Stazione Termini, ore 7 di domenica mattina. Le tre ore scarse di sonno, arrivate praticamente come “pausa” tra il Campobasso-Pescara della sera precedente e questo match, si fanno sentire prepotentemente, facendomi saltare l’ingresso laterale di Via Giolitti e costringendomi a tornare indietro dopo alcune centinaia di metri. Il sole splende prepotente e mi segue lungo tutto il tragitto, con il treno che in poco più di novanta minuti mi porta in riva al Golfo. Arrivando presto anche rispetto al fischio d’inizio (11:30) e dovendo attendere l’autobus per Maranola, mi concedo un bel giretto nella zona del Porto, dove un paio di pescherie hanno esposto il “bottino” della notte, con polpi ancora vivi e tanto di quel pesce dall’ottimo aspetto che verrebbe quasi voglia di far spesa per concedersi un pranzo con i fiocchi. Ma sono qui per altro, me lo ricordano gli striscioni con cui la Curva Coni invita i formiani allo stadio. Alle 10:25 salgo sul “mio” bus di linea, che arrancando sulle salite che volgono agli Aurunci – si fermerà ben due volte, col rischio di lasciare tutti a piedi – mi porta nei pressi del Washington Parisio. Da quassù il panorama è di quelli importanti: le isole ponziane risplendono sotto i raggi mattutini di Apollo, mentre la lingua di terra che ospita Gaeta si vede nitidamente. Poliziotti e finanzieri controllano la strada che passa dietro la tribuna, dove teoricamente le tifoserie potrebbero venire a contatto, mentre vicino agli ingressi della Coni i formiani passano il pre partita.
Quando manca un quarto d’ora all’inizio del match decido di entrare in campo, recuperando la pettorina grazie ai sempre gentilissimi dirigenti e magazzinieri del Formia. La gara è attenzionata sotto il profilo dell’ordine pubblico non tanto per la rivalità tra le due tifoserie – che in realtà non si affrontano da tantissimi anni – quanto perché a tutti è arcinoto il gemellaggio tra veliterni e sorani, tanto che tra le fila casalinghe spicca nitida la pezza della Curva Mare del Terracina. Incroci e intrecci. Storie vecchie e nuove che si mescolano, con generazioni del passato e ragazzi che nel presente stanno scrivendo la loro storia di curva, volendo confrontarsi e crescere malgrado la categoria e le penurie sportive. In una regione come il Lazio, fagocitata dalle due squadre capitoline, non è mai facile emergere e confermare la propria militanza, quindi fa sempre piacere vivere giornate come questa, dove da spettatore neutrale si può e si deve riconoscere il valore di tutti gli elementi in gioco. Le due squadre fanno capolino dagli spogliatoi, entrando sul terreno di gioco per dare il via alla contesa. Sugli spalti dei due contingenti ultras ancora non v’è traccia e qualche minuto dopo, con l’arrivo degli ospiti a bordo di due pullman, si intuirà chiaramente che – sebbene tutto fili liscio sotto il profilo dell’ordine pubblico – al di fuori voleranno sfottò e provocazioni, riscaldando l’ambiente e fungendo da proscenio all’ingresso degli ultras su ambo i fronti, che avviene poco dopo.
I primi cori che partono su sponda formiana sono contro i sorani, dei quali viene esposta la pezza per i diffidati, proprio accanto al materiale della Banda Volsca. Per i castellani è ovviamente una trasferta importante, un passaggio quasi “storico” nel loro recente percorso, quello che li ha visti ripartire dai bassifondi del calcio laziale. Fattore che ha implicato, per anni, il non avere un confronto con tifoserie “vere”, annaspando nei campetti della periferia romana o in quelli del circondario, dove al massimo si trovavano gruppetti sporadici o qualche signore “avvelenato”. Tutta la generazione che ha ingrossato le fila della Banda Volsca, dandole numeri, costanza e lustro, rendendola di fatto una delle tifoserie emergenti più degne di nota di questi ultimi anni in ambito regionale, aveva un fisiologico bisogno di mettersi al cospetto di una piazza con tradizioni, dove magari si innescasse anche la miccia della rivalità o dell’antipatia. Anche perché, va detto, i rossoneri non hanno fatto nulla per evitarla, anzi. E mi si passi la considerazione: nel 2024 non è per nulla scontato, considerate le conseguenze enormi e sproporzionate cui spesso si va incontro, anche per un minimo comportamento fuori le righe. Lo stuolo di ragazzi che mano a mano si è unito alla Banda e ha contribuito a creare trasversalmente un movimento che coinvolge l’intera città, ha il grande pregio di non perdersi nelle grandi curve o prendere alla leggera la militanza, questo proprio perché nella testa di una porzione di gioventù veliterna è stato miracolosamente (per i tempi che corrono) instillato il seme dell’importanza, folle ma ricca di significato, di rappresentare il proprio gonfalone e l’orgoglio del luogo in cui si è nati, che poi è il collante primo per chiunque si avvicini agli spalti dello Scavo.
Sempre nel gioco delle parti, penso sia comprensibile anche che la maggior parte di cori “contro” proveniente dalla Curva Coni fosse indirizzata ai sorani. Non l’ho visto tanto come un voler snobbare i veliterni, credo che una tifoseria radicata e di un certo livello come quella formiana, sia ben cosciente di come di fronte, oltre agli odiati nemici storici, avesse un gruppo che non è nato ieri e che non sta facendo bene da qualche giorno, ma è arrivato carico e numeroso a questa giornata dopo (durante) anni di lavoro strutturato e pensato. Dico questo perché guardando i tirrenici, penso sempre al fango che hanno mangiato dagli anni ’90 in poi e a come, malgrado tutto, in poche unità o in buoni numeri, abbiano sempre cercato di onorare i propri colori. Non voglio essere democristiano, ma quando si parla di certe categorie e certi scenari occorre avere un minimo di elasticità. Qui non siamo a Roma, Napoli o Milano, dove se ne fanno fuori cento ne trovi altri duecento o dove – esempio calzante – pure se le squadre fallissero e ripartissero da zero, la base di seguaci non verrebbe per nulla intaccata. Qua siamo nella trincea del calcio e degli ultras; si possono fare errori, scelte impopolari e incoerenti, ma allo stato dei fatti è sempre difficile condannare così, tout court.
I padroni di casa inaugurano la gara del tifo con un bella fumogenata biancoblù, dopodiché si mettono in mostra con una positiva prova di tifo: oltre a un notevole utilizzo della pirotecnica (cerchietto rosso per i magnifici barattoloni color arancio, tipici delle città di mare che in passato venivano “sottratti” alle imbarcazioni) la Coni si fa sentire con tanta voce, mani e una costanza inappuntabile. Veramente una performance di livello! Su fronte opposto, nel settore ospiti, dopo esser entrati alla spicciolata causa meticolosi controlli, i veliterni si schierano dietro ai propri striscioni e iniziano anch’essi a macinare sostegno vocale per la propria squadra. E anche qua c’è ben poco da dire: voce sempre intensa, mani ritmate da un paio di tamburi (forse eccessivi visto il numero) e tanta voglia di onorare la mattinata. Ripeto: non una sorpresa, ma una conferma da parte loro. Anche numericamente la gara del Parisio non è un unicum, basti pensare alle ottime presenze portate ogni settimana in casa e fuori. Complessivamente, parlando proprio di tifo (cori, colore, pirotecnica, intensità), verranno fuori novanta minuti su grandi livelli, ben distanti dall’asettica Promozione in cui l’incontro viene disputato. Uno spot sia per queste categorie che per il mondo del tifo, ormai sempre meno abituato alla minima libertà di vivere questo genere di sfide, che sono ancora il vero e proprio sale del modello italiano.
Mettiamoci poi che gli ultimi anni di oppressione/repressione nelle categorie professionistiche hanno portato molti a rivalutare proprio il prodotto calcio, facendo preferire la squadra della propria città e producendo una sorta di emorragia verso il football di provincia. Non a caso la trinciante macchina Statale è ormai arrivata anche qui, non sazia dei danni fatti altrove e forse infastidita dall’aver involontariamente rinforzato il movimento nei borghi, nei paesi e nelle frazioni. Perché sì, prima o poi estirperanno gli ultras, ma la strada è molto più difficile di quanto loro pensino. Almeno in termini ideologici. Qualcuno forse credeva che queste idee non sarebbero mai arrivate alle nuove generazioni, che invece hanno avuto forza e coraggio nel provare a raccogliere il testimone. Con i loro errori e con le loro leggerezze. Ma anche con entusiasmo e quel pizzico di pazzia che da oltre cinquant’anni rende le curve un luogo unico.
Tornando alla sfida di oggi, in campo è il Formia a spuntarla, con un 1-0 che fa gioire la Coni e restituisce un successo ai biancazzurri dopo alcune partite a vuoto. La squadra corre sotto la curva a prendere gli applausi, anche se gli ultras, con uno striscione, ricordano quanto ormai il margine di errore sia prossimo allo zero. Ci sono applausi anche per la VJS, che malgrado la sconfitta ha comunque dimostrato una buona verve al cospetto di una compagine più attrezzata. Con le squadre che rientrano negli spogliatoi, le opposte fazioni si esibiscono nel classico post partita, fatto di cori e sfottò, almeno fin quando i funzionari non invitano gli ospiti a lasciare gli spalti per risalire sui pullman. A questo punto anche io mi avvio per guadagnare la strada del ritorno, senza tuttavia aver osservato con attenzione l’ingente schieramento atto a dividere le tifoserie. Sono quasi le 14 e una volta tanto anche la mia domenica si prepara a esulare dal calcio e dalle curve, ponendo l’accento su un bel pranzo fuori nella vicina Priverno. Ciliegina sulla torta per una mattinata ultras, che mi lascia soddisfatto per quanto vissuto e mi dà la certezza che l’essenza sia sempre racchiusa in queste realtà e in questi stadi. Lontani dai riflettori e vicini a tutta la veracità di chi la vive!
Simone Meloni