Sul Canal Saint-Martin, a Parigi, c’è un murales che dice “Fluctuat nec mergitur”, è colpito dalle onde ma non affonda.
È il motto della città ma io ce lo vedrei bene inciso sulle porte di tutti i palazzi del ghiaccio italiani.
Più come speranza che altro.
Sono anni grigi per tutto il movimento.
Colpa dei soldi che mancano e di una gestione troppo spesso dilettantistica da parte di società e, soprattutto, Federazione.
La crisi del Milano, la Valpe ad un passo dal crack finanziario, Torino che non è in grado di tornare grande. E così via.
L’impressione che ogni anno ci si trovi ad un passo dalla chiusura.
Anche quest’anno una serie A a sole 8 squadre e una serie B senza promozioni dirette e con 16 squadre spaccate a metà tra semi-professionisti e dilettanti.
Bolzano è stata l’unica ad anticipare i tempi e provare a salvarsi, cercando fortuna altrove.
Nel 2013 ha presentato richiesta per giocare la EBEL, richiesta accettata dalle due rispettive federazioni (italiana ed austriaca).
Ed è stata una scelta vincente.
Sia per il titolo al primo anno di partecipazione, sia per la scossa che ha dato ad un ambiente che stava passivamente accettando il declino.
Certo, anche la EBEL non è sempre rose e fiori. Basta pensare alle difficoltà estive dello stesso Bolzano o alla crisi senza fine dell’Olimpia Lubiana.
Ma si parla davvero di un altro livello.
Bolzano-Znojmo ne è stata la prova lampante, nonostante tutte le attenuanti del caso.
Una gara di importanza relativa, contro una squadra forte ma di scarso appeal.
Ma la bellezza estrema di questo sport ha avuto la meglio, come sempre.
I padroni di casa, dopo 40′ minuti di difficoltà, sono riusciti a rimontare i due gol di svantaggio acciuffando il pari a cinquanta secondi dalla sirena e vincendo agli shootout, trascinati da un pubblico che, soprattutto nel terzo drittel, è stato caldo e rumoroso.
Ed è questa la sorpresa più grande della gara.
Perché oltre allo zoccolo duro “ultras”, al centro del settore D, l’intero palazzo mi ha colpito per varietà e attaccamento.
Dalla coppia di anziani, al papà con il bambino, alle famiglie intere, sparsi in ogni settore del Palaonda.
È la dimostrazione che si può ancora far innamorare la gente dell’hockey.
E per me è la speranza che un angolo così bello e pulito di aggregazione e passione non diventi l’ennesima vittima fagocitata dal calcio e dal denaro.
Che nonostante le onde, l’hockey continui a non affondare.

Gianluca Pirovano.