Quella che sta per iniziare potrebbe essere la prima stagione senza il tifo organizzato della Virtus Roma. E non per scelta dei diretti interessati.

Se solo questo bastasse a costituire una notizia di non poco conto – attorno a una squadra che negli ultimi anni ha conosciuto l’onta della retrocessione e quella di un declassamento in terza serie sfiorato – la spiegazione che ne segue è parte integrante del preoccupante ricettacolo che negli ultimi lustri ha visto evolversi veri e propri esperimenti sociali attorno ai tifosi e ai loro diritti. Oltre a una barbara repressione che, venendo spesso foraggiata e descritta come necessaria da media e “addetti ai lavori”, sembra non conoscere fine.

I 5 Daspo piovuti ai danni di altrettanti componenti delle Brigate, lo scorso marzo in occasione della partita contro Eurobasket, sono stati probabilmente solo l’apertura di un cerchio che questa estate si sta tristemente chiudendo, scrivendo una delle pagine più tristi di una stagione repressiva che da ormai qualche anno vede la Capitale indiscussa protagonista.

All’epoca descrivemmo i fatti meticolosamente, questa volta cerchiamo di farlo ricostruendo quanto accaduto pochi giorni prima, all’Unipol Arena di Bologna, in occasione delle Final Four di Coppa Italia A2. Evento cui sono legati i procedimenti penali e amministrativi che giorno dopo giorno stanno colpendo la ventina di supporter romani presenti nella gara dei Quarti di Finale contro Treviso.

A loro viene imputato di aver intonato cori ingiuriosi contro la tifoseria avversaria a fine partita, contribuendo a creare tensione, oltre all’accusa di apologia di fascismo per aver ostentato saluti romani. Accuse che già di loro appaiono alquanto risibili e che comunque necessitano di prove video o foto per essere confutate, soprattutto se si pensa che la pena comminata in merito prevede una denuncia e un Daspo che va dai 2 ai 5 anni (in caso di recidiva). Ma soprattutto accuse che non trovano riscontro presso i presenti nel palazzetto felsineo in quel pomeriggio di inizio marzo. Semmai trova riscontro una certa insistenza della locale forza pubblica affinché i tifosi capitolini abbandonassero l’impianto di gioco prima del finale (cosa che a Bologna accade spesso, ne sono stato testimone in occasione della fase playoff della Fortitudo, in cui triestini e trevigiani sono stati letteralmente spinti fuori in malo modo al suono della sirena) con conseguente – qui sì – creazione di un clima teso e identificazione personale degli stessi.

In settimana è arrivato il comunicato delle Brigate, con cui il gruppo portante della Curva Ancilotto ha preso nettamente le distanze da ogni accusa a proprio carico. Parole che sono state rafforzate anche da un comunicato emanato dal gruppo organizzato trevigiano Fioi dea Sud, tramite il quale i tifosi veneti, oltre a confermare che nulla è successo all’interno del palazzetto, si mettono a disposizione delle autorità competenti per testimoniare e scagionare i dirimpettai romani. Già questo basterebbe per far nascere dei dubbi grandi come una casa su tutta questa assurda vicenda

Probabilmente operando con maggiore buon senso, anche in virtù di un clima fondamentalmente tranquillo, peraltro con delle rappresentanze ultras ridotte veramente all’osso – come sempre accade in questi casi – si sarebbe potuto risolvere il tutto senza clamore. Si è scelta invece la strada delle maniere forti. Una via – percorsa in due occasioni durante la passata stagione ai danni della tifoseria romana – che di fatto sta portando a un totale di quasi 30 Daspo per una curva che di certo non è solita far registrare intemperanze. Se inoltre pensiamo che tutto questo avviene in ambito cestistico (di solito più tranquillo e meno esasperato del calcio) possiamo davvero renderci conto di come una vera e propria macchina persecutoria si sia messa in moto nei confronti della Curva Ancilotto.

Si tratta in tutto e per tutto del famigerato Daspo di gruppo, dichiarato più volte illegittimo e incostituzionale anche dalla Cassazione. Procedimenti che – va ricordato – nella fattispecie non sono in alcun modo commisurati sia a quanto successo in occasione della sfida contro Eurobasket, sia di quanto verosimilmente non successo durante l’incontro di Coppa Italia contro Treviso. Procedimenti che tuttavia rischiano di rovinare seriamente la vita a ragazzi poco più che ventenni, evidentemente colpevoli di un reato tra i più gravi di quelli esistenti: voler fare del tifo organizzato per la propria squadra e volersi concedere anche il “macabro” divertimento dello sfottò contro una tifoseria rivale.

Uno Stato di diritto non può tuttavia permettersi cotante prese di posizione senza giustificarne le motivazioni. In ballo c’è la vita sociale e anche professionale di ragazzi, non certo mostri da sbattere in prima pagina o mera carne da macello. Va ricordato che il Daspo, così come una denuncia, inibisce pesantemente le libertà personali dei destinatari, arrivando sino al non poter partecipare a concorsi pubblici o presentare domande per taluni posti di lavoro. Malgrado ciò questo strumento continua ad esser usato come una semplice Aspirina in caso di un banale mal di testa.

A quando una presa di posizione collettiva per scongiurare questi assurdi teatrini e avanzare come società civile? Chi sbaglia è giusto che paghi, sia chiaro. Ma innanzitutto la pena dev’essere sempre commisurata all’errore. Se poi quest’ultimo non vi è proprio allora ci troviamo di fronte a rappresaglie degne del miglior Paese privo dei diritti più basici.

Simone Meloni.