Certe volte, certe cose funzionano proprio come con l’amore: arriva un momento della tua vita in cui ti riscopri di punto in bianco adulto e smetti di credere in queste favole, magari per concorso di tutta una serie di contingenze. Poi all’improvviso scatta un inatteso colpo di fulmine e tutte le convinzioni vengono rimesse  improvvisamente in discussione, coprendoti persino di ridicolo a fronte di tutta una serie di incaute dichiarazioni ad ampio raggio che sei costretto a rimangiarti.

La Fortitudo è il mio colpo di fulmine con il basket o più precisamente con una sua tifoseria. Prima d’ora il movimento della palla a spicchi era per me giusto l’appagamento di qualche curiosità estemporanea, atta a ripulirmi la coscienza e malcelare i miei tanti pregiudizi in merito. Non m’era mai capitato prima di oggi di tornare, a distanza di una settimana di tempo, nuovamente in un palazzetto, ancor più nello stesso palazzetto. Il dato di fatto è che la “Fossa dei Leoni” vista in azione in gara 3 contro Agrigento, mi ha convinto in maniera totale e travolgente.

Quest’oggi, l’ennesimo ostacolo sulla strada che riporta in massima serie, è rappresentato da Treviso, altra nobile decaduta della pallacanestro italiana. L’inerzia della sfida spinge il vento in poppa alla “F”, che ha vinto clamorosamente le prime due gare in Veneto e ha già il primo match ball a disposizione per chiudere il discorso e portarsi in semifinale. Alle motivazioni del parquet si sommano quelle sugli spalti: Treviso sarà seguita dai “Fioi dea Sud”, gruppo di formazione relativamente giovane ma che, almeno visto a distanza, mi pare interessante e senza dubbio può fornire un valore (e uno stimolo) aggiunto e di gran lunga superiore allo sparuto gruppetto agrigentino, che non aveva alcuna velleità ultras.

Questa volta riesco persino ad arrivare con un certo margine di anticipo sulla palla a due, ma rimediare un buco dove infilare l’auto è un’impresa assurda, per cui sono costretto ad allontanarmi oltremodo e giocarmi buona parte del tempo. Resta poco più di mezz’ora per curiosare in giro, notare i blindati della Polizia che praticamente sigillano a tenuta stagna la zona del settore ospiti, prima di guadagnare l’ingresso. I quattro angoli del “PalaDozza” si presentano alternativamente e permanentemente colorati di bianco e di blu, grazie alla risposta unitaria del pubblico che raccoglie l’invito della “Fossa” (lanciato già da inizio playoff) di vestire maglie di un determinato colore a seconda del settore da cui si seguirà la gara.

Il palazzo è ancora una volta pieno in ogni suo ordine di posto, forse ancora di più – se possibile – rispetto alle precedenti gare. Quando viene annunciata la formazione di Treviso, non sto scherzando, i fischi sono assordanti e non permettono di intuire la benché minima sillaba. Arriva il turno della formazione di casa, invece, e il ruggito dei leoni cerca di infondere la carica ad ogni singolo atleta. I roboanti “olé” sono accompagnati dalla simultanea esposizione di cartoncini bianchi-blu-bianchi-blu nei quattro settori. L’effetto scenico e l’effetto sonoro sono, ancora una volta, da accapponare la pelle.

Il quadrato riservato agli ospiti resta ancora vuoto per un po’ in questo primo quarto. Probabilmente la strategia del servizio d’ordine è stata di intercettarli, ingabbiarli e convogliarli al palazzetto solo a gara iniziata, abbattendo così i rischi di contatto fra le parti. Quando metteranno piede sul parquet verranno accolti da una bordata di fischi eclatante quanto rinfrancante per chi la riceve: qualcuno ha osato dire che nessun sentimento, nemmeno l’amore, è autentico come l’odio e i trevigiani se ne crogiolano, si esaltano e ricambiano con sfrontatezza, invitando istantaneamente i dirimpettai ad accrescere questa adrenalina e questo godimento succhiando le loro parti basse. A proposito di allusioni sessuali, in verità è una bionda, molto vistosa nella sua bellezza, a metter il primo piede avversario nel palazzo: tutto, ma tutto tutto tutto il palazzo la accoglie con un fragoroso e politicamente scorretto “Quella bionda là, quella bionda là fa la pornostar… puttana!”. La cosa imbarazza e fa ridere, ascrivendosi comunque nel limite di quella che il buon Valerio Marchi definiva “violenza rituale (o simulata)” dei tifosi. Materiale che sarebbe altresì sufficiente a far stracciare le vesti agli analisti in cachemire, sempre pronti a gridare al sessismo o al razzismo.

A proposito di “indignados alla amatriciana”, il coro mutuato da “La prima cosa bella” di Nicola Di Bari, pur essendo fra quelli che più odio per la sua pedissequa onnipresenza, risulta in questo caso stupendo non solo per la sua poderosa esecuzione, ma anche perché copre totalmente le note dell’inno nazionale e dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che gli ultras fortitudini non si lasciano piegare la schiena dagli stupidi burocrati in odore di propaganda che promuovono certe cialtronate a suon di multe. In occasione delle gare sotto l’egida della FIP viene infatti suonato l’inno di Mameli, senza che in campo ci sia alcuna rappresentativa nazionale, inflazionandolo a tormentone pop, in una sorta di nazionalismo d’accatto che lascia più di qualche perplessità. Sarebbe bello che l’amor patrio fosse difeso e diffuso in sedi istituzionali e politiche con atti concreti, sennò, sciatteria per sciatteria, tanto vale far ricantare l’inno da Fedez e Jax in versione rap. La pretesa di trasformare certi riti sportivi in eventi per aumentarne la rivendibilità commerciale, magari inzuppandoli in un nazionalismo stucchevole, sta sinceramente sfuggendo di mano. Giusto per la cronaca, a precisazione di certe inesattezze a mezzo stampa, va detto che i tifosi non hanno mai fischiato l’inno, hanno solo fatto quello che sempre fanno quando c’è la Fortitudo in campo, ossia hanno cantato per essa. Se lor signori vogliono sentirli cantare l’inno, allora che ci portino la Nazionale sul parquet.

Tornando al tifo vero e proprio, la prima parte di gara, soprattutto dall’arrivo dei trevigiani in poi, è davvero molto bella ed interessante, ricca di scambi a distanza e di tifo per i rispettivi quintetti. I biancazzurri arrivano in Emilia bruciando tutta la dotazione di 150 biglietti messi a loro disposizione (stessa scorta di cui hanno potuto usufruire i bolognesi a Treviso in gara 1 e 2). Il loro impatto è molto positivo: avevo sempre considerato il tifo cestistico come una versione riveduta e castrata di quello calcistico, in cui le contrapposizioni fra opposte fazioni sono limitate o quanto meno diluite, i trevigiani invece arrivano subito con un piglio molto “cattivo”, mandando subito e ripetutamente a quel paese tutto il palazzo e tutta Bologna.

Ottimo anche il colpo d’occhio visivo, non solo perché i 150 sono quasi tutti assimilabili ad ultras e si compattano molto bene a quadrato, ma anche perché si presentano per la maggior parte a torso nudo e restituiscono una buona resa coreografica, specie quando si esibiranno nei loro battimani. Sinceramente il loro tifo non è trascendentale, ma è sicuramente buono: non si poteva certo pretendere che avessero la meglio di fronte alla soverchiante superiorità numerica avversaria e alla loro maggiore esperienza, però più di qualche volta si sono fatti sentire. Fanno la loro onestissima parte, soprattutto sfruttando cori secchi o pause dei dirimpettai, cantando anche con una certa continuità, specie nei primi due quarti. Poi si perdono un po’ dopo l’intervallo lungo per salire definitivamente sugli scudi a fine gara, quando si esibiranno in una serie di cori offensivi, di bei battimani e in una bella sciarpata per festeggiare la vittoria che riapre qualche margine di speranza, anche se la Fortitudo ha ancora a sua disposizione un secondo match ball, sempre con l’ulteriore beneficio del pubblico amico.

Questa volta, a differenza di gara 3 con Agrigento (e a maggior riprova di quanto eccelso sia stato il livello di tifo in quella gara), i padroni di casa si producono in un tifo sì buono, ma molto più “umano”. Risentono forse dell’altissima posta in palio e di una gara che in campo sembra arridere agli ospiti in ogni rimbalzo, portandoli a espugnare il campo avverso dopo aver tenuto in pugno la situazione dall’inizio alla fine, concedendo pochissimo ai felsinei.

Considerando l’ottimo spettacolo coreografico di inizio partita, aggiungendo gli elementi di interesse ulteriore dovuti al piacevole confronto con la controparte ospite, si può dire che Fortitudo-Treviso è stata sicuramente più ricca di contenuti ultras. Non di meno è stato sciorinato tutto il repertorio della “Schull”: dai tanti cori secchi poderosi passando alla manata ad “onda”, finendo con il “Bianco-Blu” a rispondere con gli altri settori, ma come potenza e come continuità si è rimasti una nota sotto alla precedente uscita. Resta inteso però che, in tempi di vacche magre, questo è comunque tutto grasso che cola, oppure oro che luccica per usare una metafora più pertinente: per trovare qualcosa di paragonabile, bisogna andare a cercare tra le curve calcistiche… e bisogna pure cercare tanto.

Matteo Falcone.