“Il 27% degli abbonati in Curva Sud ha precedenti penali”. Parola di Franco Gabrielli, ex Prefetto di Roma e attuale capo della Polizia che proprio ieri, in Commissione Antimafia, ha snocciolato questi dati parlando delle infiltrazioni malavitose all’interno delle curve, con particolare riferimento alla vicenda di Raffaello Bucci, storico leader della tifoseria juventina morto suicida lo scorso anno.

Questo è quanto si è appreso leggendo i giornali di ieri, sebbene qualcuno abbia sollevato il legittimo dubbio se queste dichiarazioni fossero veramente rivolte alla Sud romana oppure – per un errore di divulgazione giornalistica – il riferimento fosse per l’appunto a quella juventina, oggetto di discussione della Commissione Antimafia. E conoscendo la proverbiale imprecisione di talune testate – nonché la vera e propria ignoranza in materia di molti giornalisti – la cosa non sarebbe del tutto sorprendente.

Di sicuro Gabrielli ha poi menzionato la realtà capitolina, tornando sulla questione “barriere”, di cui assieme all’ex Questore di Roma D’Angelo è stato principale fautore, per sottolineare di avere ricevuto un numero di minacce di morte e di intimidazioni non paragonabile, per eccesso, a quanto patito in occasione di inchieste su mafia e terrorismo.

Un attacco – l’ennesimo – del tutto gratuito alla tifoseria romanista e al mondo delle curve in generale, foraggiato da dati di dubbia provenienza. Il capo della polizia non ha infatti specificato da dove emerga la suddetta percentuale. “Mi piacerebbe sapere – si chiede l’Avv. Lorenzo Contucci sul suo profilo Facebook – come fa l’ex Prefetto Gabrielli a dire che in Curva Sud ci sono il 27% delle persone pregiudicate (vale a dire circa una su tre). Forse hanno chiesto al Tribunale i certificati penali di più di ottomila persone, verificando persona per persona? E perché avrebbero dovuto farlo? Forse in Commissione Antimafia ci vorrebbe un avvocato che fa qualche domanda…”.

Affermazioni che ovviamente nessun organo di informazione ha provato a contraddire o analizzare. Un po’ come quando, sempre Gabrielli, giustificò l’erezione delle barriere con gli ormai celeberrimi “4.000 scavalcamenti a partita”.

A prescindere da chi si il riferimento di questa percentuale, resta comunque una domanda: anche fosse vera dov’è il problema? Esiste una legge che vieta a un pregiudicato (non a un diffidato) di varcare la soglia di uno stadio? Mi sembra – ma potrei sbagliare – che l’Italia abbia dei centri appositi dove recludere e rieducare chi commette qualsivoglia reato. E c’è la possibilità di punire chi trasgredisce la legge. Ma una volta che ciò è avvenuto, perché entrare allo stadio sarebbe un problema? Vorrebbe dire che la nostra società inibisce dalla vita quotidiana chi ha commesso un errore (e lo ha pagato) e se così fosse tale regola dovrebbe essere applicata a qualsiasi luogo pubblico: bar, teatri, ristoranti.

Altra domanda: da dove provengono questi dati? Gabrielli ha esaminato il casellario giudiziario di quasi diecimila persone? Oppure dobbiamo prendere ad esempio sempre la vicenda degli scavalcamenti per trarne le dovute conclusioni sulla loro attendibilità?

L’impressione invece è che si continui il tiro al bersaglio contro una comunità che ha avuto l’unica colpa di fare la voce grossa – restando nei canoni di civiltà – allorquando la mannaia della repressione si è fatta sempre più tagliente e oppressiva. Una continua diffamazione portata avanti con ogni mezzo: stampa, giornali, televisioni. Vera e propria propaganda.

Un’altra dimostrazione è data sicuramente dalla discutibile “inchiesta” portata avanti da certi giornali sulla contestazione scaturita al termine dell’eliminazione in Europa League patita dai giallorossi ad opera della Fiorentina, nella stagione 2014/2015. Discutibile nei tempi e nei modi (per la forma ognuno sceglie la sua). Una serata su cui è stato aperto un fascicolo e che di tanto in tanto viene ritirata fuori dalla stampa di regime con il suo classico modo di fare: generalista e omnicomprensivo. L’obiettivo non sembra tanto quello di informare il lettore sull’evolversi della situazione, quanto quello di gettare discredito sul tifo organizzato tutto. Senza contestualizzare o analizzare la situazione con maggiore accuratezza.

Forse la verità è che essendo ormai in Italia ufficiosamente vietato esprimere il proprio dissenso o manifestare malcontento, chiunque si renda protagonista di ciò, va condannato a una perpetua damnatio memoriae. Brucia, dà palesemente fastidio, che i curvaioli – quelli da sempre etichettati come beceri e perdigiorno – abbiano saputo prendere in mano le redini di una protesta che è andata ben oltre i limitati canali ultras.

Dà evidentemente noia sapere che nel 2017 ci siano persone (soprattutto tifosi) che riescono ancora ad azionare il proprio cervello per operare delle scelte.

E così resta in piedi quel meccanismo diffamatorio nei confronti delle curve, con particolare focus sulla Sud di Roma, che determinati personaggi nominano probabilmente anche nel sonno.

In ultima istanza non può mancare un cenno alla ridicola faccenda dei manichini e dello striscione esposti dai laziali ieri sera nei pressi del Colosseo per sfottere i romanisti. Sono bastate tre/quattro foto e una condivisione “indirizzata” per travisare il tutto e far partire immediatamente il processo contro la Curva Sud: “Macabra contestazione”, “incivili” e via dicendo. Fino ad arrivare alle dichiarazioni del Codacons quest’oggi, con il presidente Rienzi che invoca le porte chiuse all’Olimpico da qui a fine stagione “dato che questi teppisti rovinano l’immagine di Roma in Italia e nel mondo”.

Posto che si tratta di sfottò e non di minacce (fosse stato davvero esposto dai romanisti il senso sarebbe sicuramente stato differente) ci si chiede come mai queste levate di scudi non si siano concretizzate in tutti questi anni dove Roma è stata letteralmente massacrata dall’incuria e da gestioni para mafiose (ci sono intercettazioni e procedimenti penali a dirlo)?

Ah, dimenticavo. Essendo l’immagine della città rovinata dagli ultras, il primo pensiero era – per l’appunto – arginarli a suon di barriere, multe e leggi speciali. Bene così.

Simone Meloni