Dal 2013 – vale a dire da quando ho ricominciato a girare con costanza i campi d’Italia – avrò fatto migliaia di foto e visto centinaia di stadi e tifoserie. Oltre ad aver conosciuto una miriade di personaggi (forse l’aspetto più stimolante del tutto). Non nego che attualmente mi trovo spesso in difficoltà nello scegliere una partita sapendo che per muoversi, inevitabilmente, van via dei soldi e se il gioco non vale la candela rimpiango amaramente il tempo e il denaro sottratto magari ad altro.

Mi trovo così a restringere di molto il campo delle mie scelte. Soprattutto rispetto a un paio di anni fa, quando l’importante era partire, vedere e farsi un’idea. Certo, di imparare non si finisce mai, tuttavia posso tranquillamente asserire che oggi quando consulto il calendario, lo faccio con due soli criteri in mente: qualità o campo non visto.

Poi, nel momento di piattezza e disincanto che sto attraversando, non nego di tendere troppe volte al pessimismo cosmico, il che mi porta sovente a guardare le gradinate con occhio sin troppo critico e leopardiano. Finisce così che quando becco il match a cui ho effettivamente poco da rimproverare, ma – anzi – mi fa tornare a casa soddisfatto, quasi non mi godo quanto di bello visto, andando a cercare involontariamente la macchiolina o il pelo nell’uovo.

Foggia-Lecce è stata una di queste partite. Una di quelle che se ci ragioni un attimo per bene realizzi che l’Italia del tifo è fondamentalmente ancora viva e ancora in grado di mangiare in testa a tante realtà estere iper decantate nell’ultimo decennio. Che guarda caso, vengono ancora a scuola nella nostra Penisola.

Poi ci sono le perversioni mentali degli ultras e di molti loro osservatori, a sviarmi in tante occasioni. Le critiche gratuite, quelli a cui fa tutto schifo a prescindere e non riescono a tessere un discorso obiettivo e di senso compiuto perché troppo presi ad ingrossare le proprie teorie. Oppure quelli che a causa di scontri generazionali debbono per forza vomitare veleno su quanto “passa il convento” oggigiorno. E infine coloro i quali ragionano con il più oltranzista degli “è tutto finito”. Che magari erano gli stessi, vent’anni fa, a stare con le braccia conserte sulla balaustra senza smuovere un dito per aiutare la curva dentro e fuori.

C’è chi guarda oltralpe e indica tutto quello che vede come migliore. Come “rivoluzionario”. O addirittura duro e puro. Quando di duro e puro, anche nei mondi che noi crediamo tanto liberi e riottosi come quelli dell’Est Europo, c’è ben poco. Anzi, se andassimo ad analizzare situazione per situazione, scopriremmo con molto stupore quanto determinate tifoserie siano veramente “serve” del sistema, almeno nella maniera qualunquista e generalista con cui tale affermazione viene utilizzata in Italia.

Dunque, senza voler uscire troppo dal seminato, possiamo parlare della gara disputata allo stadio Zaccheria. Tra giallorossi e satanelli è un derby, ma senza rivalità. Anzi, le due tifoserie in passato hanno avuto rapporti più che conviviali e attualmente – almeno a giudicare dall’atteggiamento tenuto dentro lo stadio – vige la più classica delle indifferenze.

In Salento sono stati venduti 1.300 tagliandi. Un segno tangibile dell’entusiasmo leccese per il ritorno in cadetteria e per l’ottimo avvio di campionato che ha proiettato la squadra di Liverani in piena zona playoff. Entusiasmo che di certo non manca nemmeno a Foggia dove, malgrado i punti di penalizzazione, la tifoseria si è stretta attorno alla squadra facendo registrare gli ormai consueti numeri importanti sia dentro che fuori.

Lo Zaccheria presenta dunque un ottimo colpo d’occhio e quando le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo, la Nord e la Sud foggiana si esibiscono nelle più classiche coreografie del repertorio italiano: sciarpata, cartata e due fumogenate a dir poco mozzafiato. L’odore acre dei fumogeni si espande su tutto il manto verde, arrivando alle narici degli spettatori seduti nelle tribune e regalando il gusto retrò dello stadio. Purtroppo questi spettacoli sono sempre più rari e quando si manifestano vale la pena respirarli a pieni polmoni.

La pirotecnica sarà un tratto distintivo anche per il contingente ospite, che a più riprese si metterà in mostra con torce e fumogeni.

Ecco, in merito a quest’ultima frase ci saranno in tanti – quelli dalla critica ossessiva, eccessiva, petulante e pedante – che contesteranno il non riuscire a far entrare materiale da parte di molte altre curve. E poi ci saranno quelli pronti a dire che foggiani e leccesi (faccio questo esempio utilizzando le tifoserie in oggetto, ma potrei davvero traslare queste parole su altre decine di casi) sono “amici del sistema” e per questo non vengono controllati. Oppure qualche genio dirà che è stato tutto autorizzato e che è meglio non portare nulla dunque. Insomma, una serie di supposizioni idiote e sfiancanti che fanno parte di quel dedalo di atteggiamenti a me avversi che ho sopra elencato e che spesso mi hanno fatto scendere sotto i tacchi la voglia di fare tutto.

Sempre per continuare con la sincerità, voglio ricordare che pure vent’anni fa agli ingressi si veniva perquisiti e molto spesso striscioni, torce e fumogeni passavano con il benestare della polizia. Quindi sì, ok, ci saranno anche Questure più elastiche di altre (grazie a Dio), ma questo non vuol dire assolutamente niente. Quando si vuol utilizzare la parola “colluso” credo vada fatto in altri ambiti. Invece noto che negli ultimi anni, alcune terminologie un tempo usate di rado e solo in casi di “necessità”, vengono snocciolate a cuor leggero. Purtroppo anche da chi ha diversi scheletri nell’armadio.

Tornando al tifo, complessivamente il mio giudizio promuove a pieni voti entrambe le tifoserie. Con particolare “lode” alla Nord foggiana e al settore ospiti. Manate, rabbia nei cori, compattezza e sincronia sono i marchi di fabbrica di questo pomeriggio. Assieme all’ottima partecipazione di tutto il pubblico. Lo Zaccheria si conferma un grande stadio per il calcio, concepito in tempi non sospetti e con una logica ben più normale e prestante rispetto agli impianti ultramoderni e ammazza-tifo cui siamo purtroppo abituati oggi.

Un ultimo pensiero lo voglio dedicare ai leccesi, autori dopo il fischio finale di numerosi cori in ricordo di Stefano Cucchi. Non era il solito coro partito dalla zona centrale, ma un bel boato eseguito da tutti i presenti. Qualcuno si è chiesto – e si chiede ancora – se sia giusto che le curve esaltino così il suo ricordo e la battaglia della sorella Ilaria. Per me sono questioni di lana caprina. Le tifoserie organizzate – composte spesso da gente attiva nel sociale o proveniente dai bassi strati delle nostre città – conoscono bene l’argomento in questione. E il giorno in cui cominceranno a porsi il dubbio se spalleggiare o meno determinate battaglie, forse sarà meglio chiudere baracca e burattini e darsi ad altro nella vita.

Lo dico perché già in diversi ambienti attigui o addirittura addentrati al movimento ultras mi è capitato di percepire scetticismo. Più che altro menefreghismo nei confronti di un qualcosa facile da giudicare con boria e ignoranza, difficile da perdonare o analizzare quando capita personalmente o al “compagno di banco”. Ecco, parlo fortunatamente di una minoranza, così come sono cosciente di quanto le curve – essendo lo specchio della società – siano composte anche da capre e asini di rara portata.

Ma io continuo a confidare nella maggioranza di questi ragazzi, che in 31 anni di vita mi hanno spesso insegnato come affrontare e combattere queste situazioni. E da cui mi aspetterò sempre il sostegno e il voler evidenziare un sistema che in questo caso si è dimostrato marcio non semplicemente negli aguzzini di Stefano Cucchi, ma anche in tutto quello che ha circondato la vicenda e, ahinoi, compone quotidianamente l’essenza più brutta e selvaggia del nostro Paese.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Pierpaolo Sacco.

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