Poi che portar nol posso in tutte et quattro

parti del mondo, udrallo il bel paese

ch’Appennin parte, e ’l mar circonda et l’Alpe.”

Nel sonetto CXLVI dei Rerum vulgarium fragmenta, Petrarca afferma l’impossibilità che i propri versi ˗ e, quindi, il nome stesso di Laura ˗ potranno raggiungere i confini estremi del mondo: l’aretino è consapevole che la parola poetica da lui espressa avrà come insuperabile confine di diffusione la Penisola italica; quel territorio che ˗ come si legge nell’ultimo dei tre versi sopra citati ˗ è circondato dal mare e dalle Alpi, ed è diviso in due parti ˗ in quasi tutta la sua lunghezza ˗ dagli Appennini.

Ripenso proprio a questi versi quando, il venerdì precedente alla finale di ritorno dei playoff nazionali di Eccellenza tra il Francavilla e il Fabriano Cerreto, pianifico il viaggio per raggiungere la cittadina abruzzese. Abitando sulla costa tirrenica del Lazio meridionale, il litorale adriatico ha sempre rappresentato, per me, un mondo altro. Certo, essendo cresciuto sul mare, se in una cittadina posso passeggiare su un lungomare o visitare un porto, mi sento automaticamente un po’ più a casa, anche a tanti chilometri di distanza; tuttavia, l’altra sponda della Penisola, inconsciamente, mi è sempre apparsa un pianeta non dico estraneo, comunque sicuramente diverso.

Un’ulteriore considerazione, poi ˗ mentre sono sempre seduto sulla scrivania davanti al PC alla ricerca di mezzi pubblici ˗ mi induce a riflettere: notando la scarsezza di pullman e treni per raggiungere la costa opposta alla mia, mi meraviglio come gli Appennini possano ancora e ostinatamente costituire una vera e propria barriera: lo sono nel nostro tempo nonostante la diffusione delle ferrovie e delle strade; figurarsi nei secoli passati, quando ci si spostava a piedi o al massimo su una carrozza trainata dai cavalli (possibilità, questa, riservata solo ai facoltosi, tra l’altro). Insomma, spesso in Italia si parla di divario Nord / Sud; a mio avviso, però, non bisogna dimenticare quello, non tanto culturale ma soprattutto logistico, tra l’Est e l’Ovest, due realtà che hanno avuto per secoli contatti reciproci minimi.

Ho scritto questo preambolo per giustificare l’alzataccia a cui sono costretto per assistere a novanta minuti di calcio: sono le 6:00, quando la sveglia suona indifferente al mio bisogno di dormire. Avendo sistemato tutta l’attrezzatura nella serata precedente, impiego poco tempo per mettermi in macchina e partire. La prima tappa è Avezzano, distante due ore circa da casa mia (in alternativa, avrei potuto raggiungere Roma, ma la mia idiosincrasia verso la stazione Termini ˗ dovuta alla mia fobia per i luoghi particolarmente affollati ˗ mi consiglia di raggiungere il tranquillo centro marsicano). Sono le ore 8:45 circa, quando parcheggio la macchina nei pressi della stazione degli autobus; giusto il tempo di mangiare un cornetto che sulla banchina si presenta il torpedone diretto a Pescara: inizia il viaggio verso l’Adriatico.

Mentre gli altri passeggeri dormono o leggono o ascoltano musica indifferenti al paesaggio, io mi godo gli scenari mozzafiato che si aprono ai miei occhi: rocche medievali abbandonate, floridi pascoli, una natura rigogliosa e verdeggiante, paesi collocati su cime impervie, montagne dalle vette elevatissime, alcune delle quali addirittura ancora innevate. Poi, superato l’ostacolo appenninico, il terreno si addolcisce formando graziose e sinuose colline, che anticipano la pianura retrostante Pescara, solcata dal fiume omonimo. Ovviamente, gli scenari incontaminati lasciano spazio alle fabbriche ed ai capannoni di una delle aree più densamente abitate e industrializzate d’Italia.

Dopo aver attraversato Chieti Scalo (passando dalle parti dello stadio), in breve tempo il mezzo raggiunge la stazione ferroviaria di Pescara. Sono le 12:00, mentre la partita è fissata alle 16:30: ho dunque la possibilità di visitare il centro che diede i natali a D’Annunzio. Mi concedo una passeggiata sul lungomare, percorro il magnifico ponte pedonale sul porto ˗ canale e visito la casa in cui nacque il poeta; quindi, da buon “partitellaro”, affronto una lunga camminata circondato dall’afa per raggiungere lo stadio “Adriatico”, di cui fotografo praticamente ogni angolo (scritte sui muri e adesivi compresi).

Compiuti i giri in agenda, mi reco a fare un bagno in una spiaggia libera del centro (eh sì, da persona cresciuta sul mare, non potevo non portarmi dietro infradito, telo e costume); poi, ingurgitata una pizzetta, intorno alle 14:30 raggiungo la stazione centrale, dove conosco alcuni ragazzi di Trani saliti anche loro in Abruzzo per la sfida del “Valle Anzuca”. Tra una parola e l’altra sugli ultras e sul calcio, prendiamo il treno delle 15:10 diretto a Termoli, che ci lascia a Francavilla dopo una decina di minuti. Scesi dal convoglio, percorriamo qualche metro a piedi, prima di trovarci alla rotatoria nei pressi dello stadio, da dove osserviamo il corteo dei tifosi francavillesi diretti all’impianto.

A questo punto, le nostre strade si dividono: gli altri componenti della brigata si sistemano nella tribuna, mentre io mi dirigo verso gli spogliatoi. Devo dire che l’area riservata ai calciatori è davvero ben curata nei dettagli: bellissime le vecchie maglie del Francavilla appese sui muri, così come i pannelli che illustrano i momenti più importanti della storia di questo blasonato sodalizio, che ha affrontato a lungo la Serie C (con l’acme rappresentata dalla sfida a San Siro contro l’Inter nel primo turno della Coppa Italia ’84 ˗ ’85).

Mentre osservo estasiato le vecchie immagini, giunge il momento di mettere piede sul manto verde: qui mi si apre la vista completa di uno stadio che non ho mai ammirato dal vivo prima di questa afosa domenica, ma che mi ha sempre affascinato per la sua particolare collocazione, posto com’è nel mezzo, praticamente, di un bosco; le gradinate, poi, mostrano tutte le caratteristiche apprezzate da noi “amanti” del vecchio calcio: in cemento, vetuste e trasudanti storia.

Mentre le squadre stanno ultimando il riscaldamento, in Curva Sud si nota un certo movimento: per il Francavilla è un momento importante, che potrebbe rappresentare il ritorno in una categoria nazionale dopo innumerevoli anni; è evidente che gli ultras stanno preparando una coreografia per accompagnare al meglio questo evento. Dopo un paio di battimani e un discorso del corista che carica tutti i presenti, con l’ingresso in campo delle squadre prende avvio lo spettacolo: prima sono esposti dei cartoncini giallorossi, poi vengono accesi numerosi fumogeni che durano per più di cinque minuti: l’effetto è davvero affascinante, il fumo copre completamente la curva e si infila tra gli alberi della collinetta adiacente prima di salire al cielo. Credo che, più delle parole, parlino in questo caso le foto.

Nel frattempo, nella tribuna coperta ˗ praticamente quasi gremita ˗ fanno capolino alcune bandierine con i colori della squadra. Tornando in curva, svanita la coltre, ricompaiono per breve tempo i cartoncini; uno striscione accompagna la scenografia: “Non c’è cosa più bella di te… non c’è nessuno che ti ami più di me”, sotto il quale sono disposte le varie pezze. Poi, iniziata la gara in campo, prende il via anche quella sugli spalti.

I francavillesi, accompagnati dai ragazzi di Vasto, appaiono davvero carichi in questa prima parte: i battimani risultano potenti, mentre lo zoccolo duro del tifo organizzato riesce a coinvolgere i numerosi presenti. Per la seconda volta in questa stagione osservo dal vivo i francavillesi: l’altra fu a Capistrello, nella prima giornata di campionato; nonostante i tanti anni bui vissuti in categorie regionali e la schiacciante vicinanza di Pescara, il nucleo ultras giallorosso ha comunque garantito costantemente il proprio sostegno alla maglia. Diversi cori risultano originali, mentre non mancano alcuni “pensieri” rivolti ai loro rivali teatini. Bandieroni di ottima fattura e qualche luminaria accompagnano l’apporto vocale.

A favorire la prestazione degli adriatici è l’andamento della sfida sul campo: dopo lo 0 ˗ 0 dell’andata in terra marchigiana, il Francavilla passa subito in vantaggio, sfiorando il raddoppio in diverse occasioni. Il popolo abruzzese si infiamma, ma il calcio, si sa, riserva sempre sorprese dietro l’angolo: prima dello scadere, il Fabriano Cerreto trova il pareggio che varrebbe la promozione dei marchigiani in quarta serie (ricordo che questa squadra, dal colore biancorossonero, è il frutto della fusione tra il Fabriano ed il Cerreto d’Esi).

La Curva Sud non si lascia tramortire dal brutto colpo, visto che il tifo prosegue sulla stessa linea di quello dei primi 45’. Diverso è il discorso per quanto riguarda la ripresa: i marchigiani entrano in campo con l’intenzione di difendere il risultato e arroccarsi in difesa, mentre i padroni di casa, nonostante i numerosi attacchi, non trovano la rete del vantaggio. La tensione, mista alla delusione che cresce sempre più contestualmente allo scorrere del cronometro, si insinua fisiologicamente anche tra i ragazzi della curva, che vedono il sogno svanire a poco a poco; il tifo comunque non cessa, con il tamburo che continua a battere, ma la continuità è minore che nel primo tempo. Noto, tra l’altro, che diversi tifosi (non ultras, ovviamente) lasciano la Sud per seguire più da vicino gli attacchi della squadra di casa dalla curva opposta.

Al triplice fischio, non c’è più nulla da fare per il Francavilla: il Fabriano, dopo 28 anni, ritorna nella massima categoria dilettantistica, festeggiando sotto al settore dei propri tifosi (a proposito: da Fabriano sono scesi in Abruzzo diversi appassionati che assistono alla gara seduti dietro un bandierone affisso sulla recinzione, sventolando ogni tanto una bandierina e intonando qualche “Fabriano! Fabriano!” a fine gara e nulla più).

Da sottolineare la sportività del popolo francavillese, che applaude gli avversari e i propri calciatori. Per il Francavilla, si chiude una stagione davvero particolare: per tutto il girone d’andata ha primeggiato; poi, dopo l’esonero di mister Montani, si è verificato il crollo, tanto che gli adriatici si sono visti soffiare il primo posto dal Nerostellati Pratola (compagine di Pratola Peligna); quindi si è registrato il richiamo di Montani, che ha traghettato la squadra nei playoff, eliminando l’Angelana in semifinale e affrontando in finale il Fabriano Cerreto. Anche se non sono addentrato ˗ ovviamente ˗ nelle vicende della spogliatoio giallorosso, mi sento di affermare che probabilmente l’esonero del tecnico a metà anno sia stato davvero deleterio e decisivo.

Terminata la partita, incontro nuovamente i ragazzi di Trani, con i quali, dopo una mangiata di arrosticini, mi reco sul lungomare per una passeggiata. Procedo con calma: al ritorno, infatti, posso usufruire del passaggio di un ragazzo diretto a Roma. Così, quando sono le venti circa, lascio i “partitellari” pugliesi per prendere la strada del ritorno: percorriamo di nuovo l’A25 dopo un breve tratto di A14; quindi, usciti ad Avezzano, vengo “scaricato” nei pressi dell’automobile. Il mio amico prosegue verso la Capitale, mentre io mi dirigo a Sora, poi da lì raggiungo la costa tirrenica intorno alla mezzanotte. Torno a casa stanco ma felice. Dopo aver girato per l’Italia centrale da settembre, giunge per me il momento del riposo dalle “partitelle”: ho voluto congedarmi temporaneamente dalle tifocronache con un resoconto “alla Simone”: sì, proprio lui, colui che mi ha fatto innamorare di Sport People grazie ai racconti dei suoi viaggi calcistici!

Andrea Calabrese.