coppaitaincCi sono alcune giornate che, indipendentemente da ciò che è successo, da chi ha commesso questo o quell’altro fatto, capisci subito quanto siano nere per il movimento ultras. A tutti possono venire in mente le immagini pesantissime del Catania – Palermo del Febbraio 2007 dove morì l’Ispettore Raciti o dell’uccisione di Gabriele Sandri, qualche mese dopo, a Badia al Pino. Ma, pensandoci bene, di istantanee non salutari per il movimento ultras troppe ne abbiamo viste, e neanche vale la pena elencarle. Ogni qualvolta ci sono gli ultras di mezzo, i commenti moralistici piovono dappertutto, così come i mitomani che esaltano gesta altrui completamente condannabili. Quando c’è l’ultras di mezzo i giornalisti iniziano la loro caccia alle streghe con una pala armata di merda pronta a schizzare dappertutto pur di colpire l’immaginario collettivo, salvo poi dileguarsi quando, svanito il polverone mediatico, ci si ritrova a fare i conti con assoluzioni processuali (delle quali nessuno parla se non in qualche trafiletto di due righe) o quando le indagini giudiziarie non confermano tutto ciò che la stampa ha vomitato per giorni e giorni (che fine hanno fatto le famose minacce degli ultras di Salernitana-Nocerina?). Poi, certo, ci si trova di fronte a situazioni complesse, veramente difficili da analizzare, per le quali bisognerebbe solo chiedere il silenzio in attesa che la vicenda si chiarisca definitivamente. Pure a me, da scrittore di Sport People, mi verrebbe da aspettare che vada avanti l’indagine sui fatti di Napoli – Fiorentina di Coppa Italia e che emerga qualche verità in più; in questo ruolo ho anche capito quando gli ultras vanno difesi o quando hanno sbagliato ed è giusto che paghino. Perché, anche se c’è chi dice no, le regole esistono sempre, ovunque. E vanno rispettate. Scriverò per punti. Magari molte frasi non piaceranno a tutti, ma avere solo consensi è un’utopia che lascio a qualche politicante da strapazzo mai pago della propria autostima ed autopromozione.

I FATTI IN BREVE – In uno Stadio Olimpico che si annuncia gremito, sta per iniziare la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, gara ad altissimo rischio per la quale la questura ha predisposto un foltissimo schieramento di uomini e mezzi. Ciò nonostante, fuori dallo stadio, si registrano scontri tra Napoletani e qualche gruppo di Romanisti, colluttazioni che poi coinvolgono le forze dell’ordine arrivate sul posto. Si parla anche di contatti fra alcuni Napoletani e Fiorentini, ma le notizie sono vaghe e non c’è nessuna conferma che ci siano ultras coinvolti. Il fatto più grave però avviene nell’adiacente Tor di Quinto. Stando a ricostruzioni miste fra giornalismo e bollettini della questura, un notissimo ex esponente della Curva Sud della Roma e proprietario di un chiosco all’interno di un’area destinata a discoteca, ha sparato dei colpi di pistola, ferendo tre persone, tutti tifosi napoletani. Una di queste è molto grave: si tratta di un 31enne, colpito ad un polmone da un proiettile poi fermatosi nella colonna vertebrale. Già qui le ricostruzioni si fanno più confuse: c’è chi afferma che l’uomo che poi ha sparato è stato riconosciuto grazie ad alcuni tatuaggi e quindi circondato ed aggredito, prima di estrarre la pistola e difendersi, così come c’è chi dice che lo stesso abbia prima provocato il gruppo di Napoletani, visibilmente ubriaco e poi, vedendosi rincorso e circondato, ha estratto la sua arma e fatto fuoco. Fatto sta che Esposito viene portato in ospedale con codice rosso, prima di un miglioramento nella notte in seguito alle cure mediche. Ovviamente la notizia si diffonde e nella curva napoletana, dentro lo stadio Olimpico, le voci si rincorrono e il clima diventa sempre più teso, così anche la disputa del match inizia ad essere in bilico. Gli ultrà napoletani chiedono un colloquio con il capitano Hamsik per spiegargli la situazione e la loro posizione e, dopo un po’, il giocatore si reca sotto la Nord per parlamentare con una delegazione di tifosi. Nel mentre, inizia un lancio di torce e bomboni verso steward e fotografi in primis, ma un petardo stordisce, per fortuna senza conseguenze gravi, un vigile del fuoco. Finito il colloquio tra tifosi, Hamsik e alcuni dirigenti del Napoli e delle forze dell’ordine (le quali hanno rassicurato sullo stato di salute e sulle cure prestate al tifoso del Napoli), si aspetta di decidere se iniziare o meno la partita, mentre i Napoletani hanno già comunicato di astenersi dal tifo, seguiti, dopo un po’, dalla Curva Sud occupata dai tifosi viola. I dirigenti della Polizia tornano in un secondo momento sotto la Nord per avere conferma, da parte dei capi ultras, che la situazione è sotto controllo. Ricevuto l’ok la partita può cominciare. Non senza tanti fischi all’inno nazionale. Al 20° del primo tempo i gruppi organizzati del Napoli lasceranno definitivamente lo stadio per recarsi in ospedale. La partita finirà 3-1 per il Napoli, con invasione di campo di alcuni tifosi partenopei, assolutamente estranei ai gruppi delle curve A e B, i cui rappresentanti avevano lasciato lo stadio già da un pezzo.

GLI SCONTRI FUORI DALLO STADIO – Prima dell’episodio più grave, già diversi incidenti si erano registrati sia per strada in autogrill, sia nei dintorni dello stadio, dove, stando a fonti della questura, un gruppo di Romanisti avrebbe aggredito alcuni Napoletani. Nonostante l’iniziale enfasi data a questi scontri del prepartita, tutto si è svolto fuori dallo stadio, e nulla dimostra che siano coinvolti a pieno titolo sia ultras del Napoli che della Roma, o comunque componenti attivi delle curva. Ciò nonostante, stampa e tv si sono subito scatenati, parlando di violenza ultras. Stesso discorso per alcune colluttazioni tra Viola e Napoletani, assolutamente non confermate e in ogni caso potenzialmente riconducibili a semplici tifosi passati dallo sfottò alle maniere pesanti. Per gli ammiratori del modello inglese che avrebbe risolto il problema degli hooligans, gli scontri hanno avuto una dinamica molto simile a quelli che, alla maggiore, accadono tuttora in Inghilterra, dove il problema è debellato (neanche sempre, a dir la verità), solo all’interno dello stadio per trasferirsi nei dintorni. Di sicuro, per prevenire questo tipo di scontri, inutile invocare il “pugno duro” o le “tessere delle tessere del tifoso”. Ed è fuorviante associarli all’intero movimento ultras.

I COLPI DI PISTOLA – Qua si entra in un campo, delicato, delicatissimo, dove preferirei non dire nulla al di fuori della mera cronaca e di quanto accertato, con prove veritiere e non con supposizioni, dalle indagini. La cosa che più mi amareggia è che ad essere coinvolto sia un ultras, anche se completamente estraneo a quella partita. Indipendentemente dalle sue colpe, egli ha creato un domino di associazioni mentali troppo appetibili per i pennivendoli di regime, che hanno trasformato, in un attimo, ogni ragazzo di curva con sciarpa e bandiera in un potenziale assassino. Capisco benissimo la situazione, capisco che l’uomo coinvolto non è la Curva Sud della Roma e capisco anche che tutto ciò poteva accadere altrove, ma i fatti restano. Ed è per questo che bisogna prendere atto della gravità di quanto successo, affinché ciò non diventi un punto di non ritorno. Chi si sente ultras come mi sento tuttora io, nonostante non segua da tanto tempo la mia squadra, stavolta ha il dovere di non starsi zitto e di condannare. Perché se accettiamo l’uso di una pistola fosse anche solo per difenderci, se accettiamo che quanto è stato va bene perché “erano napoletani” e se cominciamo ad osannare un eroe anziché una persona che ha sbagliato, allora è anche giusto che diciamo “basta” e ci arrendiamo tutti quanti. Se accettiamo tutto questo, quel tanto di buono che c’è nella vita di un ragazzo che frequenta lo stadio non ha più senso di esistere. Trasferte, cortei, riunioni, bevute collettive, coreografie, cori, risate, aggregazione, creatività. Niente ha più valore se non ci fermiamo un attimo e capiamo che, ogni tanto dobbiamo riflettere. Ha sparato una persona che ha sbagliato, che se ci ripensasse non lo farebbe mai e poi mai, ma alla fine era uno di noi, e in quanto tale ci obbliga ad una rivisitazione collettiva di ciò che siamo e di ciò che facciamo. Di ciò che siamo diventati. Mi dispiace condannare, mai l’ho fatto da quando scrivo, o comunque non in maniera così netta, ma stavolta non ci sto. Nel nostro movimento abbiamo accettato di tutto. Soprusi. Vigliaccherie. Gente che si vende per trenta denari. Criminali che creano succursali in curva per i loro affari. Capi ultrà che fanno i cori contro la Digos e poi ci fanno i patti sottobanco. Tutto abbiamo sopportato perché ci piace andare con la nostra sciarpetta al collo e tirare fuori la voce, in uno dei pochi momenti in cui riusciamo a riempire i nostri vuoti senza cuffie che sparano musica alle nostre orecchie o senza uno smartphone che ci annebbia il cervello. Comprenderò più in là, ma ora condanno. Perché la vita è il valore più alto che possa esistere, e se ci sbraniamo a vicenda, ultras o non ultras, meglio estinguerci. Sarebbe bello solamente ricordarsi perché l’ultras ha cominciato ad esistere, e sarebbe bello ritrovarsi, una volta per tutte, solo in quei valori.

LA TRATTATIVA FRA POLIZIA E QUESTURA – Tuttavia, parlando di media di regime, la parte più nauseante è stata quella che ha indicato i capi ultras del Napoli (uno in particolare) come delle mele marce, i delinquenti ai quali si è chiesto il permesso per giocare, coloro che hanno in mano il mondo del pallone. Il capo ultrà sulla vetrata paragonato a Bogdanov. Esiste, invece, un’altra versione dei fatti, a mio avviso. Senza quegli ultras napoletani, probabilmente, ci sarebbe stato il finimondo. Si sapeva dello sparo, si sapeva di quanto il ragazzo fosse grave, qualcuno diceva che poteva già essere morto. Vi immaginate lo stato d’animo di chi sta in curva? La rabbia di chi ha già una vita difficile tutti i giorni ed è arrivato là per vedere, magari, la propria squadra alzare una coppa? C’erano i cancelli inspiegabilmente socchiusi, e i Partenopei potevano entrare in campo quando e come volevano. Non l’hanno fatto. E non grazie al fato, ma perché gli ultras hanno garantito controllo sociale. Hanno avuto la responsabilità, ma anche la calma di non farsi prendere la mano e di ragionare. C’era una vita umana in ballo, e un colpo di pistola sparato da un rivale di sempre. Dinamite pura. Invece i capi ultras hanno prima chiesto di parlamentare con Hamsik, per poi ritrovarsi i dirigenti della sicurezza a parlare con loro. Ci sono state delle rassicurazioni sulla salute del ragazzo ferito, e gli animi si sono placati. Mentre la Rai faceva il solito pistolotto sui bambini e riprendeva gli ultras in primo piano, loro ci mettevano la faccia, prendendosi una responsabilità enorme, senza neanche sapere se avrebbero potuto controllare la situazione al cento per cento. Gli ultras non hanno deciso un bel niente. Si sarebbe giocato comunque, era già stabilito. E la Polizia ha cercato, invece di usare il pugno duro in una situazione tesa, di parlare e di trovare dei referenti. Senza il controllo degli ultras, checché se ne dica, l’evoluzione dei fatti sarebbe stata veramente fuori controllo. Invece, ripetendo che i cancelli non erano chiusi, nessuno ha invaso. Nessuno ha fatto violenza. Si è capita la situazione, e, infine, si è giocato, dopo una seconda rassicurazione da parte dei capi ultras, che sicuramente hanno parlato con gli altri della curva. Altro che Bogdanov e le sue bravate. Gli ultras si sono presi la responsabilità di controllare migliaia di persone, interessandosi solo alla vita di uno dei loro, e non di certo a comandare su 22 marionette strapagate.

I BAMBINI ALLO STADIO – E mentre le immagini allo Stadio Olimpico continuavano, i commentatori Rai, ripresi di seguito da tanti giornalisti, iniziavano la loro predica alla Savonarola sui tanti bambini allo stadio e di quanto essi fossero dispiaciuti perché un gruppo di teppisti stava rovinando loro la serata allo stadio. Bene cari giornalisti, sappiate una cosa. I bambini, col mondo reale, ci si scontrano tutti i giorni: quando mamma e papà litigano e alzano la voce (se dice bene), quando la maestra li punisce ingiustamente, quando vedono i notiziari o i film che sono ben al di fuori della loro comprensione, quando vengono isolati davanti ad un computer invece di giocare con gli altri e così via. Non sarà di certo una serata storta allo stadio a rovinare la difficile infanzia di chi è nato in questi ultimi anni. Un bravo padre, al limite, al bimbo poteva dire: “I tifosi sono arrabbiati perché là fuori uno dei loro si è fatto molto male e adesso tutti stanno cercando di rassicurarli. Non ti preoccupare, andrà tutto bene e la partita comincerà”. Cari giornalisti, volete veramente bene ai bambini? Allora alzate di più la voce quando viene rovinato il nostro presente e il loro futuro. Quando lo “Statuto dei lavoratori” viene smantellato e a loro, da grandi, non rimarrà che una vita da precari o da emigranti. Quando l’ennesima speculazione edilizia a favore dei palazzinari rovinerà ulteriormente un ambiente già degradato. Quando le banche ed Equitalia hanno poteri di usura sul cittadino privandolo persino del più normale diritto alla casa. Quando i politici incassano uno stipendio da 20.000 mensili più prebende di vario tipo, vitalizi e buonuscite persino se condannati, mentre c’è chi non avrà la pensione. Vogliate bene in questa maniera ai bambini, e non utilizzandoli per uno spot contro gli ultras.

LA MAGLIETTA SU SPEZIALE – Altri titoloni sui giornali in merito all’ultras napoletano eletto, suo malgrado, a simbolo della “trattativa”, sono stati destinati alla maglietta “Speziale libero” da lui indossata. “Apologia di reato”, “esaltato l’omicidio di Raciti” e via dicendo. Possibile che nessun giornalista sappia la differenza tra appoggiare ed esaltare un reato e ritenere innocente una persona? Se io indossassi una maglietta con scritto “Amanda libera” magari non sto inneggiando all’uccisione di Meredith, ma ritengo Amanda estranea alla vicenda e lo voglio sostenere pubblicamente. O, per caso, non sono libero di farlo? E di tutti quei tromboni che hanno commentato con disgusto la maglietta, quanti di loro avranno non dico letto le carte, ma almeno seguito le fasi del processo a Speziale con tutte le sue ombre, tanto che il caso ancora non si può ritenere ancora chiuso e il dibattimento processuale, tra ricorsi e riaperture, è destinato ancora a proseguire a lungo? Io dico nessuno, altrimenti l’opinione pubblica sarebbe a favore dell’innocenza del ragazzo catanese, visto che in assenza di prove la prassi sarebbe l’assoluzione per insufficienza.

RENZI E I FISCHI ALL’INNO – Un’altra polemica ha riguardato i tanti fischi piovuti sull’inno di Mameli. Inutile farci tanta retorica, tutti quelli che fischiano l’inno si sentono molto più italiani di chi acquista gli F35 dall’alleato americano e di chi va dalla Merkel per garantirgli sottomissione. Chi fischia non odia l’Italia, ma questa Italia. Non vi si sente rappresentato perché si sente abbandonato. Non è lo stadio, non sono gli ultras, è un sentimento comune che non può capire chi vive in una sfera di cristallo. I titoli hanno anche enfatizzato sulla presenza di Renzi allo stadio, come se i fischi fossero più gravi perché c’era lui. Ok, c’era il presidente del consiglio. E quindi? Che vuol dire? Che dove passa lui ci debbano essere solo consensi? Consensi per una persona non eletta da nessuno e che occupa ogni spazio possibile sui media? Io vedrei il problema dal punto di vita opposto. La presenza di Renzi ha amplificato i fischi, punto.

L’INVASIONE DI CAMPO – Secondo i più, anche l’invasione di campo dei Napoletani alla fine rientra nella serata perfetta di follia ultras. Peccato che i gruppi se n’erano già andati dallo stadio da più di un’ora. Diciamo che quanto è successo, per quanto non grave ma inadatto in quella serata (in altri casi avrei detto persino bello), è dovuto all’assenza del controllo degli ultras. Ma questo non si poteva dire.

CHIUDETE QUELLA FOGNA – Infine un invito a tutti i politicanti di mestiere e ai loro servi giornalisti: lasciate perdere Daspo a vita, modelli spagnoli, francesi, thailandesi o panamensi. Lo stadio non è un ambiente per voi, perché al suo interno vi si rappresenta la vita vera, quella di tutti i giorni. Non di certo quella di chi campa di privilegi e di soldi dei contribuenti per poi essere al soldo delle criminalità organizzate e difende gente condannata per evasione fiscale in maniera definitiva e in maniera non definitiva per prostituzione minorile. Gente che campa di auto blu, caviale e champagne salvo poi smobilitare lo stato sociale e conquiste fatte in decenni sul lavoro dai nostri nonni. Lasciate perdere veramente, non è cosa. Tutto ciò che toccate, poi, va allo sfascio più totale.

VICINANZA – Da parte mia, e della redazione di Sport People, solidarietà assoluta e vicinanza al ragazzo napoletano che ha rischiato veramente la vita. Non mollare perché ti rivogliamo al più presto nella tua vita di sempre.

Stefano Severi