È sempre difficile non cadere nella trappola della retorica ultras. Il nostro mondo è pieno di paradossi, tra questi c’è quello dei slogan vuoti di senso. Comunque credo questa volta di aver avuto la fortuna di vedere degli Ultras nel vero senso della parola.

Permetterete, cari lettori, di non entrare nella diatriba linguistica tra Ultrà e Ultras: per me anche questa era ed è una questione puramente retorica. La sottocultura giovanile ultras è caratterizzata da tanti punti di vista diversi, di concezioni certe volte antagoniste del fenomeno e pure io ho una certa idea su come dovrebbe essere, secondo me ovviamente, il gruppo ultras ideale. Visione totalmente soggettiva, e lo ammetto, ma oggi posso dire di avere visto in azione un collettivo di persone che mi piace davvero tanto. Credo che almeno una volta nella vita di un appassionato di mondo ultras, quali noi siamo, una visita al Paladozza, luogo mitico del basket italiano, va assolutamente fatta.

Ma facciamo due passi indietro per raccontare la mia presenza nella bella Bologna, cuore pulsante del basket italiano. Ho già visto la Fortitudo, ma in trasferta, parecchi anni fa. Ovviamente il centro del mio interesse, mi scuseranno i fedeli della “F” scudettata, non era il parquet o la gesta sportiva in genere, bensì gli spalti.

Al contrario della Virtus, che ha un palmares impressionante, la Fortitudo nella sua bacheca non conta tanti trofei: appena due scudetti, una coppa Italia e due Supercoppe, ma possiede un pubblico generoso, sanguigno e fedele. Ora come ora, quasi tutto si può comprare in questo mondo avvelenato dal dio denaro, ma non la passione, e oggi ne avrò testimonianza con l’amore viscerale dimostrato da questa comunità ai colori biancoblu, in particolare dal gruppo che dal lontano 1970 rappresenta la tifoseria fortitudina, ossia quella “Fossa dei Leoni” che prende posto nella Curva Schull, intitolata al cestista staunitense che ha giocato per la Fortitudo per cinque stagioni, dal 1968 al 1973.

Bologna è una piazza storica del movimento ultras, sia calcistico che cestico, una città già particolare per questo. Ma lo è anche per essere la sede di università prestigiose, dispone di tutte le cose che vorresti avere in una città, cioè sedi culturali e accademiche, movida, diversità, parchi e spazi verdi, giovani, luoghi d’educazione, cucina rinomata, musei, energia positiva e edifici bellissimi. Difatti, venendo dal centro storico e andando verso il Paladozza, si passa per il Dipartamento di Filosofia e Comunicazione. Si respira un’aria di cultura ed anche di calma.

Bologna non ha bisogno di esibirsi come fanno altre città con un “branding”, comunicazioni stra-costose ad opera di esperti in marketing per vendere la loro immagine, per attirare turisti e investitori. Il capoluogo emiliano s’impone senza comunicati internazionali o arroganza: è un evidenza.

Il sole è alto e bello e la gioventù è tutta riversa in strada, restituendo un’impressione molto positiva e vivace. Faccio una bella passeggiata attraverso due parchi e la stupenda Cineteca. Dopo qualche centinaia di metri si arriva a destinazione, al Paladozza. Il tempio della pallacanestro cittadina è un edificio che meriterebbe di figurare nelle guide turistiche. Dall’esterno non è il più bel edificio della città, ma raccoglie tante di quelle emozioni che ne hanno fatto un luogo di culto. Prende il nome da Giuseppe Dozza, sindaco di Bologna dal 1945 al 1966. Dozza dedicò tutta la propria vita alla sua città di cui fu uno degli esponenti di spicco nel dopoguerra. Comunista, partecipò a Livorno alla fondazione del partito nel 1921, partigiano ed organizzatore della lotta armata nel capoluogo emiliano, fu poi uomo di dialogo con i cattolici. Si può dire che prese in mano la città e sviluppò il suo marchio di fabbrica con una gestione fortemente incentrata sulla partecipazione dei cittadini.

Proprio Dozza volle fortemente quel palazzo dello sport, che fu costruito tra il 1954 e il 1956 e che, per la sua inaugurazione, ospitò l’incontro internazionale fra Italia e Polonia. Il palazzo ha una capienza di 5.570 posti, è la sede della Virtus e della Fortitudo, anche se a fine anni novanta, le due squadre cittadine si sono trasferite nella vicina Casalecchio di Reno, con l’avvento del PalaMalaguti, che permetteva di accogliere un numero maggiore di spettatori, fino a 9.500, ma prima la Fortitudo, e adesso anche la Virtus, sono tornate a calcare il parquet dell’impianto storico nel centro di Bologna.

Per uno che arriva nei presi del Paladozza, non essendo familiare del basket, l’impressione è quella di andare allo stadio: gente ovunque con i colori sociali, bar presi d’assalto e cori che rimbombano nelle strade. Il popolo fortitudino resiste ai cliché e difatti c’è di tutto. L’unica cosa che accomuna non è l’eta, la fede politica, il ceto sociale, ma semplicemente una passione smodata per i colori biancoblu. Non a caso, che sia una maglietta, una sciarpa o un capellino, i colori della Fortitudo sono ovunque!

Dopo gara 3, dove Treviso ha avuto la meglio, stasera la partita è decisiva per passare il turno a discapito dei rivali veneti. Basta una vittoria e la squadra emiliana potrà strappare il biglietto per le semifinali dei playoff, il cui vincitore finale potrà salire alla tanto agognata Serie A1.

La partita è dunque molto sentita e c’è polizia. Alcuni mezzi bloccano le strade che danno accesso al settore ospiti, letteralmente blindato. L’antagonismo tra le due squadre è sportivo, prima di essere una rivalità ultras, ma comunque la gente gira e prova a intravedere in qualche modo i nemici odierni.

Raggiungo il lato opposto per guadagnare l’ingresso ma il mio l’accredito non c’è, fortuna che con un po’ di buona volontà e molta intelligenza la situazione si risolve e sono dentro il palazzetto. Il Paladozza, inaugurato nel 1956, ha una struttura piuttosto vecchia, ma il cui interno è perfetto per godersi la partita, sia da spettatore che da tifoso appassionato. All’interno non sembra mostrare affatto la fatica dei suoi 61 anni, che porta benissimo, risultando molto funzionale.

Subito mi avvio verso la mia sinistra, nel corridoio interno, per raggiungere il bellissimo banchetto vicino l’ingresso della Curva Schull che permette al tifoso fortitudino di sostenere le attività della Fossa o di comprarsi un pezzo di stoffa ricco di significato. Lo ammetto, sono un amante di questa scelta che consente a tutti di comprare il materiale del gruppo. Non lo dico solo da collezionista, ma anche da sognatore e amante dei ricordi. Ventuno anni fa, quando facevo i miei primi passi nell’universo ultras italiano, senza soldi in tasca, dovevo sacrificare qualcosa e risparmiare per portarmi anche solo un gadget a casa. Sciarpe o maglie che tuttora conservo, non sono solo testimonianza della mia presenza, ma il ricordo di una fumogenata, un coro, una situazione particolare e queste memorie sono in sé un piccolo tesoro.

Oggi la situazione è più facile: lavoro, ho soldi in tasca e non devo fare scelte impossibili tra non comprare questo per prendere quello. Adesivi, sciarpa e maglietta tutti di bellissima fattura andranno ad aggiungersi ad uno scatolone, ma fra alcune settimane, mesi o anni, guardarli anche solo per pochi secondi mi restituirà un’immagine di questa bellissima giornata. Non credo di essere l’unico a vederla in questo modo e posso anche notare come la Fossa sia un “concetto” ben radicato in tutto il pubblico di fede biancoblu, visto che nei distinti, in tribuna ed anche nella Curva Calori vedo materiale con il leone rosso stampato.

La partita sta per iniziare, entro con facilità sul campo di gioco: diversità abissale col calcio, dove anche in Lega Pro c’è sempre qualcuno a dettarti delle regole assurde… Davvero, il calcio ha tanto da imparare! Ovviamente non ci sono barriere e altre simili stupidità. Non si intravedono steward che dettano legge o poliziotti attorno all’area di gioco, ma ogni ultras, tifoso e spettatore conosce i limite e la fiducia, o il contratto morale tra il pubblico e la dirigenza è rispettato alla grande. Autogestione, buon senso ed intelligenza. Gli unici uomini delle forze dell’ordine che si fanno vedere, son quelli attorno al settore ospite, che rimane vuoto ancora per un po’ mentre alcuni personaggi in borghese, stazionano lì comunque più interessati a guardare il pubblico che la palla arancione…

Le squadre stanno per entrare sul parquet e decido di andare un po’ più in alto per riprendere la curva fortitudina da un’angolazione secondo me più bella. Nella pallacanestro ogni giocatore vieni chiamato singolarmente per uscire dal tunnel. Tutta la Curva Schull si accende e riserva un’accoglienza fatta di diti medi alzati per i giocatori trevigiani. Poi viene il turno dei giocatori della Fortitudo, accolti in maniera ovviamente più passionale. Segue il momento dell’inno di Mamel, cosa un po’ ridicola, non me ne vogliano gli amici italiani, ma proprio non ne capisco il motivo per una partita di campionato: un’ostentazione di un nazionalismo così becero, me l’aspetterei solo in paesi come la Turchia o l’America. Comunque la Fossa dei Leoni intona il suo coro in maniera molto più decisa e  sovrasta completamente l’inno nazionale.

È durante questi istanti che i 150 Trevigiani al seguito vengono fatti sistemare nel minuscolo settore ospite del palazzetto. Tensione con i loro vicini e in pochi secondi tutti i posti son presi. Il lanciacori sale sulla ringhiera e lo striscione è appeso al centro del settore. Subito offese a vicenda e comincia la partita del tifo. Tutto il palazzo riprende il coro offensivo lanciato dalla Fossa ai dirimpettai.

La partita inizia e ancora una volta si assiste ad uno show della Fossa. Il bello della Schull è che accoglie al suo interno un popolo molto diverso: donne di 75 anni, ragazzi, gente stra-tatuata che ha masticato per anni la militanza nel gruppo, giovani coppie, ultras di lungo corso affiancati da nuove leve, ma tutti uniti da questa pazza fede. Poi, l’Italia del XXI secolo è li, anche per quelli che non la vogliono vedere e non è solo bianca e cristiana, ma è variegata. Non dovrebbe esserci bisogno di specificarlo, perché è decisamente un’evidenza, una realtà, soprattutto a Bologna, dove trovano spazio avamposti di esperienze sociali, culturali e politiche che qua si notano e mi fa molto piacere. Non solo per una visione mia della società, ma perché il gruppo ultras, almeno a mio modo di vedere e mi scuso se ancora insisto su un parere molto soggettivo, ha sempre raccolto tutti e tutte. Non c’è ceto sociale, capitale culturale, abilità fisica o disabilità, provenienza o colore di pelle che possa dividere una curva: la gente si unisce in questi settori popolari con lo stesso bagaglio di cose in comune, ossia la voglia di aggregazione, la passione, la voglia di trasmetterla ai giocatori e di essere a loro volta protagonisti della partita.

La partita inizia e non c’è niente di particolare a livello coreografico, tranne tre bandieroni e alcuni stendardi nel settore della Fossa dei Leoni. La metà della gente è a torso nudo, l’altra con una maglietta blu scuro, secondo le indicazione della Fossa stessa per questi playoff: una scelta semplice ma d’impatto. Sembra davvero di avere un muro umano di fronte a me.

Accanto a loro, nel settore distinti, ci sono gli Unici, che raccolgono un centinaio di persone sotto il loro striscione e che tiferanno a tratti durante la partita. Nel settore che occupano, la gente ha anch’essa una maglia blu, mentre i restanti due settori sono in bianco, come indicava il volantino diffuso dalla Fossa che persino la società Fortitudo ha diffuso sul proprio sito. Il pubblico, nella sua stragrande maggioranza, segue le indicazione della Fossa ed è un piacere vedere questa sintonia nella tifoseria, cosa che manca tantissimo in diversi stadi.

Non conosco il basket e non lo capisco molto, ma provo ogni tanto a guardare la partita. Il bello di questo sport, secondo me, sono gli atleti. Altro che pseudo-dive del calcio che non meriterebbero la metà delle attenzioni della gente e dei media: qua non si scherza e soprattutto non ci sono discussioni stupide e scene da commedia dell’arte appena un giocatore si scontra con un altro. Il rispetto tra gli atleti è evidente, la concentrazione totale e gli scontri sempre duri, ma con rispetto dell’avversario. Comunque ci sono anche cose che non mi piacciono tanto, a cominciare da questa sopraffazione degli sponsor sulla squadra, tanto che la denominazione ufficiale è dello sponsor che dà più soldi, cioè Kontatto per la Fortitudo e De Longhi per Treviso. Invadente la presenza anche sulle maglie (bruttissime) e sul parquet, dove si possono intravedere tantissimi sponsor, persino sul canestro. Non vivo fuori dalla realtà e so che le squadre sportive hanno bisogno di soldi, ma c’è un limite a tutto: secondo me qui quasi si supera il calcio in negativo, e sappiamo benissimo tutti quanto ciò sia difficile.

I due primi quarti sono tesi, anche se la Fortitudo prende il sopravvento, ma restando a soli cinque punti di distacco. Il tifo è davvero bello e accattivante, sia dalla parte dei “Fioi della Sud”, che provano a farsi sentire in questa bolgia, sia per la “Fossa” che canta e lo fa bene, coinvolgendo anche tutto il palazzetto, in certi momenti, ma in altri ci sono alcuni fasi di calo: la partita è decisiva e lo vedo come un fatto positivo, perché qua si rispetta il ritmo emozionale della partita, ma sono attimi, poi il tifo riprende velocemente e alla grande.

La pausa tra il secondo e il terzo quarto tempo è decisamente più lunga e mi permette, con altri ragazzi che eviterò di nominare per non infangarne la reputazione, di andare al buffet VIP e riprendere un po’ di forza e di prosecco.

Il terzo tempo vede la Fortitudo prendere il largo sulla squadra ospite arrivando fino ad undici punti di distacco. La Fossa percepisce bene il momento e si assiste ad uno show sugli spalti: sciarpata, poi canti di alto livello, poi una “greca” (tutti indietro a saltare) ed infine movimenti ondeggianti delle braccia, davvero stupendi.

L’ultimo quarto, vede la Fortitudo dominare totalmente e vincere 80-63. E ovvio che i Trevigiani mollino un po’ la presa e a più intervalli domina il silenzio nel settore, ma verso la fine tirano fuori l’orgoglio e mettono in scena una sciarpata e un finale davvero bello.

La partita finisce, la “F” continuerà il suo cammino verso l’A1. Al fischio finale delle ostilità una parte del pubblico, giovani soprattutto, si riversa in campo, ma ci sono anche ultras più anziani che abbracciano commossi i giocatori. Per lunghi minuti gli atleti della Fortitudo rimangono sul parquet, uno in particolare, che scusatemi ma non saprà mai individuare, fa decine di selfie col pubblico: non sono un amante dei selfie in generale, simbolo della nostra epoca narcisistica e certe volte vuota di senso, ma queste scene mostrano una comunione molto bella tra tifosi e giocatori, allora penso che ci possa anche stare.

Gli altri protagonisti della partita, ossia la Fossa, non hanno finito e continuano a cantare con orgoglio e felicità. A questo punto, la polizia decide con le maniere brusche di fare partire i tifosi ospiti. L’approccio non è affatto bello visivamente: la Fossa non si lascia sfuggire la scena e intona slogan in merito contro con questa brutalità con cui sono stati trattati i rivali.

Hic sunt leones scrivevano i romani per indicare il pericolo, al di là dei confini conosciuti e per questo sicuri dell’impero. A Bologna credo che debba essere scritto sul Paladozza, sarebbe il minimo!

Lascio il palazzo, passeggiando in bella compagnia con gli amici con me presenti e testimoni, a modo loro, di quello che ho vissuto e che mi è sembrato volare in un attimo – e non parlo della nostra discesa al buffet – discutendo della bellissima serata attorno ad una bottiglia di vino locale. La vita per certi versi è molto facile e bella, e stasera abbiamo fatto il pieno di emozioni che ci permetteranno di dire che il popolo dei sognatori ha vinto ancora un’altra gara, forse sul campo, ma soprattutto sugli spalti.

Sebastien Louis.