Una fastidiosissima pioggia di inglese memoria sembra non volersi allontanare dal Lazio, neanche in questo sabato che teoricamente dovrebbe far da proscenio all’ingresso della primavera. Giove Pluvio non solo si diverte a confermare quanto marzo sia un mese “pazzo”, ma chiama a rinforzo anche l’immancabile Eolo.

Torno a Frosinone a distanza di qualche mese, per quella che da queste parti è considerata una delle sfide più sentite, vertendo sul sempre infuocato asse laziale/campano. Ospite è nientepopodimeno che la Salernitana, reduce dalla vittoria nel derby contro l’Avellino. Un successo che ha chiaramente fomentato l’ambiente, favorendo una massiccia presenza nel settore ospite dello stadio ciociaro. Sono infatti un migliaio i biglietti venduti in riva al Tirreno.

Ammetto che da quando il vecchio Matusa non è più teatro delle partite dei giallazzurri mi trovo sempre un po’ spaesato nel connettere alcuni aspetti di questa “nuova era”. Il fatto di scendere dal pullman e non arrivare più alla rotatoria di Via Aldo Moro o il non sentirsi più stretto in quei vicoletti creati dai palazzi che sovrastavano lo storico impianto di Via Marittima, e che davano a tutto il contesto un’aria immutata rispetto al calcio che tutti noi amiamo e idolatriamo vedendo foto sbiadite o ingiallite, mi lascia come in una situazione di “giudizio sospeso”.

Tuttavia non è mia intenzione tediare i lettori con l’inutile retorica su quanto “fosse bello prima” e su quanto la modernità tolga davvero tanto a uno sport come il calcio, che di tradizioni e passato si ciba letteralmente. Bisogna fare i conti con i tempi che passano e – anche se non ci piace e non lo accettiamo – giudicare con lucidità e obiettività le situazioni.

Il Frosinone veleggia nelle prime posizioni della classifica ed è lanciato verso un finale di stagione che vedrà certamente una lotta a tre per conquistare le prime due piazze, sinonimo di promozione diretta. All’ombra del Campanile la cocente sconfitte rimediata ai playoff con il Carpi, lo scorso anno, è ancora un ricordo vivo e un po’ tutti vogliono evitare di sfidare nuovamente la sorte allungando pericolosamente la stagione.

Se da una parte c’è un club – quello laziale – che della programmazione e della lungimiranza ha fatto i propri cavalli di battaglia negli ultimi anni, dall’altro c’è una Salernitana che sembra navigare in una mediocrità annunciata e voluta dal suo ritorno tra i cadetti. Senza obiettivi e senza alcuno stimolo per una tifoseria che, oggettivamente, meriterebbe almeno di sognare traguardi importanti invece di ritrovarsi spesso vittima di sproloqui e offese gratuite da parte del suo presidente.

Con la pioggia che si fa sempre più fitta non mi resta che ritirare l’accredito ed entrare nella pancia del Benito Stirpe. Come sempre i controlli sono meticolosi e – consentitemi – inutilmente ripetitivi. Qualcuno un giorno mi dovrà spiegare, infatti, a cosa serve controllare per ben due volte, a pochi metri di distanza, biglietto e documento. Soprattutto in un’epoca in cui gli scavalchi, le entrate di massa e i tifosi senza tagliando sono praticamente prossimi allo zero. Evidentemente fa parte di tutto quel baraccone che vorrebbe dare a questo Paese la parvenza e l’illusione di esser “finalmente civili come l’Inghilterra”.

Gli spalti registrano un ottimo colpo d’occhio, così come il settore ospiti, che però si presenta senza pezze, fatta eccezione per lo striscione affisso nella parte alta, sui cui campeggi la scritta “A denti stretti”. Su fronte casalingo si intuisce che ci sarà una coreografia, mentre sin da subito le due fazioni si punzecchiano a suon di insulti e cori ostili.

I salernitani, come accennato, viaggiano sulle ali dell’entusiasmo e si mostrano subito in palla, mettendosi in mostra con battimani e un bel fermento che contagia tutti i presenti.

Prima che le due squadre facciano il proprio ingresso in campo, la Nord si esibisce nella classica sciarpata sulle note dell’inno. Qualche minuto dopo è invece il momento della scenografia. Tantissimi cartoncini gialli e azzurri si levano al cielo per formare la scritta “Ciociari”. Benché l’idea viaggi sulla falsariga di tanti striscioni o coreografie degli ultimi anni, indirizzate a creare sempre più un senso di appartenenza del ciociaro alla squadra del suo capoluogo, la riuscita, sinceramente, non è delle migliori. Troppi cartoncini vengono alzati in maniera scomposta, dando un effetto frastagliato alla scritta.

Un peccato, perché con più accortezza lo spettacolo sarebbe stato senza dubbio molto bello.

Da segnalare, sempre in Curva Nord, l’accensione di diversi fumogeni con i colori sociali nella parte centrale e la piccola coreografia in zona Uber Alles e Vecchio Leone, con il bandierone stile Subbuteo usato da mini copricurva e “accerchiato” da tante bandierine e bandiere.

Gli ultras ciociari offrono un primo tempo discreto a livello di tifo, sicuramente molto meglio delle ultime volte che li avevo visti all’opera tra le mura amiche. Nel secondo tempo il sostengo cala di intensità, riscontrando le solite difficoltà nel fomentare e coordinare un settore veramente grande. A tal proposito credo, anzi ne sono fermamente convinto, che lo stadio giochi un suo ruolo fondamentale, non essendo ancora percepito realmente come quell’arma in più, in grado di regalare punti e dolori agli avversari. Cosa che invece faceva del Matusa un vero fortino, con settori come i Distinti che divenivano a volte addirittura più ostili della curva.

Su fronte salernitano, come accennato in precedenza, la prestazione è notevole. Un grande primo tempo e una ripresa con qualche calo di intensità ma non di continuità. Canti eseguiti saltando, una sciarpata, cori a rispondere e tanti diverbi con i tifosi “normali” della vicina curva. La Sud è senza dubbio tornata in ottima forma al di fuori delle mura amiche, giovando probabilmente delle molte trasferte senza tessera che hanno permesso all’intero contingente ultras granata di seguire la propria squadra.

In campo la partita non si sblocca e alla fine le squadre rientrano negli spogliatoi con un punto a testa. Risultato che va bene agli ospiti mentre lascia l’amaro in bocca ai giallazzurri.

All’uscita solito imponente schieramento di forze dell’ordine e Via dei Monti Lepini (arteria di vitale importanza per Frosinone, da cui si raggiunge l’imbocco autostradale nonché la parte costiera del Lazio) totalmente bloccata almeno per un’ora. Ne fa le spese anche il mio pullman, che rimane incastrato nel traffico circa 40 minuti. Diciamo che su questo aspetto si deve lavorare e non poco, soprattutto se si pensa che una delle “colpe” imputate al vecchio stadio era proprio quella di congestionare la città prima e dopo gli incontri.

Simone Meloni