A livello europeo il calcio è cambiato davvero tanto nell’ultimo ventennio, acquisendo aspetti più negativi che positivi , ma che comunque fanno parte di un processo evolutivo che vedo come una normale mutazione di ogni cosa nel passare del tempo.

Dopo quasi 15 anni decido di tornare in Gran Bretagna, dove il “football” è nato più di cent’anni or sono , e ne approfitto per visitare la Scozia, parte del Regno Unito che ancora non avevo avuto la possibilità di vedere, ma da cui ero molto affascinato, grazie ai racconti degli amici e alle loro foto mozzafiato.

Il biglietto da visita Oltremanica è sempre lo stesso: pioggia incessante che bagna frequentemente le due isole e che neanche questa volta riesco a scansare, anzi trovo ad accogliermi un vero e proprio acquazzone che investe Glasgow dove passo la notte.

Il Tynecasle

Nonostante a livello calcistico la città scozzese sia degnamente rappresentata in Europa dai Rangers e soprattutto dal Celtic (almeno in questo momento storico), decido di snobbare la partita dei biancoverdi che giocano in casa, poiché da piccolo mi appassionai alla storia di un ex calciatore della squadra della mia città, Lorenzo Amoruso, divenuto il primo storico capitano cattolico di una squadra protestante, cosa che ha quindi portato la mia personale simpatia sulla sponda dei Gers, che sono invece di scena a Dundee.

Punto per questo ad Edimburgo, dove arrivo a mezzogiorno, in una bella giornata di dicembre, immergendomi nella bellezza della capitale scozzese , tra i suoni delle cornamuse, i gonnellini kilt in tartan e il forte sapore degli haggis, carne di pecora speziata, tipica di queste parti.

Gradoni ancora vuoti

La città è stupenda, divisa calcisticamente in due grandi squadre: proprio come a Glasgow è la religione a scindere e farci trovare da una parte i cattolici dell’Hibernian e dall’altra i protestanti degli Hearts; del resto l’influenza degli immigrati irlandesi non è tangibile solo in Scozia, ma in tutto il mondo, come possiamo riscontrare anche nell’America del basket con i Boston Celtic.

L’Hibernian football club, detto anche Hibs, venne fondato nel 1875 da appassionati di calcio di origine irlandese. Proprio il nome della squadra è il corrispettivo latino di “Irlanda”, anche se oggi è molto meno legato alle sue origini cattoliche e rappresenta gli abitanti della parte est della città (Leith), dove è ubicato il suo stadio (seppur in origine giocasse nella parte sud di Edimburgo).

L’Heart of Midlothian, conosciuto più comunemente come Hearts, prende il nome dalla sala da ballo dove il club venne fondato nel 1874 ed è la terza squadra più tifata di Scozia.

Il cuore degli Hearts dentro Tynecastle 

In verità abbiamo l’obbligo di menzionare anche l’Edinburg City FC, fondata nel 1928 e militante in quarta serie, ma comunque seguita in piccola parte rispetto alle maggiori squadre cittadine.

Arrivo al Tynecastle Park verso le 13 ora locale,  non trovando un grosso dispiegamento di forze dell’ordine; faccio un giro intorno al bellissimo impianto e sotto il settore ospiti, dove trovo l’occhio del Grande Fratello ben visibile nelle numerose telecamere che riprendono tutto quello che accade.
Fuori dalla tribuna, oltre allo storico Fan’s shop e al pub dei locali, si vede una vetrata che mostra un’area dove i tifosi e le famiglie possono mangiare nell’attesa che l’incontro abbia inizio; l’ambiente è molto tranquillo e sembra di stare più a teatro che ad una partita, e questa cosa non mi entusiasma molto.

Settore ospiti

A mezz’ora dall’inizio della disputa lo stadio è ancora vuoto, ma rimarrò sorpreso quando, a 5 minuti dall’inizio, si riempirà di getto: un giornalista seduto dietro me mi passa il dato degli spettatori attesi, che si aggira intorno alle 16 mila presenze, di cui 400 quelle degli ospiti.

Questo sembra un anno buono per gli Hearts, che sono terzi in classifica, anche se pare abbiano ceduto qualche pezzo pregiato della loro rosa ai Glasgow Rangers: resta comunque il fatto che, a distanza di molti anni, i “Maroons” sono gli unici ad impensierire le compagini dell’Old Firm nella lotta per il titolo.

Gli ospiti vengono posizionati in una parte laterale del Roseburn Stand, ma non rispetteranno le attese: saranno al massimo 200, risultando altresì sparpagliati in tutto il settore a loro concesso e separati da un cordone di steward dai locali presenti nell’altra parte del settore.

L’ingresso delle squadre in campo

Tutto lo stadio è in piedi e canta l’inno per poi sedersi e guardare la partita senza cantare quasi mai; ogni tanto parte qualche timido coro di sostegno e solo al gol ci sarà un boato impressionante, di quelli che spesso in TV ci fanno illudere che l’ambiente sia infuocato, mentre in verità non lo è per nulla.

Ci sono degli steward che guardano esclusivamente gli spettatori e sono seduti su piccoli sgabelli da dove possono osservare tutti i movimenti della gente, che almeno ogni tanto impreca contro l’arbitro in maniera abbastanza veemente. A volte i tifosi sono così silenziosi che si riescono a udire nitidamente le voci dei coach o dei giocatori in campo.

In campo i ritmi sono molto elevati e ci si ferma davvero poco: riesco a apprezzare la durezza dei tackle e il fatto che i giocatori, quando sono a terra dopo un contrasto, non facciano grosse moine stile Neymar.

Un angolo “Maroon” dello stadio

Noto inoltre piccoli gruppi di persone in piedi (diversamente da tutto il resto dello stadio) ai lati delle tribune, che ogni tanto fanno partire qualche coro di sostegno e che riescono talvolta a coinvolgere il resto dei presenti, anche se sono solo fuochi di paglia.

I supporter del Motherwell non si sentono quasi mai se non in qualche azione in cui la loro squadra attacca, affacciandosi maggiormente al di sotto del settore da loro occupato, il che resta comunque pochissimo per le mie aspettative .

Nel silenzio generale la partita trascorre tranquilla fino al fischio finale e al cui epilogo posso dire di non essere propriamente deluso, ma comunque triste nel vedere i tifosi così ingabbiati nella severità delle leggi che governano il calcio britannico. Mi auguro che presto riaprano le famose e vecchie “Standing Area”, dove i tifosi un tempo avevano la possibilità di stare in piedi e tifare liberamente: alcune squadre dispongono già di questi settori e la comunità di tifosi sta lottando per averle laddove ancora non ci sono: la loro reintroduzione sarebbe il miglior viatico per rianimare un’atmosfera a dir poco repressa.

Torno a casa comunque contento di questa nuova esperienza che arricchisce il mio bagaglio e sperando che questo sport, che regala alla gente emozioni indescrivibili, possa far riassaporare quella libertà di vivere le proprie passioni, che ritengo in questo paese sia stata forzatamente sedata.

Rocco Denicolò e Vito Savino