È una partita epocale, proporzionalmente parlando ovviamente, quella che si annuncia al “D’Alcontres Barone” di Barcellona Pozzo di Gotto. Non tanto per la Nuova Igea Virtus padrona di casa che staziona in una posizione di metà classifica, senza più nulla da chiedere in termini di ambizioni playoff e senza nulla da temere rispetto alla bagarre salvezza. Pesantissimo invece il carico di aspettative e speranze per il Siracusa che in questa trasferta si gioca il tutto per tutto. Vietato sbagliare o pensare di speculare sul risultato della Reggina impegnata in casa della Sancataldese. Un solo punto di vantaggio è comunque un capitale importante all’ultima partita stagionale: il Siracusa ha il destino nelle proprie mani e deve pensare solo a vincere per coronare questa lunga cavalcata verso l’agognato ritorno in Serie C.

Facile immaginare la cornice di pubblico per un evento del genere, l’esodo siracusano con ogni mezzo verso Barcellona, il settore stipato come una scatola di sardine e il cielo grondante di bianco e azzurro. Ecco, benissimo, continuate a immaginarlo perché tutto ciò resterà solo fantasia. Poteva essere una festa dello sport, il miglior spot per questo disastrato pallone e invece? Il Prefetto di Messina dispone la chiusura del settore ospiti. Nel desolato spicchio dello stadio giallorosso si vedranno solo una manciata di spettatori, per lo più atleti, componenti dello staff e parenti o amici. Tutti gli altri costretti coattamente a casa con la consolazione del maxischermo allo stadio “De Simone” in cui vivere collettivamente e condividere ansie e felicità di questo match. Come una “sliding door” del famoso film con Gwyneth Paltrow, ancora una volta i vertici politici e istituzionali che decidono del calcio, ogni qual volta si trovano di fronte alla possibilità di incentivare il gioco (una volta) più amato dagli italiani, lo annichiliscono con scelte scellerate, sfilandosi da ogni responsabilità come i peggiori Ponzio Pilato della situazione.

Non concorre a migliorare la situazione nemmeno la tifoseria di casa, da tempo costretta alla finestra da uno stillicidio di diffide che l’ha letteralmente decimata. Se abbastanza buono è il colpo d’occhio della Tribuna coperta, la gradinata appare meno compatta con gli ultras assenti in attesa della fine dei provvedimenti che li hanno colpiti. Si vede un piccolo assembramento per lo più di giovanissimi dietro lo striscione “Maledetti social”, più sulla destra invece, sempre uno striscione usa e getta affisso alla ringhiera, invita in dialetto a mettere in gabbia il leone, simbolo del Siracusa, per chiudere con una soddisfazione sportiva quest’annata tranquilla e a cui mancherebbe appunto un acuto ad impreziosirla.

In campo però, sciolta una certa e comprensibile tensione iniziale, è prevedibilmente la capolista a far valere il suo maggior tasso tecnico e portarsi in vantaggio. Nel secondo tempo arriva anche la superiorità numerica per l’espulsione di Currò dell’Igea Virtus, che sembra una congiuntura astrale in favore del Siracusa. Per essere però ben visti agli occhi delle divinità del calcio, sembra occorra sacrificio: paradossalmente infatti, sono i padroni di casa a pervenire al goal su calcio di rigore. Il Siracusa però butta il cuore oltre l’ostacolo e dopo solo nove minuti si riporta in vantaggio, sigillando poi il proprio sogno con il goal del 3-1.

Dovrebbe essere festa grande, ma si riduce tutto alla pur sentita esultanza dei giocatori ospiti, mentre i loro tifosi, un’intera città, esplode a chilometri di distanza. Come quegli amori costretti ad esser vissuti a distanza e che la distanza può amplificare ma anche talvolta spegnere. Se ne guardino dunque bene i padroni del calcio a tirar troppo la corda. Ancora una volta, se mai fosse necessario, novanta minuti sono stati la rappresentazione plastica del nostro mondo e di chi lo comanda, ingabbiato in un macchiavellico potrei ma non voglio, dove alla prospettiva o alla programmazione in chiave futura si preferisce pensare a quel poco ma subito e maledetto con cui lor signori si gongolano.

Foto di Giuseppe Ragnolo