Raggiungere a piedi lo stadio Ferraris, camminando lungo le sponde del Bisagno, trasmette sempre un’emozione particolare. Vedere in lontananza, poco alla volta, materializzarsi le mura dell’antico campo del Genoa, incastonato e stretto tra il carcere di Marassi ed i palazzi tutt’attorno, è qualcosa di unico e speciale che difficilmente si riesce a descrivere con le parole.

Bisogna esserci e provarlo, per riuscire a capire. Per comprendere l’atmosfera che si respira nell’aria. Quell’aria che profuma di Storia del calcio. Una Storia che è fatta di uomini, donne, anziani e bambini (tanti) che poco alla volta sciamano verso le quattro mura di quello scatolone di cemento che, al suo interno, nasconde un prato verde smeraldo, sovrastato da un cielo azzurro e dal contorno delle colline di questa città così strana ed unica, irripetibile, stretta com’è tra la montagna ed il mare.

Faccio appena in tempo ad assaporare intorno a me le voci, le facce e i colori del prepartita quando mi trovo, in un attimo, catapultato all’interno di questo strano cubo, contenitore di speranze e gioie ma, ahimè, anche di dolori e delusioni. Ma soprattutto, la culla di un sogno che dura ormai da quasi cent’anni e che ha accompagnato la vita e le gesta di migliaia di tifosi Genoani, di intere generazioni, che mai, oggi come allora, lo hanno abbandonato.

Ed allora mi guardo intorno e ci penso. Penso a come potrebbe essere quel giorno, se mai quel sogno, il sogno della Stella, si potesse realizzare. Mi immagino la festa che ci sarebbe tutt’intorno, sugli spalti, tra la gente che affollerebbe all’inverosimile questi gradoni, come ha sempre fatto in occasione di una semplice promozione in serie B o della solita partita che valeva la permanenza in serie A. E che festa che ci sarebbe poi per le strade, nei vicoli stretti ed angusti della città vecchia, nei bar e nelle case. Una festa di popolo. A cui, forse, guarderebbero con simpatia anche gli storici rivali cittadini.

Questo e mille altri pensieri mi attraversano la mente ed il cuore ogni qualvolta mi capita di avere la fortuna di poter calcare questi spalti, palcoscenico privilegiato di chi, come il Genoa, la storia del calcio italiano l’ha scritta fin dal suo primo giorno. E guardandomi attorno, tra bandiere, sciarpe, magliette e striscioni, in un tripudio di rosso e di blu che quasi non ha eguali, mi rendo conto che è vero quando mi dicono che il Genoa è molto più di una semplice squadra di calcio.

Ma l’annuncio delle formazioni schierate sul campo mi riporta alla realtà dei giorni nostri. Ed allora non posso che seguire ciò che avviene intorno a me durante i novanta minuti di gioco di questo Genoa – Parma, in campo e sugli spalti.

Dirò quindi del grande tifo della Gradinata Nord, che ruggisce per tutto il tempo in cui le due squadre si danno battaglia in mezzo al campo e mi ricorda che qui siamo in serie A e che quindi, oltre alla qualità del tifo, ci sono anche numeri importanti in termini di quantità dei sostenitori coinvolti.

La cosa che colpisce di più di una partita a Marassi, come sempre, sono le grandi bandiere che sventolano in Gradinata Nord, ma non solo, visto che anche nei Distinti se ne vedono sventolare a decine. Dai giovani sostenitori della Genoa Academy, nel primo anello del rettilineo, ai più attempati tifosi dei Figgi do Zena e degli altri club rossoblu che occupano il secondo anello dei Distinti.

In Gradinata Nord, in particolare, le grandi bandiere che sventolano durante il match sono il segno distintivo più evidente dei vari gruppi ultras presenti all’interno del settore. Il marchio di fabbrica della Nord, cuore pulsante del tifo rossoblu, con quella conformazione tutta “british” che lo rende unico tra tutti gli stadi della serie A.

Il sostegno vocale del popolo rossoblu è impressionante. Continuo ed incessante, senza battute di arresto, nemmeno in occasione dei tre goal con cui gli ospiti emiliani riescono prima a pareggiare, poi a portarsi in vantaggio ed infine a chiudere definitivamente la partita di oggi con un sonoro 3 a 1.

Risultato pesante ma al contempo non veritiero rispetto ai valori espressi in campo dalle due squadre. Ma tanto basterà al presidente del Genoa per riuscire a liquidare il mister rossoblu, Davide Ballardini, che aveva fin qui ottenuto una media punti da “zona Uefa”. Esonero che, come tutte le decisioni impopolari ed ingiustificate, scatenerà per l’ennesima volta le ire del popolo rossoblu nei confronti del proprietario del Club più antico d’Italia.

Malgrado la sconfitta, al triplice fischio finale la Gradinata Nord richiama tutta la squadra sotto il proprio settore per tributargli un lungo e sentito applauso ed un coro che diventa un vero e proprio boato, coinvolgendo tutti i presenti. I giocatori di casa apprezzano e ricambiano con gesti eloquenti nei riguardi dei propri sostenitori la cui passione, com’è giusto che sia, anche oggi è andata ben al di là del risultato finale maturato sul campo.

Alla fine, chi fa festa, sono i sostenitori del Parma, giunti al Ferraris in buon numero. Sono molto colorati e mettono in mostra un tifo continuo e costante per tutta la durata del match. Malgrado i loro cori non si riescano mai a sentire, è indubbio che si diano da fare per sostenere la loro squadra. Tanti sono, infatti, i battimani che si notano nel loro settore, così come molto bella e partecipata è la sciarpata finale, con cui salutano i loro giocatori prima dell’uscita dal campo.

Postilla a margine. Ho scelto di arrivare a Genova in treno perché viaggiando in auto da soli, si sa, van via dei soldi e, così facendo, non posso non notare la visione apocalittica che mi si staglia davanti agli occhi quando il convoglio su cui viaggio sbuca fuori dall’ultima galleria e si appresta ad attraversare la città, scendendo giù verso il mare.

Volutamente, scelgo di non aggiungere altro, in merito a questo triste scenario. Se n’è già parlato tanto, anche troppo, quando invece sarebbe ora di “fare”, per far tornare a vivere una città ferita, per colpa dell’uomo prima ancora che della natura. Una città fiera ed orgogliosa che ha già dimostrato al mondo che, se anche si spezza, non si piega, mai.

Testo di Giangiuseppe Gassi.
Foto di Furio Bruzzone.