Penso che un acquazzone del genere non lo prendevo da almeno dieci anni. Pioggia, vento e freddo. Sono loro le tre assolute protagoniste di questa giornata bolognese, che si manifestano sin dalle prime ore del mattino, quando metto piede sul suolo emiliano e vengo bonariamente rapito da Fabio e Francesco, che mi raccolgono alla stazione di Crevalcore.

La sfida tra i felsinei e la Roma è un capitolo importante della storia del nostro movimento ultras. Amicizia tramutata in vero gemellaggio prima, rottura e profonda rivalità poi, con numerosi incidenti che hanno segnato negli anni una chiara linea sui rapporti tra le due tifoserie. Certo, di acqua sotto i ponti ne è passata, e le invasioni romaniste al Dall’Ara, come i tanti striscioni che le due fazioni si “dedicavano”, sono ormai un ricordo sbiadito. Così i 20.000 biglietti venduti su sponda rossoblu e i 3.000 romanisti previsti sono dati da tenere in considerazione, soprattutto in tempi di magra come questi.

Peccato che nessuno abbia fatto i conti con il meteo. Come detto, infatti, una fitta pioggia copre buona parte dell’Italia, abbattendosi violentemente anche sulla città delle Due Torri. Lo stadio, un’ora prima del fischio d’inizio, risulta una vera e propria piscina nel perimetro esterno al terreno di gioco, mentre il campo sembra tutto sommato reggere bene. Ovviamente il fatto che il Dall’Ara non abbia copertura influisce e non poco sull’afflusso finale, che registrerà a occhio nudo un numero sicuramente inferiore rispetto ai 23.000 previsti. Ai presenti va davvero il massimo del mio rispetto, una prova d’attaccamento ai propri colori non indifferente, vista l’alta probabilità di contrarre, come minimo, una bella influenza. Inoltre da sottolineare la vera e propria immagine anni ’80 offerta dagli spalti, con i molti ombrelli aperti in curva e tribuna, che di contro inficiano e non poco la riuscita finale delle fotografie.

Tornando ai vecchi Bologna-Roma, post rottura del gemellaggio, ci tengo in particolar modo a ricordare quello della stagione 2000/2001, l’anno dell’ultimo scudetto romanista. Quella giornata fu funestata da violenti, e gratuiti, scontri tra tifosi ospiti e polizia, con quest’ultima nelle vesti di grande provocatrice. A farne le spese fu Alessandro Spoletini, che trovandosi in mezzo alle cariche immotivate della celere venne colpito finendo in coma e risvegliandosi solo qualche settimana dopo. Ricordo perfettamente tutti i tentativi della Questura di Bologna di nascondere l’accaduto e travisare i fatti. Questo a memoria di come non solo le cose non siano cambiate in meglio, rispetto a 14 anni fa, ma siano persino peggiorate.

Dopo gli ultimi sopralluoghi della terna arbitrale e dei due capitani, le squadre si preparano ad entrare in campo. Il pallone rimbalza e, regolamento alla mano si può giocare. Nonostante, in tutta franchezza, di presupposti per vedere una partita di calcio ce ne siano davvero pochi. Ma si sa, il danaro in questi casi è il vero ago della bilancia e rimandare la partita, anche al giorno dopo, significherebbe un’ingente perdita dei profitti per le televisioni, oltre a una concreta scomodità per la Roma, impegnata il martedi successivo sul campo del Barcellona. Si gioca quindi, con i tifosi che si dispongono ai blocchi di partenza già fradici e infreddoliti.

Prima di alzare il sipario sul match, c’è spazio per l’esecuzione della Marsigliese, con tanto di bandiera francese sorretta da un paio di bambini. Potremmo scrivere un vero e proprio trattato filologico sulla scelta e sull’interpretazione delle istituzioni sul cordoglio legato ai fatti di Parigi, ma non è questo il luogo. Mi limito, personalmente, ad avere pietà e tanto rispetto per parenti e amici delle persone che hanno perso la vita senza un motivo, non condividendo tuttavia la scelta di suonare l’inno francese negli stadi per pulirsi la coscienza e sentirsi più bravi. Ovviamente l’invettiva è diretta al “sistema Italia” e, in maniera più macroscopica, a quello europeo. Da una parte complice e untore di certi ingranaggi e dall’altra vittima finta tonta.

Tornando alla gara, dico subito che giudicare le prestazioni delle due tifoserie è alquanto complicato. Il nubifragio penalizza in maniera vistosa il tifo e quelle persone che generalmente vengono trascinate dallo zoccolo duro della curva, oggi risulteranno una zavorra irremovibile per gli ultras. Ovvio, poi, che anche sventolare i bandieroni impregnati d’acqua e sempre più pesanti, diventi un’impresa titanica.

Su fronte bolognese spiccano le tantissime torce e i numerosi flash accesi prima e durante la partita, ma dal punto di vista canoro la prestazione non sarà di certo indimenticabile, nonostante la balconata centrale occupata dalla Beata Gioventù e i gruppi nella balaustra bassa si dannino l’anima per sostenere il Bologna. Peccato, perché le premesse per un bello spettacolo c’erano tutte.

Sicuramente anche la performance dei romanisti non è di quelle che passeranno agli annali. Il gruppo situato in basso tifa con costanza, diverse le bandierine sventolate e un paio di torce accese dopo i gol ma, come nel caso dei dirimpettai, è davvero difficile trascinare dietro un intero settore più preoccupato dal ripararsi dalla pioggia che a sostenere il tifo. A tal merito, complessivamente parlando, potremmo riflettere su quanto sia cambiato il modo di intendere il sacrificio per la propria squadra e la propria curva, ma francamente neanche mi sento di biasimare chi ha passato 90′ sotto un acquazzone allucinante.

In campo, o per meglio dire nella vasca, la gara è ovviamente caratterizzata da pozzanghere e scivoloni. Il Bologna trova il vantaggio in avvio di gara, per poi venire recuperato e superato da due calci di rigore. E’ un altro penalty, stavolta assegnato agli emiliani e realizzato da Destro, a decretare il definitivo 2-2, con i supporter bolognesi che logicamente applaudono apprezzando lo sforzo profuso dai ragazzi di Donadoni e l’ottimo punto ottenuto contro un’avversaria di rango.

Il vento che soffia insistente rende la mia giacca una sorta di ghiacciolo. A fine gara scendo in sala stampa approfittandone per appoggiarmi a un termosifone, manco fossi il più decrepito degli anziani. Ma è solo un break, per arrivare alla stazione, infatti, mi affiderò a una lunga camminata (tanto a Bologna “non si perde neanche un bambino”), protetto soltanto da un ombrellino che non mi eviterà di arrivare al pullman bagnato fradicio. L’ovvio epilogo di una giornata che mi ha fatto capire cosa prova un chicco di riso prima di essere raccolto e messo sotto vuoto.

Testo e foto di Simone Meloni.
Video di Fabio Bisio.