Il mio Intercity Notte arriva alla stazione di Formia quando il sole deve ancora sorgere. Sono le cinque del mattino e sulla strada del ritorno da Catanzaro (dove ho avuto la fortuna di assistere alla sfida tra i locali e l’Avellino) decido bene di fermarmi in riva al Golfo: alle 11 il Gaeta ospiterà il Sora, in quella che potrebbe essere la sfida decisiva per la promozione in D dei bianconeri.
Certo, direte voi, mancano cinque ore ed è praticamente ancora notte. Nessun problema. Innanzitutto aspetto la partenza del primo pullman che collega Formia a Gaeta (in attesa che qualcuno giustifichi gli oltre sei milioni spesi, finora a vuoto, per riattivare la vecchia linea ferroviaria dismessa negli anni ottanta) e poi, una volta raggiunta la meta, mi godo l’alba che riflette sulle calme acque del Tirreno. Per non rimanere in attesa passiva ho portato con me un bel paio di scarpe da trekking, in modo da visitare prima il borgo cittadino e poi concedermi una bella escursione sul prospicente Monte Orlando, con panorama finale mozzafiato offerto dalla falesia della Montagna Spaccata. Niente male, in una sola mattinata ho unito sport, partitelle, turismo e pure una discreta degustazione culinaria, se ci mettiamo il pezzo di tiella gaetana (cipolla e baccalà, per tenersi leggeri) e il bicchiere di rosso presi poco prima di avviarmi verso lo stadio. Giusto in orario da colazione insomma (per quelli che la domenica dormono!)
Finita la breve parentesi sulle mie follie domenicali, posso passare al racconto di questa giornata a suo modo storica per il calcio sorano. Si gioca allo stadio Antonio Riciniello, situato proprio sul lungomare di Serapo (la spiaggia cittadina). Un impianto che già da fuori trasuda tutto il suo fascino retrò. Un fascino accentuato dalla presenza dell’ex vetreria Avir, il cui scheletro è posto proprio dietro il settore ospiti. Questo complesso industriale è stato attivo tra i primi anni del ‘900 e il 1981, sfruttando la sabbia della vicina spiaggia. I vari progetti di riqualifica sono sinora naufragati, lasciando la sua imponente scocca dominare su uno stadio che è vistosamente rovinato dalla salsedine e dai venti marini cui è quotidianamente sottoposto. Personalmente ritengo che gli impianti realizzati in riva al mare siano davvero di una suggestione unica!
I tifosi del Sora hanno preparato questa trasferta da diverse settimane, organizzando pullman e richiamando la città al seguito della squadra. Malgrado qualche, immancabile, resistenza da parte delle autorità locali, alla fine sono stati messi a disposizione circa seicento tagliandi. Di cui poco meno di trecento per il settore ospiti e il resto per una parte della tribuna di casa. Considerati i tempi di proibizionismo, divieti e restrizioni, è sicuramente buono. Anche perché in riva al Liri c’è voglia di sostenere i bianconeri; sia perché si tratta probabilmente dell’ultimo atto – quello che consegnerà il campionato nelle mani del club -, sia perché le ultime due partite casalinghe sono state contrassegnate dalla scelta di non entrare da parte dei ragazzi della Nord. Il motivo? Come già scritto in occasione del match contro l’Audace, la decisione da parte della Questura di Frosinone di vietare l’ingresso alle sciarpe con la dicitura Diffidati. Un qualcosa di aberrante e profondamente italiano, su cui però oggi preferisco non soffermarmi, in luogo della narrazione di questa giornata festosa.
Varco i cancelli dello stadio, approfittandone per ricaricare un po’ la batteria della fotocamera e riposarmi sulle panchine. Il Gaeta che quest’oggi mi ritrovo a commentare non è quello seguito dagli ultras. Il tifo organizzato biancorosso, infatti, è attualmente attivo al fianco della Polisportiva Gaeta 1931, impegnata nel campionato di Seconda Categoria. Pertanto quest’oggi mi troverò al cospetto di una manciata di ragazzini impegnati nel tentativo di fare tifo dietro allo striscione Forza Gaeta. Rispetto per averci provato, ma ovviamente lo stampo ultras è ben lontano.
Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio, al di fuori della recinzione del settore ospiti si cominciano a intravedere le prime bandiere e sentire i primi cori. I bianconeri sono arrivati e cominciano a entrare alla spicciolata sotto lo sguardo attento dei funzionari, che telecamera alla mano riprendono ogni loro movimento. Si srotolano gli striscioni e in un momento profondamente ultras si cerca di capire come e dove metterli, per non farli accavallare e per permettere a quello più lungo – che fungerà da frase celebrativa – di spiccare in mezzo al settore. Alla fine, tra un’indecisione e un pressing dei funzionari, viene affisso tutto lungo l’inferriata che divide il settore dal campo e quando le squadre stanno per fare il loro ingresso, tutti prendono il loro posto.
“Le discese ardite e le risalite…e poi ancora in alto!” recita la frase affissa dai bianconeri, che parafrasa chiaramente una celebre canzone di Battisti nel giorno del suo ottantesimo compleanno), ma anche gli ultimi otto anni di storia calcistica sorana. Con la non iscrizione alla Serie D del 2015, il fallimento, la ripartenza e i vari tentativi di tornare nel massimo panorama dilettantistico. Anni di sofferenze e anonimato, utili però a ricostituire lentamente una base ultras e a farla divenire continua, cospicua e rilevante sia dal punto di vista delle presenze che della qualità. Quello che arriverà oggi in campo è solo la cartina al tornasole di quanto, su tutti, i tifosi organizzati abbiano costruito in questo lasso di tempo.
Quando le due squadre entrano in campo, un mare di bandiere e bandierine sventola nel settore ospiti. A riprova di come a rendere bella, colorata e corposa una presenza non occorra per forza inventarsi chissà quale coreografia mastodontica, ma tornare a fare semplicemente gli ultras italiani. Quelli delle pezze, degli stendardi, delle bandiere, degli striscioni, del tamburo e del colore a profusione. Tradizione e semplicità, due concetti su cui i sorani hanno basato tutto il proprio lavoro e grazie ai quali oggi raccolgono i frutti. Certo, è chiaro che non si troveranno sempre seicento persone a spalleggiarli in trasferta, come è chiaro che la Serie D li metterà di fronte a piazze storiche, rognose e toste da affrontare. Stadi caldi, in cui nessuno può permettersi di andare a fare scampagnate. Va detto, però, che questo salto probabilmente arriva nel momento giusto per loro.
In campo è una doppietta di Corsetti a regalare lo 0-2 che sancisce la matematica promozione in D. Un salto di categoria che verrà ovviamente consegnato agli almanacchi grazie ai suoi numeri pazzeschi: ottenuto con nove giornate di anticipo (in virtù dei 28 punti di vantaggio sulla seconda in classifica), ventiquattro vittorie consecutive, una sola sconfitta all’attivo e ben ventiquattro vittorie, ottanta gol fatti (il Certosa, secondo, ne ha segnati 35) e appena quindici subiti. Una schiacciasassi in tutto e per tutto. Lo sanno bene i giocatori in maglia bianconera, che al triplice fischio scoppiano in un grido di gioia, andando successivamente a festeggiare insieme ai propri tifosi.
I soliti noti si sbracciano e riprendono chi si arrampica sulle inferriate (senza avere evidente voglia di invadere), io mi chiedo come sia possibile dover utilizzare soldi pubblici per impiegare così tanti funzionari affinché qualcuno non scavalchi per gioire, in una giornata senza alcuna tensione e senza nessuna tifoseria davanti. Ma queste sono domande che non avranno mai risposta, quindi è meglio farsi una risata osservando l’isteria di taluni personaggi…
Se l’abbraccio tra squadra e tifosi è abbastanza contenuto all’interno dello stadio Riciniello, così non sarà al ritorno a Sora. Un’orda festante, infatti, attende la squadra con torce, fumogeni e striscioni. Un corteo spontaneo invade le vie della città, potendo finalmente esplodere senza limitazione alcuna. È l’apoteosi per tutte le componenti di questa cavalcata, adesso strette le une con le altre nel cuore della propria casa.
La Serie D riconquista una piazza storica, nonché una delle tifoserie laziali più in forma degli ultimi anni. L’immagine simbolo della giornata è forse Tamsir Jammeh, centrocampista bianconero che dopo il triplice fischio girovaga per il campo con una maglia per i diffidati. Un gesto che se nelle menti dei bacchettoni italici sarebbe in grado di innescare una di quelle polemiche talmente inutili da risultare pressanti, d’altro canto risulta davvero molto bello e solidale nei confronti di quei tifosi che per tutta la stagione l’hanno sostenuto e che malgrado sacrifici, soldi e tempo, spesso e volentieri si trovano di fronte a un muro d’ottusità, talmente spesso da risultare invalicabile.
Me ne vado con suddetta immagine. L’ultima parte di questa lunghissima mattinata sta per prendere forma. L’Intercity per Roma mi aspetta trepidante, per darmi conforto e portarmi nella Capitale. C’è ancora l’ultima appendice giornaliera, un succulento Roma-Juventus da seguire. Stanco, claudicante ma ancora in possesso delle residue forze, osservo il paesaggio dell’agro romano passare dai finestrini del treno. Il sole splende ricordandomi che la primavera è alle porte e facendomi pensare che difficilmente ho visto una squadra promossa ancor prima dell’avvento della stessa.
Simone Meloni