La vita è un ciclo e nell’ordine naturale delle sue cose, per quanto possa fare molto male, si riesce quasi sempre a comprendere o metabolizzare una morte sopraggiunta dopo una vita piena e vissuta fino in fondo. Si è giovani finché l’idea della morte non ci sfiora nemmeno. Si diventa adulti quando si apre un vuoto incolmabile dentro di noi. L’assenza ci rende “orfani”, talvolta “vedovi” ma non esiste invece nemmeno un aggettivo per descrivere qualcosa di così mostruosamente innaturale come la morte di un figlio.
In un movimento di massa così longevo quale quello ultras sono tante le morti che lo hanno funestato. Nulla però aveva scosso l’immaginario collettivo come quanto avvenuto il “13 ottobre 2024”, data scolpita talmente a fondo nella memoria da essere diventata persino una pezza, in curva a Foggia. Quattro ragazzi giovanissimi, addirittura 13 anni il più giovane. Figli di questo movimento nell’accezione più vera del termine. Era logico, umanamente comprensibile, inevitabile che dopo la morte di Gaetano, Michele, Samuele e Samuel in quella maledetta strada di ritorno dalla trasferta di Potenza, gli ultras foggiani decidessero di ritirarsi nel proprio dolore. Di smettere di tifare.
La prima gara del 2025, quella contro l’Altamura, segna invece il ritorno sugli spalti, al tifo attivo, in casa e da qui in poi anche in trasferta, degli ultras rossoneri. La fase successiva in questa complicata elaborazione del lutto, traduce nel tifo, nel colore, nell’aggregazione, nell’amore urlato a squarciagola il modo per onorare al meglio il ricordo dei quattro ultras scomparsi.
Incomprensibilmente assenti e non per proprie colpe gli ultras dell’Altamura, ai quali è stata vietata la trasferta allo “Zaccheria” così come all’andata era stata vietata quella dei foggiani. Se in quel caso però, visto che si giocava nella rivale Bari, poteva avere un senso chiudere il settore preposto, del tutto priva di logica è la decisione avversa agli altamurani, che oltretutto hanno un rapporto di rispetto con gli ultras di casa.
D’altro canto inutile cercare delle ragioni nelle prese di posizione del potere di turno, basti ricordare i giorni successivi alla scomparsa dei ragazzi, in cui vietarono perfino il minuto di silenzio. Va da sé che in quest’occasione in cui, scherzo del destino, veniva commemorata la scomparsa di Aldo Agroppi, era inevitabile che la tifoseria ritornasse a calcare la mano, evidenziando gli immorali due pesi e due misure davanti alla morte. Nulla contro l’ex Toro Aldo Agroppi, ci mancherebbe, ma le istituzioni calcistiche hanno quanto meno meritato la stigmatizzazione della loro ipocrisia giunta attraverso cori e striscioni.
Prima del fischio d’inizio, viene deposto anche un mazzo di fiori sotto la Curva Nord che, esattamente come la Sud, in una encomiabile unione di intenti, si presenta spoglia dei propri vessilli e con uno striscione unico a rappresentare tutti, oltre quello con i nomi dei quattro ragazzi posto in basso.
Al momento del via, alla connessione fra i due settori, si aggiunge anche la Gradinata Est in una imponente torciata a (quasi) tutto stadio, mentre nelle due curve si alza un piccolo copricurva in cui si ripetono i quattro nomi, ai piedi dei quali si legge la frase, carica di significati: “Figli di Foggia”.
In un contesto emotivo di tale livello, anche il sostegno non può essere da meno in termini di potenza, intensità e continuità. Stolide autorità a parte, sembrerebbe tutto perfetto, se non fosse che anche il Foggia in campo ci mette del suo, rimediando una deludente sconfitta per 0-2 ed uscendo dal campo fra i fischi di disapprovazione del proprio pubblico.
Foto di Vincenzo Fasanella