È successo di nuovo. Ma questa volta si è superato ogni limite. In nome del lutto nazionale per la morte del Papa, le partite di calcio sono state annullate senza preavviso, a pochi minuti dal fischio d’inizio. Mentre migliaia di tifosi, da Nord a Sud, si trovavano a centinaia di chilometri da casa. Nessuna comunicazione o allerta preventiva. Nessuna concertazione. Nessun rispetto. Solo cancelli chiusi e un silenzio imbarazzante.
Chi ha pianto il Papa merita rispetto. Ma chi ha macinato chilometri per amore della propria squadra meritava almeno di essere informato. E invece? Niente. Nessun messaggio ufficiale. Nessuna organizzazione. Solo improvvisazione, presupponenza e, verrebbe da dire, quasi disprezzo verso la colonna vertebrale che tiene in piedi questo sport: i tifosi.
A Torino, i tifosi dell’Udinese si sono trovati con la gara cancellata quando erano già allo stadio. A Bolzano, i baresi, partiti la sera prima, sono rimasti in silenzio a guardare i cancelli chiusi dopo oltre 900 chilometri percorsi. A Castellammare, i doriani, arrivati dalla Liguria, hanno aspettato solo per scoprire che la partita non si sarebbe giocata. A Palermo, i tifosi della Carrarese, dopo una traversata via mare e ore di pullman, hanno trovato lo stadio blindato.
E non dimentichiamo i tifosi partiti in centinaia tra traghetti, voli e ore di spostamenti, si sono ritrovati senza sapere cosa fosse accaduto. Alcuni avevano già prenotato e speso per due notti fuori casa. Nessuno ha avuto la decenza di avvisarli. Solo un freddo comunicato postumo, quando tutto era già accaduto. I tifosi della Salernitana a Cittadella. Centinaia di cuori granata, che hanno attraversato mezza Italia con pullman e auto private, ritrovandosi in Veneto senza partita, senza risposte, senza neanche una scusa. A tutto quanto accaduto nelle serie maggiori, si aggiungono i carpigiani a Sassari e tante altre tifoserie che hanno subito lo stesso trattamento.
Una farsa. Un insulto. E intanto la Lega Calcio tace. Nessuna scusa. Nessuna spiegazione. Nessun rimborso. Quello che ne risulta non è rispetto. Non è più sport e nemmeno spettacolo in cui stanno tentando di riciclarsi. È gestione fallimentare, autoritaria e staccata dalla realtà. Un calcio che si ferma solo per chi detiene un certo potere, reale o simbolico. Quando invece tre tifosi del Foggia morirono in strada mesi fa, non solo nessuna partita fu sospesa, ma non ci fu nemmeno nessun minuto di silenzio. Nessun lutto. Due pesi, due misure. Sempre. E questo è quello che poi fa sbottare.
Il calcio italiano ha perso un’altra occasione per dimostrare umanità e intelligenza. Ha scelto la strada più facile e ossequiosa della solidarietà di facciata verso un’istituzione lontana dal mondo del calcio, fregandosene invece delle persone vere che il calcio lo vivono e lo mantengono vivo. Quelle che spendono, che viaggiano, che cantano persino. Quelle che oggi, ancora una volta, sono state tradite. Non si gioca. Ma il danno è fatto. E questa sconfitta non è nel risultato: è nel sistema.