Premessa: quella che segue non è una cronaca e non è nemmeno un racconto. Se proprio dobbiamo dare un nome a queste quattro righe, esse sono semplicemente la narrazione di quanto ho avuto modo di osservare nei miei giorni di vacanza trascorsi a Spalato, in Croazia. Non aspettatevi quindi Hemingway, sono solo le parole di un modesto viaggiatore con la passione per il calcio.

Spalato è la città del palazzo di Diocleziano, del centro storico medievale, delle case alla veneziana e del mare cristallino di Marjan, ma è anche la città dell’Hajduk e della sua Torcida. È un legame, quello esistente tra gli spalatini e la squadra, che non sfugge nemmeno a chi non è molto avvezzo alle cose di calcio.

Basta, infatti, uscire dall’aeroporto, fare pochi chilometri in direzione della città e già lungo la strada si scorgono dei murales della Torcida, il gruppo organizzato più vecchio d’Europa. Scherzandoci su, le indicazioni stradali paiono quasi superflue: sai che ti stai avvicinando a Spalato dalle dimensioni sempre maggiori dei disegni fatti dagli ultras.

Girando per la città è davvero difficile non notare le scritte, gli stemmi e gli incitamenti in rosso e blu su sfondo bianco che compaiono un po’ ovunque, dai vicoli del centro ai viali alberati dei quartieri bene, arrivando fino alle strade a più corsie che costeggiano i palazzoni della periferia.

Murales sono presenti addirittura sui moli e sulle spiagge cittadine, spiagge dove sovente ci si imbatte in gente con maglie della Torcida.

Durante la nostra permanenza è in programma il ritorno dei play-off di Europa League tra l’Hajduk e l’Everton. Il primo dei due confronti, giocatosi a Goodison Park, è stato segnato da diverse intemperanze dei tifosi ospiti, con sfondamento del cordone di steward all’interno dello stadio che si è guadagnato le prime pagine dei tabloid inglesi e ha regalato la patente di partita ad alto rischio alla gara di ritorno. Si gioca giovedì 24 agosto ma già il giorno precedente assistiamo ad un tentativo di assalto ad un trio di “scouser” in uno dei bar della spiaggia. Tavolini e sedie volano per aria ma conseguenze più serie vengono evitate dal deciso intervento del simpatico gestore del posto. I locali vanno via e i tre inglesi ritornano a bere come se nulla fosse accaduto.

La mattina del 24, poliziotti in tenuta antisommossa presidiano direttamente la spiaggia: presenza bizzarra in mezzo a turisti in bermuda e bellezze locali in bikini. La maggioranza dei tifosi inglesi, però, è tenuta lontana, nella fan-zone allestita nei pressi della Riva, il lungomare cittadino. Nonostante ciò, qualche ragazzo di Liverpool si avventura lo stesso dalle parti del bagnasciuga e nel centro città, pagandone le conseguenze. Problemi si registreranno anche alla fine della partita, con un buon numero di Everton che decidono di tornare a piedi ai loro alberghi.

La tentazione di assistere a questo match dal vivo è forte ma si arena di fronte ad uno stadio Poljud esaurito in ogni ordine di posto. Mi accontento di vederla alla TV in un locale cittadino, lontano dalla zona turistica. Durante l’ora e mezza del match (sfortunato per l’Hajduk) la città sembra fermarsi: davanti al locale non passa praticamente nessuno.

Sfumata l’occasione di vedere Hajduk-Everton, la sorte mi dà la possibilità di rifarmi subito. Il campionato croato è già iniziato da un pezzo e domenica 27 è in programma Hajduk Spalato – Istra 1961. Nel fanshop più vicino al nostro alloggio prendo i biglietti per il settore Est, corrispondente ad un italico settore Distinti. La scelta è strategica perché così avrò la possibilità di vedere sia la curva di casa che il settore ospiti, ricavato nel tratto finale della tribuna.

Il Poljud dista dal centro cittadino un paio di chilometri e, così come consigliatoci da persone del posto, decidiamo di percorrerli a piedi. La strada che dai vicoli medievali conduce all’impianto (situato invece in una zona caratterizzata da ampi viali e da palazzoni popolari), passa anche vicino allo Stari Plac, il suggestivo vecchio stadio cittadino, posto appena fuori le mura antiche della città, oggi utilizzato dalla squadra di rugby. L’altra squadra di calcio cittadina, il Radnički Split, squadra fondata dai lavoratori dei cantieri navali e famosa per aver fornito volontari antifranchisti e partigiani a Tito, gioca al Park Mladeži e ha un seguito davvero esiguo.

Più ci si avvicina al Poljud più aumentano i gruppetti di tifosi che affrettano il passo nella direzione dell’impianto. Quel che colpisce è la giovane età di molti di coloro che indossano materiale della Torcida. Essendo materiale acquistabile da tutti, anche io approfitto della cosa e mi fermo al loro negozio in una piazza lungo il percorso.

Giungiamo nello stadio con un po’ di anticipo, cosa che ci consente di osservare meglio la struttura. Voluto dall’allora governo jugoslavo per i Giochi del Mediterraneo de 1979, Il Poljud è di forma ellittica, con un unico anello e con la tribuna Ovest e la tribuna Est più alte rispetto alle due curve. La copertura è riservata solo ai primi due settori e corre sopra l’anello dello stadio, ricordando vagamente quello che fu l’Olimpiastadion di Monaco di Baviera.

La curva Sud di fatto non esiste, essendo quel settore occupato dal tabellone luminoso e da uno spazio riservato ai disabili. La curva Nord, ovviamente, è il cuore del tifo spalatino e a poco più di un’ora dalla partita già sono presenti i principali striscioni, tra cui il famoso “Torcida” su sfondo a righe rosse e blu. Così come accade in alcuni stadi italiani, tipo Catanzaro e Cava de’ Tirreni, gli ultras non si posizionano propriamente al centro della curva ma sono spostati verso i distinti, cioè la locale tribuna Est. Di fatto, me li ritroverò alla mia destra (e questa cosa influirà sulla qualità delle foto).

Una cosa che mi colpisce è la quasi totale assenza di murales o di scritte sui muri esterni dello stadio, nemmeno nelle vicinanze degli ingressi della curva Nord. Un ambiente stranamente “pulito” per gli standard balcanici: ricordo ancora le pareti esterne del Toumba di Salonicco trasformate in un tazebao di inni alle amicizie e alle rivalità. In una città (anzi, in una regione) dove ogni angolo di strada ti ribadisce la propria fedeltà all’Hajduk, ai miei occhi questa cosa sembra quasi un paradosso.

Prima di entrare ci fermiamo allo stand gastronomico allestito nello spiazzo sotto la tribuna Est. Servono ćevapčići con cipolle tritate, ajvar e kajmak nel pane caldo. Associati ad una Karlovačko fredda, formano un connubio perfetto, per il piacere nostro e per quello di altre centinaia di tifosi che si assiepano sulle panche dello stand. Tra essi, altri italiani in vacanza con cui scambiamo due chiacchiere in attesa di entrare.

Le perquisizioni all’ingresso sono attente ma discrete e sono svolte da un’agenzia di security. La tribuna Est si riempie velocemente. Settore per famiglie, non vi è bambino senza un gadget della propria squadra del cuore. La curva Nord rimane semivuota quasi fino al fischio d’inizio, quando dagli ingressi in alto entrano coloro che vanno ad occupare i posti più in basso. Molti di loro indossano una t-shirt dal colore scuro ed il colpo d’occhio è notevole. Nel momento in cui giungono nella loro postazione, vengono anche sistemate sulle transenne le pezze delle sezioni, tra cui quelle di Trogir, di Brac e quella famosa di Zagabria.

Lo stadio non presenta il colpo d’occhio del giovedì precedente, quello cioè delle grandi occasioni, ma tutto sommato la presenza è discreta, con la Nord piena per quasi due terzi della propria capienza. Il tifo, invece, è su ottimi livelli.

La partita inizia alle 21 e da quel momento in poi i ragazzi della Torcida non smettono più di cantare, rimanendo al loro posto anche oltre il triplice fischio finale. I cori sono accompagnati da un tamburo, con largo utilizzo di battimani. Alcuni di essi sono seguiti anche dal resto dello stadio. Nel secondo tempo sventolano diverse bandiere e danno vita ad un’intensa torciata. Durante l’arco della gara espongono un paio di striscioni alla lettura dei quali il resto dello stadio si alza in piedi ad applaudire.

Gli ospiti dell’Istra sono una decina e prendono posizione nella parte alta del settore. Espongono un paio di pezze (che portano con loro durante l’intervallo) e non fanno cori. Considerando che si tratta di un derby istiano-dalmata, francamente mi aspettavo qualcosa di più. I padroni di casa sembrano quasi ignorarli. Pur non capendo il senso di quel che viene cantato, non mi pare di cogliere quel tono di astio nei cori da stadio che non ha bisogno di alcuna traduzione.

Così come sugli spalti, anche sul campo non c’è storia tra le due compagini. L’Hajduk vince due a zero e nel finale va più volte vicino al terzo gol. Ogni pericolosa azione degli spalatini è accompagnata dal clamore dei tifosi di casa, con disappunto non celato ad ogni occasione sprecata.

Finita la gara, usciamo e ci mettiamo in cammino con altre migliaia di tifosi che scendono verso il centro, un fiume umano che si esaurisce man mano che si arriva al tratto finale, quello che porta ai negozi alla moda e poi al mare. Alla spicciolata tutti vanno verso le proprie case, noi andiamo verso il nostro alloggio consapevoli di aver vissuto un’esperienza molto più interessante di quella che stanno vivendo le frotte di turisti che incontriamo lungo la via del ritorno, assiepati davanti a dei locali sulle cui insegne campeggiano pizze che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico.

Giuseppe Di Monaco.