Ci sono partite che per l’importanza della stessa o per la sua particolarità, restano impresse nella mente degli sportivi e dei tifosi. Mi considero un appassionato di calcio, ritengo di non avere una buona memoria ma la finale di Champions tra Liverpool e Milan, persa in maniera così “particolare” dalla squadra rossonera, è uno di quegli incontri che difficilmente dimentico, appunto per l’unicità di quei novanta minuti che rappresentano perfettamente cosa può succedere nel calcio se una serie di componenti cominciano a girarti in maniera contraria. Ma gli incontri da ricordare sono molti, noi tutti abbiamo nella mente un lotto di partite che difficilmente uscirà dal cassetto dei nostri personali ricordi.

A Borgo a Mozzano, a due passi dall’Abetone, si gioca una partita di campionato dal sapore speciale. A far visita ai padroni di casa arriva il Livorno, quella squadra che qualche anno or sono calcava i campi storici e nobili della massima serie del campionato italiano. Perfetto, dovrebbe essere una festa, l’occasione per vivere un pomeriggio di gloria, quei novanta minuti che accendono le luci della ribalta in una location che è famosa per ben altri aspetti e non propriamente per il calcio. Eppure nei giorni che precedono la gara si percepisce una certa animosità nell’organizzazione dell’incontro: si richiede un sostanziale dispiegamento di forze dell’ordine, si preannuncia, salvo poi smentire, l’impossibilità di vendere i biglietti sul posto ed in generale sembra quasi che la festa si debba tramutare in un mix di ansia e paura.

La società ospitante fa di tutto per accogliere al meglio i tifosi livornesi offrendo loro dei prodotti tipici del luogo ma è altrettanto vero che si nota un numero di agenti di polizia ampiamente superiore al fabbisogno dell’evento. Nulla di tragico, ci mancherebbe, ma in certe categorie l’evento dovrebbe essere vissuto in maniera più leggera, con quel tocco di rilassatezza in più, poi è evidente che sul campo nessuno ci tenga a perdere ma questa è un’altra questione.

Gli oltre cinquecento ospiti arrivano per lo più con mezzi propri e vanno ad occupare buona parte dell’unica tribuna esistente. Scontato lo spettacolo di colore e calore offerto dai livornesi. Bandiere e cori accompagnano per novanta minuti le due squadre, il tifo scivola via intenso ma mai fuori dalle righe. Novanta minuti di festa malgrado il risultato non si sposti da quello di partenza per una partita che non passerà certo agli annali per essere stata emozionante e vibrante, ma probabilmente resterà nella memoria della società del Ghiviborgo che si potrà fregiare di aver strappato un risultato utile contro un avversario ben più quotato.

E fa un po’ sorridere la lettera di ringraziamento da parte della società ospitante ai tifosi livornesi dove si dice che c’era un po’ di apprensione per l’organizzazione della partita a causa dei detrattori che dipingono la tifoseria amaranto “un’orda di barbari”. Ed invece, sempre nella lettera, si dice che la tifoseria amaranto è stata fantastica, simpatica, goliardica, anticonformista ed addirittura educata. Non è per retorica ma forse tornare a vedere i tifosi e gli ultras come persone comuni e non come esaltati di turno potrebbe essere il primo passo per apprezzare la passione e l’abnegazione che i tifosi mettono al servizio della squadra. Avere dei concetti preconfezionati sull’argomento è ormai sport popolare, salvo stupirsi quando ciò che si pensava viene irrimediabilmente smentito.

Valerio Poli