportato in maniera silenziosa senza nessuna dichiarazione pungente nei confronti della società, è stato screditato in maniera pubblica con un comunicato. La penuria della squadra è talmente evidente che il giochino architettato con gli allenatori precedenti non poteva funzionare. La rilettura dei fatti sotto questa ottica rende grottesco il ritorno di Montella sulla panchina gigliata e avvilisce ogni tifoso viola che si rende conto di come è gestita la sua Fiorentina.

La cosa che mi piace sottolineare è che questo tipo di dinamiche possono essere applicate a squadre con una storia sportiva simile, ognuna con i propri alti e bassi, ritagliando e incollando i nomi. Non converrebbe quindi smetterla di tirare l’acqua al proprio mulino senza dare un occhio al vicino che vive una situazione simile? Non sarebbe meglio fare fronte comune contro chi amministra le squadre dei nostri cuori alla stregua di una multinazionale, mancando di etica e di valore? In un contesto in cui la prima difficoltà è riunire la propria tifoseria sotto un unico pensiero queste parole risuonano come un’utopia, ma penso sia giusto iniziare a parlarne.

Con queste premesse la Curva Fiesole si trova a protestare contro i Della Valle. Se il campionato della squadra viola non ha più nulla da dire, la squadra ha di fronte un’impresa difficile ma non impossibile, la semifinale  di ritorno in Coppa Italia contro l’Atalanta. Sbancare Bergamo significherebbe tornare a sognare come per la sciagurata finale di Coppa di quattro anni fa. La tifoseria viola di questo è consapevole e durante la protesta, attuata dopo 45 minuti di assenza dalle gradinate, non è mancato il supporto per la squadra, per la maglia.

Il tempo è galantuomo, si dice, e la mia speranza è che con il passare degli anni venga restituita quella verve calcistica che ha animato le piazze d’Italia. In questo genere di dispute spesso ha ragione chi sta dalla parte della tutela del blasone e  delle proprie usanze. Quest’ultime devono adattarsi al cambiare dei tempi, ma non possono essere sacrificate tout court per interessi personali di un qualche imprenditore.

Testo di Diego Nieri.
Foto di Sauro Subbiani.