Il Lussemburgo non è rinomato né per il suo calcio e neppure per i suoi tifosi, e parlare di ultras, in questo Paese, potrebbe sembrare un’eresia. Ma la diffusione del movimento ultras sul continente Europeo, negli anni ottanta e novanta, ha toccato pure il piccolo Granducato.

Con mezzo milione di abitanti, il 40% di stranieri e un campionato con sole squadre dilettanti, si potrebbe pensare che la gente del posto non vada allo stadio e, in effetti, possiamo affermare, genericamente, che è così.

La media spettatori nella Serie A locale è di appena 400 tifosi, con punte di 2.200 paganti per le partite più importanti. Ma, anche qua, nonostante tutto, sugli spalti semi-vuoti ci sono alcuni gruppi di tifosi che provano ad adottare i canoni ultras.

Partiamo facendo un po’ di “storia”. Il Paese ha visto il movimento ultras nascere nel 1992, grazie ad alcuni ragazzi italiani e portoghesi che hanno esportato le tecniche viste nelle curve dei loro Paesi. Il primo gruppo costituito si chiamava “Bad boys” e seguiva lo Spora Lussemburgo, club tuttavia scomparso poco tempo dopo.

Nel sud del paese, nel 1995, si è creato il “Grenz Kaos”, per seguire la Jeunesse d’Esch (la “Vecchia signora” lussemburghese) e, come il precedente gruppo, fu opera di figli di immigrati portoghesi ed italiani, attivi nelle sezioni locali dei “No Name Boys” del Benfica e delle “Brigate Rossonere” dell’A.C. Milan. Per due stagioni si sono fatti notare per il loro tifo e l’organizzazione del gruppo, che contava sì e no una cinquantina di tessere.

La maggior parte di questi gruppi nascevano un po’ per moda e un po’ per riempire le domeniche senza partite di questi ragazzi, dunque non c’era una grande adesione e passione. E, soprattutto, c’erano pochi Lussemburghesi. I tifosi locali guardavano sempre al modello tedesco, cioè, folklore spesso al limite del ridicolo (tante sciarpe e magliette della squadra) e poco tifo.

All’inizio del ventunesimo secolo è sorto un gruppo per seguire l’Etzella, i “Boys”, che esistono tuttora, sempre per mano di un misto di ultras italiani e portoghesi. Ma da alcuni anni sono sorti nuovi gruppi, con dei Lussemburghesi al timone, contaminati dalla moda ultras in Germania. È giusto dire che il Lussemburgo resta, fondamentalmente, un Paese di cultura filo-tedesca.

Decido, così, di andare a Grevenmacher, piccola città di 4.000 abitanti al confine con la Germania, per vedere all’opera questi ragazzi degli “Uvae Militarius Machera”. Arrivo mezzora prima della gara in uno stadio piccolissimo, con una sola tribuna, ma bisogna anche dire che la media- spettatori della squadra locale è di 300 unità circa.

Il servizio d’ordine è composto da alcuni steward e vedo il gruppo locale con una ventina di ragazzi, più alcuni simpatizzanti; sono giovani e molti hanno il materiale del gruppo. C’è pure uno stendardo della sezione locale dei “Super Dragoes” del Porto. Perché quest’amicizia? È semplice, la squadra di Hamm, quartiere della capitale, si è fusa con il Benfica Lussemburgo. Ma come mai è nata questa squadra? Perché il Lussemburgo conta il 20% della popolazione di origine portoghese e, per alcuni anni, le squadre di immigrati portoghesi disputavano il loro campionato parallelo, finché la federazione di calcio lussemburghese decise di integrarle nei campionati locali; così si è arrivati alla fusione tra il F.C. Hamm ed il Benfica Lussemburgo.

Di fatto, un piccolo gruppo si è costituito con alcuni ultras del Benfica (in Lussemburgo ci sono sezioni attive di ultras del Benfica, del Porto e dello Sporting) che si trovano dietro all’insegna dei “Red hammers”. Ci sono stati pure alcuni scambi di opinioni e di pugni, tra i due gruppi, all’andata.

Quando l’arbitro fischia l’inizio della partita, però, non c’è nessun ultras biancorosso. I locali, a parte un bandierone bianconero con la dicitura “La familia” (?) sventolato, non offrono niente di particolare. Non c’è nemmeno uno striscione con il nome del loro gruppo, ma uno stendardo con il nome latino della città. Ma, devo dire, tifano e ci mettono l’anima. Almeno questo.

Faccio il giro del campo e vedo, di fronte a me, i colli della Germania, essendo lo stadio a neanche un chilometro dal confine. E, pensando a questo, vedo un “portoghese” che decide di godersi la partita da dietro la recinzione, risparmiando così dieci Euro. Per una volta, un “portoghese” è al 100% Lussemburghese!

Finalmente, al 15° minuto, arrivano una decina di ultras dell’Hamm Benfica. Si mettono all’estremo opposto degli U.M.M. di casa ed appendono un drappo col logo della loro società. Sventoleranno un bandierone col logo, super-classico e utilizzato un po’ da tutti, del pallone vecchio stile con la coccarda tricolore, tra l’altro non realizzato a mano ma da una ditta (“L’originalità ultras non si compra”, come recitava un vecchio striscione).

Gli ospiti accompagnano il loro tifo con un tamburo, ma canterano a tratti. I locali continuano col loro tifo, anche se ci sono fasi di silenzio prolungate tra i cori.

Al metà tempo, i “Red hammers” decidono di cambiare posto e si mettono presso il bar che vende birra, più vicino al gruppo locale, ma non c’è niente tra le due fazioni, che potevano avvicinarsi senza problemi per scambiarsi qualche “opinione”.

La partita riprende, sotto lo sguardo di 300 spettatori. Il tifo locale riparte, ma con difficoltà. Gli ospiti sventolano il loro bandierone e ogni tanto cantano. Ho una sola voglia, lasciare il campo ma, se sono venuto fino a qua questa domenica, decido di rimanere fino in fondo.

A cinque minuti dalla fine della partita, sbuca una macchina della polizia e ci sono gli steward che si mettono con gli agenti di fronte all’unica uscita dello stadio.

Al fischio finale, la vittoria del Grevenmacher è festeggiata con un lungo applauso e con un saluto della squadra sotto il settore degli ultras locali. Poi, quando gli ospiti lasciano lo stadio, un battibecco esplode tra i due gruppi, con la Sicurezza in mezzo; lo scambio di parole degenera e si cerca il contatto, ma i pochi poliziotti e gli steward riescono ad evitare le vie di fatto. I conti si faranno un’altra volta.

Sébastien Louis.