Ci sono partite su cui tutto il mondo ultras punta lo sguardo. Periodo storici in cui una sfida, un derby, un confronto, diventano particolarmente caldi e interessanti. E purtroppo, va aggiunto, anche oggetto di pesanti sanzioni postume. Il Derby della Lanterna, che in genere ci ha abituati ai suoi spettacolo coreografici e pirotecnici, si è presentato quest’anno in una veste molto particolare. E non certamente perché si è disputato in Coppa Italia e tra due squadre che attualmente militano in categorie differenti. Le turbolenze registrate negli ultimi mesi in città giocavano un ruolo fondamentale, non solo nell’organizzazione dell’ordine pubblico, ma anche nell’attesa crescente su ambo i fronti. Il classico terrorismo psicologico pompato e perorato dalla stampa, ha poi messo il carico da undici, incendiando ancor più un clima già di suo rovente. Personalmente non entrerò nel merito delle questioni rossoblù e blucerchiate. Innanzitutto perché non posso conoscere dettagli e sfaccettature e in secondo luogo perché sono convinto che i panni sporchi vadano lavati in casa e non stia certo a me, semplice e modesto cronista di questa giornata, giudicare. Tuttavia, da esterno, posso dire che percepire un simile clima di acredine, nel 2024, in una grande città e tra due tifoserie che generalmente occupano il palcoscenico della Serie A, non è affatto scontato. E merita sicuramente attenzione. Negli anni si è andati sempre più verso la “normalizzazione” dei derby, cercando di convogliare la rivalità cittadina in semplici e banali sfottò. Intendiamoci: io capisco anche l’esigenza, da parte statale, di porre un freno a talune situazioni. La capisco, ma ovviamente essendo nato e cresciuto in una città dove il derby per tanti anni ha puntualmente tracimato la condizione di normalità o semplice tensione tra opposte fazioni, non posso non provare un certo, arcaico e primordiale, fascino nel sentire l’aria farsi sempre più effervescente con il passare delle ore.
Quando – con grande fatica a causa delle inefficienze di Trenitalia – arrivo a Genova, mancano diverse ore al fischio d’inizio, eppure le strade già sono colorate da tantissimi tifosi che passeggiano con la maglia della propria squadra addosso. Questo perché qua, a prescindere dalla situazione contingente, calcio e derby si respirano ancora alla vecchia maniera e la gente non è ancora totalmente stordita dall’industria pallonara a tuttotondo. Mettiamoci anche che il capoluogo ligure fa un po’ storia a sé: grande città, vero, ma ancora chiusa e arroccata in se stessa. Centro portuale che da millenni intreccia rapporti con tutto il Mondo, eppure schivo e intento a preservarsi e respingere con una certa naturalezza molto di quello che viene dal di fuori. Al genovese sembrano non interessare neanche tante dinamiche di “circonvenzione” provenienti dal mondo odierno, me ne accorgo quando, durante alcune tensioni nei pressi dello stadio, la gente comune passa e – a differenza di come sarebbe accaduto altrove – invece di condannare i tifosi, inveisce contro la polizia, intenta a sedare i tumulti. Il segnale eloquente di come da queste parti alberghi ancora, con una convinzione tutto sommato disinvolta, un qualcosa misto a rabbia, ribellione, la sopportazione dell’ordine costituito. Insomma, chiamatela come meglio volete, ma quando si è a Genova – non me ne voglia nessuno e si capisca il senso delle mie parole – sembra sempre di tornare indietro di qualche decennio.
Ore 19:30, le vie che circondano la Gradinata Sud sono prese d’assalto dagli ultras blucerchiati che, coordinati e fomentati dai ragazzi con i megafoni in mano, cantano e accendono torce come se non ci fosse un domani. La Serie B, la Samp che stenta in classifica, gli ultimi due anni tribolati, sembrano davvero non interessare nessuno quest’oggi. C’è un derby che forse è il più importante degli ultimi vent’anni. E non tanto per il risultato sportivo, quanto per l’onore e la rappresentanza cittadina. Cosa che, chiaramente, vale anche sull’altra sponda, dove infatti altre centinaia di supporter del Grifone sono ammassate a pochi metri dalla Gradinata, intenti anche loro a farsi sentire dai dirimpettai. Sì, perché in linea d’aria i due contingenti saranno divisi da poco più di cinquecento metri, pertanto ognuno sente i cori e le invettive dell’altro. Lo schieramento di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza è ingente, forse mai visto così a Marassi. Nei giorni precedenti Questore e Osservatorio sono stati categorici: “Eventuali problemi porteranno a pesanti sanzioni per entrambe le tifoserie”, mentre nel tardo pomeriggio il Genoa ha invitato le proprie squadre giovanili a non recarsi allo stadio per non trovarsi coinvolte in possibili tafferugli. Passo davanti alla targa per Vincenzo Spagnolo, che trasversalmente e indirettamente richiama anche al dialogo che fu tra le due tifoserie genovesi. Un qualcosa forse oggi distante anni luce, con le nuove generazioni che si sono inesorabilmente allontanate per i più disparati motivi. Difficile, se non impossibile, dar torto o ragione a qualcuno se non si vive quotidianamente una realtà. Il dato di fatto è che il clima all’ombra della Lanterna è mutato, producendo un’escalation di avvenimenti che probabilmente peseranno sugli equilibri cittadini per moltissimi anni. Fratture quasi impossibili da ricomporre e pertanto una rinnovata e rinfocolata spaccatura tra le due fazioni, madre di un odio viscerale che non riguarda solo gli ultras, ma sembra esser strabordato anche nella tifoseria meno avvezza a talune dinamiche curvaiole.
I biglietti venduti sono 28.575. La notizia è che non ci sarà sold out. Chiaro effetto delle campagne mediatiche di cui sopra. Qualcuno ha preferito evitare eventuali problemi e rimanere incollato alla televisione. Ovviamente non gli habitué di entrambe le sponde. Quelli li troveresti pure nella partita annunciata come più pericolosa e proibitiva. Di certo oggi non è derby da coreografie e cotillon, infatti appare sin da subito palese come le tifoserie badino alla sostanza e a far primeggiare i propri messaggi espressi attraverso cori e striscioni. Già quaranta minuti prima del fischio d’inizio, le curve si beccano e spronano le squadre impegnate nella fase di riscaldamento. Gli altoparlanti, come sempre, devastano tutto quello che è il pre partita con canzonette di dubbio gusto e una cacofonia tamarra, ormai divenuta regina incontrastata nei nostri stadi, insieme a speaker assatanati che annunciano formazioni e gol come fossero al mercato del sabato mattina per vendere la propria merce al miglior acquirente. Se c’è una parola che riassume al meglio questo modus operandi è: rumore. Inutile rumore. Inutile, dannoso, fastidioso e pacchiano rumore. Aggiungo, giusto per completare il quadro!
Le squadre rientrano negli spogliatoi e tutto è pronto per l’inizio della stracittadina. Dopo aver riscaldato i motori, le Gradinate adesso cominciano a tifare, con il direttore di gara che dà ufficialmente avvio alle ostilità. Sul repertorio degli ultras genoani e blucerchiati c’è sempre poco da dire: mani, bandiere, tanta pirotecnica – che spesso finisce in campo – e cori ben coordinati che coinvolgono spesso tutti i presenti. Insomma, lo spettacolo del tifo è sempre assicurato. Una garanzia a queste latitudini. Logico, inutile girarci attorno, che tuttavia stasera il focus si sposti anche su altro. E, in particolar modo, quando nella ripresa la Nord espone alcuni drappi degli UTC, tutti i gruppi della Gradinata Sud abbandonano il proprio settore, riversandosi nell’attiguo Corso de Stefanis, dove per diversi minuti scoppiano incidenti con la celere. Il clima è a dir poco bollente, mentre, per la cronaca sportiva, sul manto verde la Samp riesce nell’impresa di pareggiare in extremis e vincere ai rigori, conquistando un insperato passaggio al turno successivo, dove affronterà la Roma. Tornando ai fatti di cui sopra, quando esco dallo stadio, a partita ormai ultimata, la strada è un tappeto di detriti, mentre nei vicoli e in alcune strade noto la polizia ancora impegnata in alcune cariche di alleggerimento. Sento una steward esclamare: “Ma si può? Per una partita di Coppa Italia che non serve a nulla?”, cosa che riesce a strapparmi una risata pensando alla totale impreparazione fornita a questi soggetti, i quali non sapendo neanche il contesto in cui lavorano, finiscono puntualmente per non capirci nulla e rendere ancor più confusionaria la gestione dell’evento.
Il mio pullman per Roma partirà alle 2:30, resto così un altro po’ attorno allo stadio, per respirare il clima e osservare eventuali evoluzioni. Ovviamente la situazione va man mano calmandosi, mentre su internet giornali, giornaletti e social già si sperticano in giudizi forcaioli e speranze di condanne verso tutto il mondo del tifo organizzato. Per carità, non che si possa esaltare la violenza o far passare come normale situazioni che la contemplano, tuttavia è sempre emblematico perdersi in queste righe dove c’è scritto praticamente il nulla e l’unica cosa che si evince è che: “Bisogna aumentare i divieti, bisogna aumentare i Daspo, bisogna isolare i violenti”. Un Paese dove “bisogna” sempre inasprire qualcosa di già limitativo e a tratti incostituzionale e mai, invece, “bisogna” prevenire e lavorare come si fa in buona parte del mondo civilizzato per permettere lo svolgimento di una partita con entrambe le tifoserie. Ma dimenticavo che da noi, spesso e volentieri, Decreti Legge e Leggi Speciali le fanno prima i giornali e la televisione e poi Camera e Senato!
Mi incammino verso la stazione di Piazza Principe, attraversando buona parte di Genova, che a quest’ora dorme e lascia ai suoi caruggi il mistero e l’inquietudine di chi li popola e di chi ci si avventura. Perché è proprio col buio delle tenebre che ti rendi ancora più conto di quando questa città non sembri voler fare patti col Diavolo, preservando il suo essere selvaggia e autodeterminata. Si prospettano mesi pesanti per le tifoserie cittadine, che ovviamente – malgrado la vulgata populista degli scribacchini – pagheranno e anche in modo caro questa serata. Pagheranno una rivalità che al momento ha raggiunto picchi notevoli per un Paese a tratti spento e smorzato come il nostro. Ai posteri l’ardua sentenza.
Testo Simone Meloni
Foto Alberto Cornalba