L’appuntamento col Derby dell’Umbria è un classico che, dopo qualche anno di assenza, torna prepotente per la seconda stagione consecutiva. Ternana contro Perugia, una sfida infinita. Sentita e vissuta da tutti nelle rispettive città, anche quest’anno che le squadre sono impelagate nelle zone basse della classifica, dopo un avvio tutt’altro che scintillante.

Come di consueto raggiunto Terni con il treno, sfruttando il veloce e comodo collegamento tra Roma e la città delle acciaierie. Sono le 13 ed in stazione fanno già avanti e indietro diversi agenti della polizia, anche se il grosso dei tifosi perugini arriverà in pullman. Una signora sulla settantina brandisce in mano una sciarpa della Ternana parlando con una sua amica dell’importaza di questa gara e soprattutto di quanto, fondamentalmente, non conti tanto vincerla, quanto non perderla. La cosa mi fa sorridere, perché sprizza passione popolare da tutti i pori. Nel corso degli anni, e con la società che è notevolmente mutata, sempre più china verso un omologazione volta a cancellare qualsiasi forma di folklore e tradizione radicata, alcuni riti legati al pallone sono andati irrimediabilmente persi. Per fortuna da queste parti rimane ancora l’attesa spasmodica di questa sfida.

Certo, l’allarmismo non manca neanche a queste latitudini e, incamminandomi verso lo stadio, si fanno sempre più fitte le maglie della polizia e dei vigili urbani, a sorvegliare ogni viuzza che congiunge al Liberati. Eppure, nonostante manchino oltre due ore al fischio d’inizio, da ogni palazzo esce qualcuno vestito di rossoverde che si dirige allo stadio. E’ la classica occasione a cui prende parte anche chi durante l’anno segue gli squadroni del Nord, perché prima di tutto c’è il campanile. A Terni come a Perugia. E il campanile è un qualcosa che va ben oltre un pallone che rotola sul campo. Quello che chi impone divieti, limitazioni e vendite discriminatorie dei tagliandi non sa, è che la rivalità figlia della contrada territoriale, non è un qualcosa che si può sopire o far morire dall’oggi al domani. Se si avesse orgoglio e voglia di conservazione del proprio Paese, non solo non si farebbe nulla per nascondere tutto ciò, ma queste gare si incintiverebbero per fuungere da vero e proprio spot del calcio italiano.

Come sempre una grande folla è radunata davanti alla Curva Est. Mentre ritiro l’accredito, là vicino, mi accorgo che è arrivato il pullman del Perugia dal frastuono e dagli insulti che partono nei suoi confronti. Finito il simpatico siparietto, posso dirigermi verso la tribuna stampa. Se il Liberati non avesse quei maledetti prefiltraggi, con gli altrettando deplorevoli tornelli, sarebbe davvero uno stadio perfetto secondo i miei crismi. Sì, ho il gusto dell’horror, non lo nego. Ma per me il calcio deve essere veritiero e genuino, fatto di gradinate vissute, sporche e impregnate di vita vissuta. Anche decadenti se possibile.

Gli spalti si vanno lentamente riempiendo, per l’occasione è stata aperta anche la Curva Sud e i tagliandi andati via in prevendita sono, da dati ufficiali, circa 14.000. Un numero davvero importante di questi tempi. Come sempre resta chiuso il settore ospiti vicino alla Curva Nord, serrato ormai da più di un anno per motivi che non conosco. Da segnalare, nel riscaldamento e durante la partita, una manciata di bambini che sotto di me, nella Sud, stazionando sulle scalette gialle, in piedi e quindi senza rispettare il posto assegnato dal loro biglietto, sventolano bandiere e addirittura improvvisano cori per le Fere. Va ricordato che tale comportamento, secondo il noto prefetto di Roma, va punito prima con una sanzione pecuniaria e poi, in caso di recidiva, con una diffida. Del resto siamo diventati il paese del proibizionismo stupido, quello da quattro soldi, utile solo a far avanzare le carriere dei soliti noti. E quindi è ritenuto lecito anche reprimere e sopprimere ogni forma di divertimento aggregante.

Ai tifosi perugini quest’anno è stato concesso qualche biglietto in più, e quelli staccati, sempre secondo fonti ufficiali, sono circa 1.300. Il primo gruppo ad arrivare sono gli Ingrifati, che si sistemano nella parte basse facendosi subito sentire e ricevendo la pronta risposta dei rivali rossoverdi. Gli altri gruppi arriveranno da lì a poco andando a costituire l’ormai consueta macchia biancorossa. Le due curve di casa si adoperano per le coreografie che verranno mostrate a inizio partita, mentre a fare da sottofondo all’afflusso del pubblico ci pensano gli altoparlanti del Liberati, dai quali risuona una simpatica playlist di canzoni dedicate alla Ternana che, una volta tanto, esula dai tormentoni estivi o dalla pacchiane canzoncine alla X Factor, vertendo più che altro su artisti locali.

Quando mancano pochi minuti alle 15 è tutto pronto per il derby. Spicca, rispetto allo scorso anno, la mancanza dei gemellati in ambo le curve. I fenomeni che gestiscono l’ordine pubblico, hanno infatti vietato la vendita ai non residenti della provincia di Terni, nonostante nella passata stagione fosse filato tutto liscio (e come non potrebbe con uno schieramento così massiccio e capillare di forze dell’ordine?).

Ecco le squadre entrare in campo e le coreografie comporsi. Semplice ma efficace quella della Est, più composta e articolata quella della Nord. Su fronte biancorosso, invece, vengono alzate tutte le sciarpe e acceso qualche fumogeno. Complessivamente davvero un bel colpo d’occhio, meritevole di ben altri palcoscenici. E quando dico così non è a caso, pensando ad alcuni stadi della Serie A, sempre vuoti, desolati e privi di passione.

Comincia la gara, che come da tradizione di quasi tutti i Ternana-Perugia, si dimostra tirata e bruttina, con pochissime occasioni. Pertanto la partita più interessante ed emozionante è certamente quella che si gioca sugli spalti. Manca il rullio dei tamburi che caratterizzava i derby di un tempo, ma si sa, qualcuno ha pensato che far suonare un tamburo in uno stadio equivalesse a tirare una molotov in pubblica piazza. Tuttavia ci sono la voce, le manate e le bandiere a tener banco. La Est si prodiga in una buona prestazione, rimanendo sempre attiva e mostrando una bella sciarpata e diversi stendardi alzati di tanto in tanto. E’ stranamente la Nord, invece, a risultare un po’ altalenante quest’oggi, facendo qualche pausa di troppo tra un coro e un altro. Certo, a loro scapito c’è anche da dire che non è facile gestire un settore disposto in quella maniera senza megafoni. Da sottolineare comunque la fitta sciarpata e un bello striscione sul tema discriminazione territoriale.

I perugini si confermano in un buono stato di forma, con i tre gruppo storici a guidare il tifo in maniera pressoché impeccabile. Tante bandiere, manate eseguite sempre all’unisono e un’intensità che si mantiene sempre su ottimi livelli. Ovviamente l’apoteosi arriva nella ripresa, quando l’arbitro concede un contestatissimo rigore al Grifo. Sul dischetto va Ardemagni che non sbaglia facendo esplodere il settore ospiti.

Una gara del genere, com’è facilmente immaginabile, è risolvibile soltanto da un episodio come una punizione, un tiro della domenica o, per l’appunto, un calcio di rigore. Inutili sono le folate offensive della Ternana, che in fondo meriterebbe anche il pareggio. Lo stadio inveisce contro il direttore di gara quando Belmonte stende Falletti in area senza che la giacchetta nera decreti il penalty per le Fere. Sono le ultime schermaglie, i tre punti vanno infatti al Perugia con tutta la squadra che si porta sotto ai propri tifosi per scacciare lontano le ultime, deludenti, prestazioni.

Tristezza e delusione in casa Ternana, nonostante gli applausi che lo stadio riserva ai propri ragazzi. “Non hanno dato il cuore”, mormora qualcuno fuori, mentre mi avvio verso la stazione. E’ una frase che mi piace, perché mi ricorda che il calcio è fatto, almeno per i tifosi, di sentimenti. E vedere la propria squadra che dà il cuore e ci mette l’anima, riesce spesso a lenire sconfitte dolorose come questa. Ma per rielaborare la giornata avrò tempo, ora devo correre per non perdere il treno delle 17,28. Mi faccio spazio tra la folla e riesco a salirci per un pelo. Mi lascio alle spalle l’Umbria, il Liberati e tutto il suo clima esuberante. L’importante è vivere ogni tanto queste giornate, per non dimenticarsi totalmente quale fu il germoglio primordiale che ci ha avvicinati agli stadi.

Simone Meloni