Quando l’Anfiteatro Campano mi si staglia davanti, imponente, al tramontare del caldo sole d’ottobre, un brivido mi percorre la schiena. Quella bellezza così italiana, così familiare e così propria della nostra quotidianità, fa sempre sensazione quando si palesa. Anche se ci sei abituato, anche se all’ombra di un altro anfiteatro – il Colosseo – ci sei nato e cresciuto. È un fil rouge che ci guida in tutto il mondo, la bellezza artistica e la profondità storica, che riviviamo nei monumenti, vero, ma anche nella lingua, nelle tradizioni e nei costumi.
Un patrimonio che affonda le sue radici in ogni singola comunità e che, di conseguenza, si riverbera orgogliosamente anche nella tenzone cui domenicalmente facciamo riferimento, quella del pallone. Del resto siamo nel luogo dove il celebre Spartaco dapprima mostrò le sue capacità di gladiatore nel suddetto Anfiteatro Campano, e successivamente ruppe le catene della schiavitù, per fuggire alle falde del Vesuvio e poi fino ai confini con l’Apulia, quando l’esercito romano riuscì a fermare lui e i suoi commilitoni, autori di una delle rivolte più celebri dell’umanità.
Non è un caso che la locale squadra di calcio assuma il nome di Gladiator, così come non è un caso che da ormai diversi anni il tifo nerazzurro sia trainato dalla Brigata Spartaco. Se c’è una cosa che ho sempre adorato del movimento ultras, è il suo richiamo alla storia cittadina. Un voler tenere afferrate con forza le radici, non abbandonare o minimizzare, ma anzi rinvigorire qualsiasi orgoglio possa esser legato al proprio territorio. Sarà anche per questo che ho sempre provato una certa curiosità per il club sammaritano e da tempo avevo puntato lo stadio Piccirillo, non riuscendo però mai a conciliare orari e impegni. Quale miglior occasione della sfida contro la Cavese?
Santa Maria Capua Vetere è uno dei tanti mondi a parte in Italia, uno di quegli anfratti che avrebbe aneddoti strabilianti e al contempo storiacce da raccontare a cuore aperto. Ci si arriva con difficoltà se ci si sposta col trasporto pubblico, soprattutto nei giorni festivi. E la mia balzana idea iniziale – poi fortunatamente abbandonata grazie a una soluzione alternativa – era quella di farmela direttamente a piedi dalla stazione di Caserta (7 km).
Al di fuori dei confini regionali credo che in pochi abbiamo conto delle sue ricchezze storiche, ma anche di quella bella aria di sana provincia italiana ancora riesca a emanare. Col Monte Tifata a farle da guardiano e la prorompente linea del Volturno a disegnarne in confini, questa fu terra Felix per eccellenza sotto l’Impero Romano. Prospera e rigogliosa. A dirla tutta, considerando l’importanza dell’antica Capua (di cui oggi Santa Maria Caputa Vetere raccoglie il testimone storico, come ci suggerisce il nome) e la denominazione primordiale di Campania Felix relativamente al suo territorio, si può dire che l’attuale nome dell’omonima regione nasca proprio a queste latitudini.
E pensare che oggi, nell’attuale provincia di Caserta, convivano molteplici e forse irrisolvibili problemi, che sovente portano al degrado e all’invivibilità, la dice lunga su quanto la storia nel nostro Paese abbia spesso intrapreso percorsi inversi.
Ma chi sono gli ultras del Gladiator, esattamente? Me lo sono chiesto con una nutrita curiosità prima di sbarcare in loco, prima di vederli all’opera. Per una realtà piccola come la loro – che ha vissuto il massimo del proprio splendore a inizio anni duemila, con la Serie C2 -, a una manciata di chilometri dal capoluogo, risultati sportivi ondivaghi e con Napoli asso mangia tutto in fatto di tifosi, è ovviamente tutt’altro che semplice il cammino che ogni domenica li conduce sugli spalti di tutta Italia. Dove, va detto, non mancano mai. Né oggi, né nel recente passato. Né quando hanno dovuto fare i conti con gironi in cui la metà delle squadre era sarda, contemplando uno sforzo non da poco in fatto di spese e tempo. Cose da non sottovalutare quando si è una piazza di provincia e non si portano certo numeri stratosferici.
I ragazzi del Gladiator sono, in realtà, ben più di ragazzetti alle prime armi. A differenza di molte altre piazze campane qua sembra non esserci stato un costante ricambio – probabilmente anche a causa degli scarsi risultati sportivi – e la carretta hanno finito per tirarla avanti quelli di sempre. Non un male, se visto da un punto di vista del pensiero ultras e della sua continuità. Difficilmente sotto i riflettori, mai una chiacchiera di troppo e tanta sostanza al cospetto dei numeri. Basta osservarli nel loro tifo, carpirne le movenze e coglierne le volontà per capire che dietro agli striscioni nerazzurri si cela gente navigata, che a fari spenti ha continuato dignitosamente a scrivere pezzi importanti della storia ultras locale. Onorando appieno il trait d’union con i Boys, gruppo che ha avuto la fortuna di guidare il tifo nel momento di massimo splendore calcistico.
Che il Piccirillo sia un campo di quelli rudi, spartani, è palese già dalle sue mura di recinzione. Un impianto incastonato tra le case a cui corrispondono due tribune: una per i locali e l’altra destinata agli ospiti, sebbene la parte con le gradinate sia attualmente inagibile e costringa le tifoserie in trasferta ad ammassarsi dietro l’inferriata che la divide dal campo.
Quando ritiro la pettorina e metto piede sul manto verde, la colonnina di mercurio segna oltre trenta gradi. Un clima non facile in cui giocare e neanche in cui stazionare sotto al sole per scattare. A Cava de’ Tirreni sono stati staccati circa trecento tagliandi, un “esodo” quasi scontato conoscendo la tifoseria blufoncé, reduce dal pareggio col Fasano e in piena lotta al vertice. I cavesi non hanno certo bisogno della mia presentazione, ma mi piace comunque sottolineare il fiero attaccamento di una piazza che ha fatto della propria squadra un vero e proprio totem, portando avanti un discorso di mentalità che si può condividere o meno, ma che l’ha tuttavia caratterizzata in seno al movimento nazionale.
Ecco perché quella di oggi, se vogliamo, è anche una sfida tra “menti”. Tra piazze ovviamente diverse, distanti sia per storia ultras che per substrato sociale, ma che nei loro rispettivi ambienti hanno messo un marchio sulla propria esistenza, difficile da scalfire nel tempo e con tutte le malevolenze del fato.
Con le squadre che rientrano negli spogliatoi le tifoserie riscaldano i motori. Il ruggito della Sud metelliana sprona gli aquilotti a cercare una vittoria in trasferta che sarebbe fondamentale, mentre il pubblico sammaritano incita i propri ragazzi, conscio della difficoltà nell’affrontare una delle squadre più attrezzate del girone.
Quando i giocatori fanno capolino dagli spogliatoi lo spettacolo del tifo ha inizio. Gli ultras di Santa Maria Capua Vetere si dilettano in uno spettacolo tanto antico quanto attuale: cartata e torciata. La madre di tutte le coreografie, insomma. E passatemi l’osservazione: mi ha davvero riempito il cuore vedere questi ragazzi ormai cresciuti preparare con cura il tutto, stando attenti ai particolari e ai possibili inconvenienti del caso. Sembra di capire che per loro il tempo non sia mai passato in fatto di curva. Ed è un qualcosa che chi non vive o chi ha abbandonato, davvero non può più capire. Ma è di una vitalità infinita.
Sbandierata e subito cori potenti su fronte cavese, con il contingente disposto per lungo e comunque bello a vedersi grazie alle numerose manate e agli stendardi tenuti sempre in alto. Sulla loro prestazione ben poco da dire, malgrado la difficoltà dovuta al settore si fanno sentire per tutti i novanta minuti, accendendo anche qualche torcia e sciorinando tutto il loro classico e originale repertorio canoro.
Repertorio che su fronte sammaritano è invece costituito da cori tenuti a lungo, ben orchestrati dalla regia al megafono e rinfocolati dall’ottimo stato di forma dei presenti. Ok, ripeto, non parliamo di numeri stratosferici e sicuramente questo è il loro tallone d’Achille, ma la sostanza c’è ed è pure molta. E lo si evince quando il Gladiator – andato inizialmente in vantaggio – capitola per 3-1 sotto i colpi di una Cavese spietata, non tramortendo però il tifo di casa. Anzi, facendogli assumere tutti i contorni della prestazione orgogliosa, che segue il vecchio e sacrosanto assunto “Si canta sempre e comunque per tutti i 90′. In cento come in dieci”.
Al triplice le tifoserie restano a lungo sulle gradinate. I cavesi offrendo il loro classico spettacolo con la squadra, suggellato da una bella sciarpata, e i sammaritani nel ricordare chi non c’è più e nell’onorare la città e la loro militanza. È sicuramente un bello spettacolo fermarsi a centrocampo, quando la gara ha ormai conosciuto il suo esito, e continuare a scattare tutta l’essenza delle gradinate. È la giusta sintesi per questa giornata.
Prima di lasciare SMCV alle spalle, prima di archiviare questa domenica, ho tempo per camminare. Per inoltrarmi tra i vicoletti e nel movimentato corso, fino a raggiungere la Basilica di Santa Maria Maggiore. Altro nome che evoca il forte e indissolubile legame con Roma e la sua storia. Altro segnale di quanto malgrado i lunghi chilometri che dividano città e regioni della Penisola, una storia comune l’accomuni. Nei millenni e nelle sue genti. E scoprirne un pezzetto alla volta, arrivare con gli occhi dove racconti e foto non possono arrivare, è il più grande orgoglio che si possa provare.
E questo basta a cancellare almeno per una giornata tante amarezze che questo Paese quotidianamente ci dà.
Simone Meloni



























































































