È una giornata di metà gennaio. In tanti si lamentano per il freddo che da qualche settimana attanaglia l’Italia mentre io, personalmente, detesto molto di più la pioggia che proprio in questa domenica ha deciso di scendere dalla Campania in giù.

Mi basta varcare il confine marcato dal fiume Garigliano per sentire le prime gocce infrangersi sui vetri del treno. Il classico Regionale della domenica mattina brulica di vita. Con i tanti pendolari che ritornano dai lavori notturni a Roma e le famigliole che hanno deciso di passare una giornata fuori casa. Viaggiare su questi convogli non solo è un’immersione veritiera e stimolante di un’Italia sempre più lontana e dispregiata dagli indaffarati e frenetici abitanti delle metropoli, ma è una vera e propria esperienza formativa. E mancando ormai da tempo da Napoli, avendola sempre lambito sterzando poi per destinazioni limitrofe, ho deciso di arrivare con lauto anticipo per concedermi un giro in tutta tranquillità.

La pioggia non mi aiuta, ma pian piano si attenua concedendomi una lunga passeggiata tra i Quartieri Spagnoli, il Centro Storico e, infine, il Lungomare fino a Mergellina, da dove prenderò la metropolitana per lo stadio. Napoli è una città particolare, dalle mille sfaccettature e contraddizioni (tendenzialmente tutte le città di mare hanno un qualcosa di atipico per chi viene dall’entroterra). Nei vicoletti che si ramificano da Via Toledo si sente forte l’odore del pranzo, mentre qua e là si scorgono murales che raffigurano Maradona in maglia azzurra e scritte inneggianti agli azzurri o contro le rivali storiche. Verrebbe da dire che quasi ogni angolo della città rappresenti un inno al legame tra la stessa e la sua squadra di calcio. E questo da molte parti è scomparso, ma qua, dove la tradizione e il vanto di ciò che essa rappresenta sono spesso delle vere e proprie ossessioni per le persone, non si può far a meno di immergersi in un clima profondamente retrò.

A chi segue il calcio da qualche anno potrà anche sembrare strano, ma quella contro il Pescara è una rivalità storica. Due città di mare. Due città dal mare diverso. Tirreno contro Adriatico, non c’è soltanto una semplice partita in campo. Ci sono due popoli a confronto. Lo dico tante volte nei miei articoli, ma in questo caso è particolarmente importante per comprendere bene questa inimicizia. Cadremmo dal pero se dicessimo che al di fuori dei propri circondari, napoletani e pescaresi siano ben visti e ben voluti da tutti (ovviamente si parla di campanile, la vita reale con tutti i rapporti umani annessi e connessi sono ben altra cosa. Rilassatevi se vi state agitando, sic!). E poi c’è questa eterna battaglia tra Campania, Abruzzo e Puglia. Tutti rivali di tutti (o quasi). Un triangolo spesso pericoloso, che tuttavia ha offerto spunti e storie che oltre a perdersi negli anni sono state spesso fondamentali nella crescita delle tifoserie coinvolte.

Rimanendo sulla sfida in questione, bene o male tutti ricordiamo le ultime due volte in cui le opposte fazioni si sono “pizzicate”. Si tratta di due sfide del campionato cadetto: nel 2004 e nel 2006. Un’era geologica fa a pensarci ora. Cariche violente della polizia e lacrimogeni ad altezza uomo segnarono quelle due giornate. E se da un lato la veemenza delle tifoserie è drasticamente scesa, dall’altro alcuni modus operandi di chi è chiamato a gestire l’ordine pubblico, sono rimasti a dir poco invariati.

Proprio mentre le nuvole cominciano a rifarsi più livide, avvolgendo curiosamente il cono del Vesuvio (per l’occasione innevato) mi avvio alla stazione di Mergellina riuscendo a salire sull’affollatissima metro. A Campi Flegrei la solita, chiassosa, folla scende dal convoglio per incanalarsi verso Piazzale Tecchio. Sembra incredibile (con i parametri odierni) pensare che fino ad almeno vent’anni fa le tifoserie ospiti scendessero proprio qua per raggiungere l’impianto di Fuorigrotta. Ora succede l’esatto contrario: Napoli è la classica trasferta in cui le tifoserie vengono prelevate alla stazione centrale o al casello e portate prima in tour per autostrada e tangenziale e poi fatte entrare a partita iniziata. Fa ridere (per non piangere) pensare che in questi anni ci abbiano annacquato il cervello con la storia della sicurezza, spendendo milioni per tornelli, steward, videocamere e restyling degli stadi e poi non sappiano garantire l’ingresso in tempo a chi paga un regolare (e spesso esoso) biglietto del loro mangereccio circo.

Un circo che non produce certo spettacoli edificanti. Basti pensare alla gara di oggi: di fronte una formazione in piena lotta per le prime posizioni ma difficilmente per la testa (non me ne vogliano i tifosi azzurri), visto lo strapotere di una Juventus che probabilmente trionferà agevolmente anche quest’anno e una (non me ne vogliano neanche i supporter abruzzesi) con un piede in Serie B quando mancano quattro mesi al termine del campionato. Il tutto in un torneo a dir poco noioso, brutto, scarso e privo di mordente. Il fantasma della Serie A che fu e degli stadi che furono: sempre pieni, colorati e festanti.

E qua apro il capitolo biglietti: i prezzi applicati dal club per questo match sono a dir poco popolari (10 Euro le curve e 15 Euro i Distinti), forse per far da contraltare al listino imposto per la gara di Champions contro il Real Madrid (curve a 50 Euro). Eppure, per una volta, mi preme fare l’avvocato del Diavolo: se pagare 100.000 delle vecchie Lire un biglietto di curva è (almeno per me) impensabile anche avendo tale somma a disposizione, il Napoli è almeno solito “deprezzare” alcune gare di campionato. La polemica legata al caroprezzi nata a inizio campionato ha sicuramente sortito il proprio effetto, così come il pesante contenzioso tra Comune e società sulla gestione dello stadio, ma almeno a queste latitudini si è voluto fare un passo indietro. Da altre parti (vedi Roma, sponda giallorossa) un settore parificabile a quello dei Distinti (quindi la Tribuna Tevere) si può pagare anche un minimo di 40 Euro anche in occasione di partite non di cartello. Colpa delle società, sia chiaro, ma anche dei tifosi che con il passare del tempo hanno somatizzato tutto questo. Ciò detto è lapalissiano che De Laurentiis non corrisponda al mio modo di vedere e fare calcio, ma mi sento altrettanto certo di dire che quasi nessun presidente di Serie A possa rappresentare questa figura.

Superati i controlli di rito assisto subito a una scena divenuta ormai classica negli stadi italiani: un signore sulla cinquantina, con il figlio per mano, inveisce contro uno dei capi steward, il quale dopo avergli requisito i biglietti lo sta conducendo senza rispondere dagli agenti di polizia. Non posso giudicare, non sapendo il motivo di tale scelta, però prendo spunto da questa situazione per fare una domanda che mi pongo da tanto tempo: a cosa serve realmente la figura degli steward? Lo chiedo per esperienza personale. Quasi sempre questi ragazzetti buttati “nella mischia” con una pettorina addosso, sono totalmente impreparati alla più innocua delle situazioni. Difficilmente riescono ad aiutare gli spettatori e, anzi, peggiorano spesso le situazioni di criticità, avendo davvero scarso accesso al buon senso (concetto ormai totalmente bandito dagli stadi italiani). Così spesso finisce con l’interlocutore che dà in escandescenze (e non parliamo di ultras, spesso e volentieri ho assistito a furibonde litigate tra attempati signori della tribuna e steward che, in maniera a dir poco ottusa, alla criticità “x” rispondevano semplicemente con una sequela di divieti e prescrizioni degna del miglior Alcatraz). Gli esempi che potrei fare sono migliaia, sperimentati sulla mia pelle sia nel ruolo di tifoso che in quello di giornalista. Salvo rare eccezioni, di personale preparato, la domanda resta la stessa: a cosa servono?

Una volta individuato il mio posto, che fortunatamente posso scegliere in maniera casuale, do un’occhiata a 360° al San Paolo. Saprò a posteriori che il numero esatto dei paganti si attesta attorno ai 32.000, sicuramente non cifre da capogiro considerata la classifica dei partenopei e i prezzi dei tagliandi. È indubbio che, anche a queste latitudini, il pubblico abbia avuto quell’inversione di tendenza registrata in tutto il Paese (del resto se metti un divieto oggi, una restrizione domani, un controllo in più dopodomani e partite con un interesse calcistico pari allo zero ad ogni orario del giorno e della notte, non puoi pretendere il contrario) e in più le condizioni climatiche (sebbene sia solito lasciare Giove Pluvio all’ultimo posto delle motivazioni per non andare allo stadio) non hanno favorito l’afflusso massiccio di quel tifoso medio ormai attratto più dallo show business calcistico (Napoli-Real Madrid docet) che dal “senso di dovere” di seguire il proprio club a prescindere da chi sia l’avversario.

“A prescindere” deve esser stato sicuramente il leitmotiv che ha condotto i 320 tifosi del Pescara (dati ufficiali) ad affrontare la trasferta alle pendici del Vesuvio. Con una squadra sempre più impantanata sul fondo della classifica e l’ennesima apparizione fugace in Serie A che si materializza man mano, è soltanto il senso di appartenenza a poter guidare i sostenitori del Delfino. Se ci fermiamo a giudicare soltanto i numeri dobbiamo dire che trecentoventi non è certo una cifra altisonante, ma se la stessa si contestualizza credo che il giudizio debba cambiare radicalmente. Posto che, come detto poco fa, siamo nell’era in cui un Ministro dell’Interno, qualche anno fa, ci ha imposto una tessera parlando di fidelizzazione ma, de facto, è stato l’ultimo passo (il più consistente) verso lo svuotamento degli stadi e la “sfidelizzazione” di gran parte del pubblico “da tribuna” e in parte anche delle curve. Pertanto oggi è pressoché impossibile pensare che il tifoso medio pescarese affronti la trasferta di Napoli, che già di suo prevede una fisiologica scrematura, essendo percepita come tra le più “calde” del campionato.

Quando le squadre fanno il loro ingresso in campo i tifosi ospiti, come da copione, ancora non sono entrati. A dire il vero quest’oggi lo faranno abbastanza presto. Nel frattempo le due curve del Napoli cominciano a incitare la squadra. Non è facile giudicare la loro prestazione. Perché su essa gravano, evidentemente e almeno in parte, le scelte controverse e non condivise da tutti avvenute questa estate, in relazione alla tessera del tifoso. Faccende su cui non posso (e non sarei in grado, non vivendo appieno la realtà napoletana) metter bocca, ma che devo giocoforza considerare per giudicare l’andamento delle cose.

La Curva A, dopo i profondi cambiamenti di cui sopra, appare molto diversa dal recente passato. Non ci sono striscioni né drappi, ma solo un gigantesco bandierone blu, bianco e azzurro che avvolge tutta la balaustra, oltre qualche bandierone sparso per il settore. Il tifo occupa principalmente il blocco centrale e ricalca il classico repertorio di un settore che (può piacere o meno) ha rappresentato storicamente un vero e proprio spartiacque nella Napoli ultras.

Dall’altra parte, la Curva B fa sfoggio di un numero maggiore di bandiere e bandieroni, impostando il tifo in maniera più “classica”, anche grazie all’aiuto del tamburo. Due stili sostanzialmente diversi, che complessivamente producono una prestazione continua, ma spesso poco intensa e difficilmente in grado di coinvolgere gli interi settori popolari (salvo nei minuti che seguono i gol e nella parte finale del match, quando la B tira fuori i suoi cavalli di battaglia: “Un Giorno all’improvviso” e “Siamo figli del Vesuvio” che si trascinando dietro buona parte dello stadio). Questo va detto al netto delle potenzialità comprovate e viste con i miei occhi di uno stadio in grado di mettere letteralmente paura a squadre e tifosi avversari. È un po’ quello che succede ormai in tutte le grandi curve italiane, detto che quelle del San Paolo sono sicuramente più grandi della media e di conseguenza più difficili da gestire.

Come detto i pescaresi fanno il loro ingresso pochi minuti dopo il calcio d’inizio, sistemandosi nell’anello inferiore e reggendo in mano i propri drappi (tra cui spicca quello dei gemellati vicentini). Al loro ingresso sono diverse le scaramucce verbali con il pubblico di casa, scandite da vicendevoli “attestati di stima”. Gli ultras abruzzesi si dispongono in maniera compatta e danno sfoggio a tutto il proprio repertorio, realizzando una bella performance nonostante l’ennesima, scialba prova della propria squadra. Sbandierata iniziale, tante manate, una bella sciarpata nella prima frazione e un tifo costante per onorare una presenza importante più per l’orgoglio che per il fattore sportivo.

In campo infatti non c’è storia. Dopo un primo tempo che vede il Napoli sbattere sul muro difensivo del Pescara, i partenopei si sbloccano nella ripresa e calano il tris con Tonelli, Hamsik e Mertens. Il rigore realizzato da Caprari al 93′ serve soltanto alle statistiche, sempre più invise al club abruzzese quest’anno.

È ricominciato a piovere intensamente e in maniera alquanto fastidiosa. Decido di rifugiarmi dentro la stazione della Cumana, prendendo il treno per Montesanto e da là, la metro per la stazione centrale. È giunto il momento di tornare a casa e sta terminando una giornata ricca di spunti e nel suo piccolo molto interessante. La Serie A resta un mondo in netta decadenza, ma quel poco che rimane e non ho ancora visto (vedi sfide e rivalità storiche come questa) voglio viverlo per non avere rimpianti e poterne raccontare almeno una piccola parte.

Alle 18,34 il mio Intercity lascia Napoli Centrale sotto la pioggia battente. È calato anche il buio e il cielo di tanto in tanto si illumina con il bagliore dei fulmini. Non mi resta che pensare a come impostare il pezzo e salvare nella mia mente i frammenti più importanti di questa domenica.

Simone Meloni.